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A tre miglia marine da Kristiansund, Johanson ricevette una risposta da Lukas Bauer. La prima risposta positiva, ammesso che il contenuto potesse definirsi tale.

Lesse il testo e si mordicchiò il labbro inferiore.

I contatti coi colossi dell'energia spettavano a Skaugen; da Johanson ci si aspettava che s'informasse presso istituti e scienziati che non fossero in evidente rapporto col mondo delle esplorazioni petrolifere. Ma, dopo l'incidente con la benna, Bohrmann aveva detto una cosa che metteva la questione sotto una luce diversa.

L'industria paga i ricercatori perché lo Stato non può più farlo.

Quale istituto poteva ancora fare ricerca liberamente?

Se la ricerca dipendeva sempre più dall'economia, allora quasi tutti gli istituti si trovavano a lavorare per i colossi industriali. Non si finanziavano con risorse pubbliche. Se non volevano rinunciare al loro lavoro, non avevano altra scelta. Anche il Geomar di Kiel stava trattando un accordo finanziario con la Deutsche Ruhrgas, che aveva intenzione di sponsorizzare una cattedra per lo studio degli idrati del gas. L'idea di fare ricerca coi soldi dei colossi industriali era seducente, ma era schiava degli sponsor, che volevano veder trasformati in risultati i loro cospicui investimenti.

Johanson rilesse la risposta di Bauer.

Aveva trattato la faccenda nel modo sbagliato. Prima di rivolgere domande in tutto il mondo, avrebbe dovuto mettere sotto la lente d'ingrandimento i legami occulti tra ricercatori e industria. Mentre Skaugen tentava un approccio sull'argomento coi consigli d'amministrazione dei colossi industriali, lui poteva fare il terzo grado agli scienziati «collaborazionisti». Prima o poi, qualcuno avrebbe parlato.

Il problema era mettersi sulle tracce di quei legami. No, non era un problema. Bastava lavorare con impegno.

Si alzò e lasciò la sala radio per cercare Tina.

24 aprile

Vancouver Island e Clayoquot Sound, Canada

Alluci, talloni.

Anawak si dondolava impazientemente sui piedi. Si metteva in punta di piedi e poi si lasciava cadere all'indietro, insistendo imperterrito in quel movimento. Era mattina presto. Il cielo splendeva di un azzurro intenso, una giornata che sembrava uscita dal più ruffiano dei dépliant.

Anawak era nervoso.

Alluci, talloni. Alluci, talloni.

In fondo al molo di legno attendeva un idrovolante. Il suo scafo bianco si specchiava nel blu intenso della laguna sfaccettata dalle increspature delle onde. L'aereo era uno di quei leggendari Beaver DHC-2 che la ditta canadese De Havilland aveva costruito cinquant'anni prima. Erano ancora in servizio perché, dopo di loro, il mercato non aveva offerto niente di meglio. Il Beaver era arrivato anche in Polonia. Era senza dubbio robusto e sicuro.

Proprio quello che serviva per ciò che Anawak aveva in mente.

Guardò la palazzina del check-in, pitturata di rosso e bianco. Il Tofino Airport, a pochi minuti di macchina dalla città, non aveva nulla in comune coi classici aeroporti. Ricordava molto di più un insediamento di cacciatori o di pescatori. Qualche bassa casa di legno disposta pittorescamente su un'ampia baia, contornata da colline coperte di boschi dietro cui svettavano le montagne. Gli occhi di Anawak si spostarono sul viale d'accesso che, dalla strada principale, passando sotto alberi giganteschi, conduceva alla laguna. Gli altri sarebbero arrivati da un momento all'altro. Aggrottò la fronte ascoltando la voce che usciva dal suo cellulare.

«Ma è stato due settimane fa», replicò infine. «In tutto questo tempo, Mister Roberts non ha voluto o potuto parlare con me. Eppure aveva detto di volermi tenere al corrente.»

La segretaria suggerì che Roberts era un uomo molto impegnato.

«Lo sono anch'io», sbottò Anawak. Smise di dondolarsi e si sforzò di essere gentile. «Mi ascolti, ormai ci troviamo di fronte a una vera escalation. Ci sono evidenti legami tra i nostri problemi e quelli della Inglewood. Se ne renderà conto anche Mister Roberts se…» Ci fu una breve pausa.

«Che somiglianze ci sarebbero?» chiese poi la donna.

«Somiglianze con le balene, ovvio», spiegò lui.

«La Barrier Queen ha avuto un guasto al timone.»

«Sì, certo. Ma i rimorchiatori sono stati attaccati», le ricordò Anawak.

«Un rimorchiatore è affondato, sì», disse lei in tono cortese ma freddo. «Ma non so nulla delle balene. Comunque riferirò a Mister Roberts che lei ha chiamato.»

«Gli dica che è nel suo interesse.»

«Si metterà in contatto con lei nelle prossime settimane.»

Anawak sussultò. «Ha detto 'settimane'?»

«Mister Roberts è in viaggio.»

Ma che cos'è successo? pensò Anawak. Poi, cercando faticosamente di controllarsi, aggiunse: «Inoltre il suo capo aveva promesso di mandare altri campioni delle infestazioni della Barrier Queen all'istituto di Nanaimo. E adesso, per favore, non mi dica che non ne sa nulla. Sono stato là sotto e ho raccolto quel materiale dallo scafo. Si tratta di conchiglie e probabilmente anche di qualcos'altro.»

«Mister Roberts mi avrebbe informato se…»

«A Nanaimo hanno bisogno di campioni!»

«Se ne occuperà al suo ritorno.»

«È troppo tardi! Ha capito? Ah, non fa niente, richiamerò.»

Con un gesto di stizza mise via il telefono. Poi scorse la Land Cruiser di Shoemaker che stava percorrendo il viale d'accesso. Il fuoristrada svoltò nel piccolo parcheggio di fronte alla palazzina del check-in e si fermò di botto, facendo schizzare la ghiaia da sotto i pneumatici.

«Non siete un esempio di puntualità», gridò Anawak, di pessimo umore, andando verso la Land Cruiser.

«Accidenti, Leon! Sono soltanto dieci minuti», esclamò Shoemaker. Al seguito, aveva Alicia e un massiccio giovane di colore con la testa rasata e con gli occhiali da sole. «Non essere così cattivo. Dovevamo aspettare Danny.»

Anawak diede la mano al ragazzo massiccio che gli sorrise gentilmente. Era un tiratore di balestra dell'esercito canadese ed era stato messo ufficialmente a disposizione di Anawak. Aveva con sé la sua arma, una balestra di alta precisione, supertecnologica.

«È bella, quest'isola», disse Danny. Tra una parola e l'altra, masticava un chewing-gum e sembrava che la sua voce dovesse aprirsi la strada in una zona paludosa. «Cosa devo fare esattamente?»

«Non le hanno detto nulla?» si meravigliò Anawak.

«Ma certo, devo sparare con la balestra a una balena. Sono sbalordito. Pensavo fosse vietato.»

«E infatti lo è. Venga, le spiegherò tutto sull'aereo.»

«Aspetta.» Shoemaker gli spalancò davanti un giornale. «Hai già letto?»

Anawak scorse il titolo. «'L'eroe di Tofino'?»

«Greywolf sa vendersi bene, eh? Nell'intervista, quel bastardo fa il modesto, ma leggi un po' quello che dice più avanti. Ti verrà da vomitare.»

«'… Ho fatto solo il mio dovere di cittadino canadese'», mormorò Anawak. «'Naturalmente eravamo in pericolo di vita, ma volevo rimediare almeno in parte ai danni causati dall'irresponsabile pratica del whale watching. Da anni il nostro gruppo sostiene che gli ammali sono sottoposti a uno stress pericoloso, i cui effetti sono impossibili da valutare.' Ma è pazzo?»

«Va' avanti a leggere.»

«'Non si può accusare la Davies Whaling Station di aver violato i regolamenti. Ma non si può neppure dire che si sia comportata nella maniera corretta. Speculare sul turismo delle balene sotto la copertura della protezione dell'ambiente non è un comportamento migliore di quello dei giapponesi, che, nelle acque artiche, minacciano l'estinzione di alcune specie di cetacei. Anche là si parla ufficialmente di scopi scientifici, ma nel 2002 sono finite nei supermercati oltre quattrocento tonnellate di carne di balena, venduta come prelibatezza. Il bello è che la caccia è consentita solo per fare ricerca scientifica sulla genetica.'»

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