L'ufficiale balzò verso di lui per cercare di rialzarlo, ma non fu abbastanza veloce. La benna si schiantò contro l'uomo a terra e lo scagliò in aria. L'uomo tracciò un ampio arco, scivolò sulle assi e atterrò sulla schiena.
«Oh, no», gemette Tina. «Maledizione!»
Lei e Johanson scattarono contemporaneamente. Il primo ufficiale e i membri dell'equipaggio erano in ginocchio vicino all'uomo.
«Non toccatelo», disse l'ufficiale.
«Voglio…» iniziò Tina.
«Chiamate il medico, presto.»
Tina si mordicchiò nervosamente un'unghia. Johanson sapeva quanto odiasse essere condannata all'inattività. Poi lei si avvicinò alla benna che oscillava, colando fango. «Aprite», gridò. «Tutto quello che è rimasto deve essere messo nella cisterna.»
Johanson guardò l'acqua: dal mare uscivano ancora puzzolenti bolle di gas, ma per fortuna erano diminuite. La Sonne si era allontanata velocemente. Gli ultimi frammenti di ghiaccio di metano saliti in superficie galleggiavano tra le onde e si scioglievano.
La benna si aprì, stridendo, e lasciò cadere quintali di fango e ghiaccio. Gli uomini del laboratorio di Bohrmann e i marinai si affrettarono a mettere più idrati possibile nell'azoto liquido che fumava e sibilava. Johanson si sentiva spaventosamente inutile. Si girò, andò da Bohrmann e lo aiutò a raccogliere i frammenti. La coperta era piena di piccoli corpi setolosi: alcuni sussultavano, si rivoltavano e tiravano fuori la proboscide con le mandibole. La maggior parte sembrava non essere sopravvissuta alla rapida risalita, uccisa dall'improvviso cambio di temperatura e di pressione.
Johanson sollevò uno dei frammenti e lo osservò con attenzione. Il ghiaccio era attraversato da canali, dentro i quali c'erano vermi morti. Girò da tutte le parti il frammento, finché lo stridio e il sibilo della massa in decomposizione non gli ricordarono di metterlo al sicuro il più in fretta possibile. Altri frammenti erano ancora più bucherellati: la decomposizione vera e propria era quindi cominciata al di sotto dei canali scavati dai vermi. Aperture a forma di cratere si spalancavano nel ghiaccio coperto in parte da filamenti vischiosi.
Che cos'era successo?
Johanson si dimenticò il contenitore refrigerato. Sbriciolò il fango tra le dita, pensando che sembrava il resto di una colonia di batteri. Era normale che sulla superficie degli idrati ci fossero tappeti di batteri, ma come mai si trovavano così in profondità nei grumi di ghiaccio?
Il frammento si sciolse nel giro di qualche secondo. Johanson si guardò intorno. La poppa era diventata una pozzanghera fangosa. L'uomo che era stato colpito dalla benna era sparito. Anche Tina, Hvistendahl e Stone avevano lasciato il ponte. Allora vide Bohrmann appoggiato al parapetto e lo raggiunse. «Cos'è stato?»
Bohrmann si passò una mano sugli occhi. «Abbiamo avuto un blowout. La benna è sprofondata per più di venti metri. È uscito il gas. Ha visto la bolla gigantesca sullo schermo?»
«Sì. Che spessore ha il ghiaccio in quel punto?»
«Sarebbe meglio dire che spessore aveva. Da settanta a ottanta metri, almeno.»
«Allora laggiù deve essere tutto devastato.»
«Evidentemente. Dobbiamo scoprire se si tratta di un caso unico. E dobbiamo fare in fretta.»
«Vuole prelevare altri campioni?»
«Naturalmente», brontolò Bohrmann. «La disgrazia di poco fa non sarebbe dovuta succedere. L'uomo all'argano ha continuato a sollevare la benna a tutta velocità. Avrebbe dovuto fermarla, invece.» Guardò Johanson. «Ha notato qualcosa quando il gas è salito?»
«Ho avuto l'impressione che sprofondassimo.»
«È sembrato anche a me. Il gas ha ridotto la tensione superficiale dell'acqua.»
«Vuole dire che abbiamo rischiato di affondare?»
«Difficile dirlo. Ha mai sentito parlare del 'buco della strega'?»
«No.»
«Dieci anni fa, un uomo è uscito in mare e non è più tornato. L'ultima cosa che ha detto per radio era che voleva farsi un caffè. Poco dopo, una nave da ricerca ha trovato il relitto. A cinquanta miglia marine dalla costa, affondato a una profondità insolita sul fondo del mare del Nord. I marinai chiamano quella zona 'buco della strega'. Il relitto non aveva il minimo danno ed era appoggiato verticalmente sul fondale. Come se fosse sprofondato come un sasso, come qualcosa che non potesse galleggiare.»
«Sembra quasi il triangolo delle Bermuda.»
«Ha colto nel segno. L'ipotesi è proprio questa, l'unica che regge a un esame accurato. Tra le Bermuda, la Florida e Porto Rico ci sono sempre violenti blowout. Quando il gas sale nell'atmosfera, può addirittura incendiare le turbine degli aerei. Un blow-out di metano più grande di quello che abbiamo appena visto rende l'acqua così sottile che si affonda.» Indicò la cisterna frigorifera. «Manderemo quel materiale a Kiel il più presto possibile. Lo analizzeremo, così sapremo che cosa succede là sotto. E lo scopriremo, glielo prometto. Per colpa di quella schifezza abbiamo perso un uomo.»
«È…?»
«È morto sul colpo.»
Johanson rimase in silenzio.
«Prenderemo i prossimi campioni con l'autoclave anziché con la benna. È molto più sicuro. Dobbiamo fare chiarezza. Non voglio stare a guardare mentre si costruiscono sconsideratamente delle stazioni sul fondale marino.» Bohrmann sbuffò e si staccò dal parapetto. «Ma ormai ci siamo abituati, eh? Cerchiamo di spiegare come funziona il mondo e nessuno ci ascolta. E ora che succede? I colossi industriali sono i nuovi committenti della ricerca. Noi due siamo su una nave da queste parti soltanto perché la Statoil ha trovato un verme. Fantastico. L'industria paga i ricercatori perché lo Stato non può più farlo. Non c'è più traccia della ricerca di base. Questo verme non è visto come oggetto di ricerca, ma come un problema che bisogna far sparire dalla faccia della Terra. È richiesta la ricerca applicata, e fatta in maniera tale che le industrie possano avere carta bianca. Forse però il problema non è il verme. Ci ha mai pensato? Forse è qualcosa di completamente diverso e, mentre eliminiamo un problema, ne creiamo uno molto più grande. Sa una cosa? Talvolta mi viene da vomitare.»
Percorrendo alcune miglia marine verso nord-est, fecero una dozzina di carotaggi dei sedimenti senza altri incidenti. L'autoclave, un tubo con rivestimento isolante lungo cinque metri inserito in un telaio, risucchiava come una siringa il campione dal fondale marino. Ancora in profondità, il tubo era chiuso ermeticamente da una valvola. In tal modo, all'interno, c'era un piccolo universo sigillato: sedimenti, ghiaccio e fango insieme con la superficie intatta, acqua di mare ed esseri viventi che continuavano a sentirsi a proprio agio perché, nel tubo, temperatura e pressione erano mantenute costanti. Bohrmann fece portare il tubo chiuso nella cella frigorifera della nave per non creare scompiglio nelle forme di vita raccolte con cura. A bordo non era possibile esaminare i carotaggi; solo nel simulatore di abissi marini c'erano le condizioni adatte. Per il momento, dovevano limitarsi ad analizzare l'acqua del mare e a fissare i monitor.
Nonostante la drammaticità, l'immagine sempre uguale degli idrati ricoperti di vermi aveva qualcosa di noioso. Nessuno aveva voglia di parlare. Nella luce pallida dei monitor, sembravano impallidire anche tutti i presenti, gli uomini di Bohrmann, quelli del petrolio, i marinai. L'uomo della Statoil morto teneva compagnia ai carotaggi nella cella frigorifera. Il previsto incontro con la Thorvaldson nel luogo in cui si progettava di costruire la stazione era stato disdetto per poter raggiungere il più presto possibile Kristiansund, dove avrebbero lasciato il cadavere e portato i campioni al vicino aeroporto. Johanson se ne stava nella sala radio o nella sua cabina e valutava le risposte che aveva ricevuto. Non esisteva nessuna descrizione del verme, nessuno l'aveva mai visto. Alcuni dei suoi corrispondenti avevano manifestato il dubbio che si trattasse di vermi del ghiaccio messicani, cosa che non contribuì granché all'avanzamento delle conoscenze.