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Si trattava davvero di un astice?

Roche cadde in un profondo smarrimento. Di una cosa però era assolutamente certo: qualunque cosa fosse, adesso si trovava nell'acqua potabile di Roanne.

22 aprile

Mar di Norvegia, margine continentale

Sul mare, il mondo sembrava fatto esclusivamente di acqua, ed era separato dal cielo solo da un labile confine. Così, nelle giornate serene, persi in quell'infinito, si aveva l'impressione di essere letteralmente risucchiati nell'universo; mentre con la pioggia era difficile comprendere se si era ancora sulla superficie del mare o se si era sommersi. Anche i marinai più incalliti trovavano deprimente la monotonia della pioggia. L'orizzonte si cancellava, il nero delle onde si perdeva nelle masse di nuvole senza contorno e lasciava l'impressionante immagine di un universo senza luce, senza forma e senza speranza.

Nel mare del Nord e nel mar di Norvegia le torri di perforazione offrivano dei punti di riferimento. Ma al largo, sulla scarpata continentale, dove da due giorni incrociava la Sonne, la maggior parte delle piattaforme era troppo lontana per poter essere vista a occhio nudo. Anche le poche torri visibili sparivano nella pioggia sottile. Era tutto bagnato fradicio e un freddo umido s'infilava sotto le giacche impermeabili e le tute degli scienziati e dell'equipaggio. A quella monotona pioggerellina, tutti avrebbero preferito una vera pioggia, con gocce grosse e battenti. Sembrava che l'acqua non arrivasse solo dal cielo, ma che risalisse anche dal mare. Era uno dei giorni più infelici che Johanson ricordasse. Si tirò il cappuccio fin sulla fronte e si diresse verso poppa, dove il personale tecnico era impegnato nel recupero della multisonda. A metà strada, Bohrmann gli si affiancò.

«Anche lei continua a sognare vermi?» chiese Johanson.

«Non ancora», rispose il geologo. «E lei?»

«Mi rifugio nell'idea di recitare in un film.»

«Buona idea. Chi è il regista?»

«Che ne dice di Hitchcock?»

«Gli uccelli in una versione per geologi marini?» Bohrmann fece una risata amara. «Una bella rappresentazione… Ah, ma sono già a buon punto!»

Bohrmann lasciò Johanson e si affrettò verso poppa. Appeso alla gru, emerse un grande telaio rotondo, nella cui metà superiore si trovavano alcuni tubi di plastica che contenevano campioni d'acqua provenienti da diverse profondità. Johanson rimase a osservare per un po' il recupero della multisonda e dei campioni degli strati, poi arrivarono in coperta Stone, Hvistendahl e Tina Lund.

Stone corse da lui. «Che dice Bohrmann?» chiese.

«Dice: 'Houston, abbiamo un problema.'» Johanson scrollò le spalle. «Bah, non dice molto.»

Stone annuì. La sua aggressività aveva lasciato il posto a un profondo abbattimento. Nel corso delle misurazioni, la Sonne aveva seguito il corso sudorientale della scarpata continentale fino al di sopra della Scozia, mentre le telecamere sulla slitta mandavano immagini dal fondale. La slitta, un massiccio telaio che somigliava a una scansia d'acciaio piena di apparecchiature in disordine, disponeva di diversi strumenti di misurazione, di potenti proiettori e di un occhio elettronico che filmava e mandava le immagini ai monitor del laboratorio attraverso cavi a fibre ottiche, il tutto mentre la nave la trascinava.

Per le riprese video, la Thorvaldson disponeva del più moderno Victor. La nave oceanografica norvegese seguiva il corso della scarpata in direzione nord-est e analizzava l'acqua del mare norvegese fino a Tromsø. Le due navi avevano iniziato il loro tragitto dal punto in cui si sarebbe dovuta costruire la stazione, e adesso stavano facendo il percorso inverso. Al loro incontro, due giorni dopo, avrebbero avuto tutti i rilievi necessari della scarpata dello zoccolo continentale norvegese e del mare del Nord. Bohrmann e Skaugen avevano proposto di comportarsi come se la regione non fosse mai stata studiata prima. E sembrava davvero così. Da quando Bohrmann aveva presentato i primi dati, nulla sembrava più corrispondere alla normalità.

Era successo durante la riunione del mattino, non appena erano comparse sui monitor le prime immagini trasmesse dalla slitta. Avevano calato la multisonda durante un crepuscolo freddo e umido. Johanson aveva cercato d'ignorare l'effetto ascensore della Sonne che affondava improvvisamente nei cavalloni. I primi campioni d'acqua intanto erano stati mandati nel laboratorio di sismologia, dov'erano stati analizzati. Dopo, Bohrmann aveva invitato il team nella sala riunioni del ponte principale. Erano tutti radunati intorno al lucido tavolo di legno, e, in breve, la curiosità aveva catturato la loro attenzione. Avevano smesso di stropicciarsi gli occhi, sbadigliando, e stringevano le tazze del caffè, il cui calore cominciava a diffondersi lentamente alle dita.

Bohrmann aveva tenuto lo sguardo fisso su un foglio, aspettando pazientemente che si radunassero tutti.

«Posso offrirvi un primo risultato», disse infine. «Non è rappresentativo, giacché si tratta solo di un'istantanea.» Sollevò lo sguardo, lo fissò un momento su Johanson poi lo spostò su Hvistendahl. «Conoscete tutti il concetto di 'pennacchio di metano'?»

Un giovane della squadra di Hvistendahl scosse incerto la testa.

«Si parla di 'pennacchio di metano' quando il gas esce dal fondale marino, si miscela con l'acqua, entra nella corrente e sale», spiegò Bohrmann. «In genere, rileviamo questi pennacchi dove una zolla terrestre scivola sotto l'altra, la pressione schiaccia i sedimenti e li ammassa. La conseguenza è che da lì sgorgano fluidi e gas. Un fenomeno ampiamente noto.» Si schiarì la voce. «Ma vedete, a differenza dell'oceano Pacifico, nell'Atlantico non troviamo simili zone di alta pressione, quindi non ve ne sono nemmeno davanti alla Norvegia, dove i margini continentali in gran parte non sono attivi. Tuttavia, stamattina, abbiamo rilevato in questa zona un pennacchio di metano ad alta concentrazione che, nelle primissime misurazioni, non era comparso.»

«Quanto è elevata la concentrazione?» chiese Stone.

«È a un livello allarmante. Abbiamo rilevato valori simili al largo dell'Oregon. In una zona con fuoriuscite massicce.»

«Bene.» Stone cercò di non assumere un'espressione corrucciata. «Per quello che ne so, il metano esce in continuazione al largo della Norvegia. Lo sappiamo fin dai primi progetti. Si sa che il fondale marino rilascia sempre dei gas, e ogni volta è perfettamente spiegabile. Perché stavolta volete seminare il panico?»

«La sua interpretazione non evidenzia il nocciolo della faccenda.»

«Mi ascolti», sospirò Stone. «A me interessa soltanto se le sue rilevazioni offrono davvero motivo di preoccupazione. Finora non mi pare. Stiamo sprecando tempo.»

Bohrmann sorrise cortesemente. «Dottor Stone, in questa zona, e soprattutto più a nord, la scarpata continentale è letteralmente cementata dagli idrati di metano. Si tratta di strati spessi da sessanta a cento metri, enormi coperchi di ghiaccio. Ma sappiamo anche che quegli strati, nelle zone più verticali, talvolta si staccano. Da lì esce da anni del gas che, secondo i nostri calcoli di stabilità, non dovrebbe proprio uscire. Tenuto conto della pressione e della temperatura dovrebbe congelarsi immediatamente, eppure ciò non succede. Sono quelle le fuoriuscite di cui stiamo parlando. Si può convivere con esse, si può anche decidere d'ignorarle, ma non possiamo illuderci di essere al sicuro solo perché abbiamo sviluppato qualche diagramma e qualche curva. Lo dico ancora una volta, la concentrazione di metano libero nelle colonne d'acqua è oltremodo elevata.»

«Si tratta davvero di fuoriuscite di gas?» chiese Tina. «Voglio dire, il metano sale dall'interno della Terra, o forse il gas proviene da…»

«Dagli idrati che si sciolgono?» Bohrmann esitò. «È una domanda decisiva. Se gli idrati stanno iniziando a decomporsi, significa che è cambiato qualcosa nei parametri di quella zona.»

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