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Scambiò una rapida occhiata col direttore.

Ford capì. «Ne parleremo un'altra volta», propose. E, prima che Alicia potesse aprire bocca, disse: «Dobbiamo parlare della teoria dell'avvelenamento con Sue Oliviera, Ray Fenwick o Rod Palm. Ma, per dirla senza peli sulla lingua, io non ci credo. L'inquinamento si forma col petrolio fuoriuscito e con lo scarico in mare d'idrocarburi clorurati e sai meglio di me a quali conseguenze porta: indebolimento del sistema immunitario, infezioni, morte prematura… Non alla pazzia.»

«Se non sbaglio, qualche scienziato ha sostenuto che le orche della costa occidentale sarebbero morte nel giro di trent'anni», intervenne Alicia.

Anawak annuì, cupo. «Dai trenta ai centoventi anni, se si va avanti così. Perdendo la loro fonte di nutrimento, i salmoni, se non scompaiono per il veleno, le orche migrano. Devono cercare il nutrimento in zone che non conoscono, s'impigliano nelle reti da pesca… tutto si somma.»

«Dimentica la teoria dell'avvelenamento», sbuffò Ford. «Se si trattasse solo di orche, potremmo parlarne. Ma orche e megattere che elaborano una strategia comune… Non lo so, Leon.»

Anawak rifletté. «Conoscete il mio modo di vedere», disse poi a bassa voce. «Sono ben lontano dall'attribuire intenzioni agli animali o dal sopravvalutare la loro intelligenza, ma… Non avete anche voi la sensazione che vogliano sbarazzarsi di noi?»

Lo guardarono. Si era aspettato di scontrarsi con energici dinieghi. Invece Alicia annuì. «Sì. Tranne le stanziali.»

«Tranne le stanziali», annuì Anawak. «Perché non sono state con le altre nel luogo in cui è successo qualcosa. Le balene che hanno affondato il rimorchiatore… Insomma, ve l'ho detto! La risposta è là, al largo.»

«Mio Dio, Leon.» Ford si appoggiò allo schienale e bevve un generoso sorso di vino. «In che film siamo finiti? Andate e combattete l'umanità?»

Anawak rimase in silenzio.

Il video della donna non portò altri risultati.

A tarda sera, Anawak si trovava nel letto nel suo piccolo appartamento di Vancouver, ma non riusciva a dormire. Fu allora che maturò l'idea di studiare una delle balene dal comportamento anomalo. Gli animali avevano assorbito qualcosa che li dominava. Forse, se fossero riusciti a dotarne uno di telecamera e trasmettitore, le risposte sarebbero arrivate.

La questione era come riuscirci con una megattera furiosa. Impresa difficile, considerando che anche quelle pacifiche non stavano mai ferme.

E poi c'era il problema della pelle…

Munire di trasmettitore una foca era ben diverso che attrezzare una balena. Una foca non era difficile da catturare. I cerotti biodegradabili con cui venivano fissati i trasmettitori rimanevano attaccati al pelo, si seccavano velocemente e, a un certo punto, si staccavano da soli. Grazie alla muta annuale, sparivano anche gli ultimi residui del cerotto.

Ma balene e delfini non avevano il pelo. Poche cose erano più lisce della pelle di orche e delfini: al tatto essa sembrava un uovo appena sgusciato ed era ricoperta da un sottile strato di gel, che serviva a ridurre la resistenza alle correnti e a tenere lontani i batteri. Lo strato superiore cambiava in continuazione. Lo staccavano gli enzimi e, coi salti, esso cadeva in brandelli lunghi e sottili, insieme con tutti gli inquilini indesiderati e coi trasmettitori. E la pelle delle balene grigie non offriva una presa migliore.

Senza accendere la luce, Anawak si alzò e si avvicinò alla finestra. L'appartamento si trovava in un vecchio condominio con vista su Granville Island e lui, di notte, poteva guardare le luci della città. Esaminò le diverse opzioni. Ovviamente erano possibili alcune astuzie. Gli scienziati americani assicuravano con ventose le trasmittenti e gli strumenti di misurazione. Le sonde venivano fissate agli animali che nuotavano nei pressi di un'imbarcazione o tra le onde di prua, con l'ausilio di lunghe aste. In genere era possibile avvicinarsi abbastanza per portare a termine l'operazione. Era pur sempre una strada. Tuttavia, anche il trasmettitore con la ventosa riusciva a reggere alle correnti solo per qualche ora. Altri attaccavano gli strumenti sulla pinna dorsale. Ma in quei giorni il vero problema era come avvicinarsi a una balena senza essere immediatamente attaccati.

Si potevano stordire gli animali…

Ma era troppo complicato. Inoltre i cronotachigrafi non sarebbero bastati, c'era bisogno di telecamere. Telemetria satellitare e immagini video.

Improvvisamente gli venne un'idea.

C'era un metodo. Richiedeva un buon tiratore. Le balene erano bersagli grandi, tuttavia era consigliabile qualcuno che sapesse sparare bene.

Di colpo, Anawak divenne frenetico. Corse alla scrivania, si collegò a Internet e visitò alcuni siti. Poi frugò in un cassetto, finché non trovò l'indirizzo web dell'Underwater Robotics Application Laboratoy Team di Tokyo.

Ormai sapeva come fare.

Bisognava percorrere le due strade. L'unità di crisi avrebbe dovuto sborsare una gran quantità di denaro, ma nessuno avrebbe battuto ciglio perché quel tentativo poteva servire alla spiegazione del problema.

I suoi pensieri vorticavano.

Era quasi mattina quando finalmente si addormentò. Il suo ultimo pensiero riguardò la Barrier Queen e Roberts. Anche quello era un problema. Il manager non l'aveva richiamato, benché Anawak avesse cercato più volte di sapere qualcosa. Sperava che la Inglewood avesse almeno mandato i campioni a Nanaimo.

E che ne era del rapporto?

Non gli piaceva essere tenuto all'oscuro.

Come poteva fare tutto il giorno dopo?

Mi devo alzare per scrivere degli appunti, pensò. Come prima cosa… Nello stesso istante si addormentò, esausto.

20 aprile

Lione, Francia

Bernard Roche si rimproverava per aver lasciato passare troppo tempo prima di analizzare i campioni d'acqua. Ma ormai non c'era nulla da fare. Come avrebbe potuto sospettare che un astice potesse uccidere un uomo? E probabilmente più d'uno?

Jean Jérôme, il cuoco del Troisgros, a Roanne, non si era più svegliato dal coma ed era morto ventiquattr'ore dopo che un astice bretone contaminato gli era scoppiato in faccia. Non si conoscevano ancora le cause del decesso, l'unica cosa certa era che il suo sistema immunitario non aveva funzionato, evidentemente in seguito a uno shock da sostanze altamente tossiche. Anche se non era facile dimostrarlo, sembrava proprio che la responsabilità fosse dell'astice, e in particolare della sostanza al suo interno. Anche altri membri del personale di cucina si erano ammalati: il più grave era l'apprendista che aveva toccato e conservato quella strana sostanza. Soffrivano tutti di vertigini, nausea, mal di testa e difficoltà di concentrazione. Già quello delineava un quadro molto grave, specialmente per il Troisgros, che si era trovato in una situazione imbarazzante. Ma Roche era molto preoccupato per il numero di persone che si presentavano dai medici lamentando, seppure in forma attenuata, gli stessi sintomi che avevano condotto alla morte Jérôme. E temeva il peggio da quando aveva scoperto dov'era finita l'acqua in cui il cuoco aveva riposto gli astici.

La stampa aveva smorzato i toni, anche per riguardo al ristorante, ma naturalmente l'annuncio era stato dato. E Roche aveva sentito notizie analoghe giungere anche da altri luoghi, a dimostrazione che, evidentemente, non era stato colpito solo il Troisgros. A Parigi erano morte allo stesso modo diverse persone che avevano consumato carne di astice avariata… Almeno così si diceva, ma Roche sospettava che la causa fosse un'altra. Le notizie arrivavano da Le Havre, Cherbourg, Caen, Rennes e Brest. Roche aveva incaricato un assistente di continuare le ricerche. Poi, siccome cominciava a delinearsi un quadro in cui gli astici bretoni giocavano un ruolo inglorioso, mise da parte tutto il resto e si dedicò esclusivamente all'analisi dei campioni di acqua.

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