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Dopo l'incrocio che, a sinistra, conduceva a Hempstead e, a destra, a Long Beach, si cominciò a procedere un po' più spediti. Evidentemente gli animali non erano arrivati fin lì. Henson accelerò e raggiunse il Queens un'ora più tardi di quanto avesse sperato. Era furioso. Poco dopo l'East River svoltò a sinistra e superò il Newton Creek per raggiungere la sua birreria abituale, nella zona di Brooklyn chiamata Greenpoint. Parcheggiò il furgone, scese e, quando vide le condizioni del suo mezzo, quasi gli venne un colpo. Pneumatici, parafanghi e fiancate fin sotto i finestrini erano insozzate di fanghiglia di granchio. Una vista orribile… E la mattina seguente doveva cominciare presto il suo giro. Così era impossibile guidare.

Ormai era già tardi. Henson si strinse nelle spalle. La birra poteva aspettare finché non avesse portato il furgone al vicino autolavaggio. Risalì, andò all'autolavaggio tre isolati più avanti e raccomandò al personale di spruzzare bene i cerchioni finché non fosse sparito anche l'ultimo residuo di quella porcheria. Poi disse loro dove avrebbero potuto trovarlo e andò alla birreria per bersi finalmente una birra.

Quell'autolavaggio era noto perché faceva bene e a fondo il suo lavoro. La patina fangosa sul furgone di Henson si rivelò più ostinata del previsto, ma, dopo aver lavorato a lungo con la pompa ad alta pressione, finalmente scivolò via. Il ragazzo che lavava il furgone aveva l'impressione che i frammenti si sciogliessero. Come fantasmi al sole, pensò.

Finì tutto nello scarico.

New York aveva un sistema singolare di canalizzazione. Mentre le gallerie stradali e della metropolitana passavano l'East River a circa trenta metri di profondità, il sistema di tubature dell'acqua potabile e delle fogne raggiungeva anche i duecentoquaranta metri. Con l'aiuto di enormi trivelle, i costruttori di gallerie scavavano nel sottosuolo sempre nuovi canali, in modo che le riserve e gli approvvigionamenti d'acqua di quella metropoli non s'interrompessero bruscamente. Accanto al sistema di tubature, c'era anche una serie di gallerie che non erano più in attività. Gli esperti sostenevano che ormai nessuno era più in grado di dire dove fossero esattamente tutti i canali di New York. Non c'era una carta che rappresentasse tutta la rete. Alcune gallerie erano note solo a determinati gruppi di senzatetto, che tenevano il segreto per sé. Altre avevano ispirato i registi dei film horror, che le avevano trasformate in luoghi di cova per creature mostruose. L'unica cosa certa era che tutto ciò che finiva nelle fogne di New York in un certo senso poteva considerarsi perduto.

Quella sera e nei giorni seguenti, a Brooklyn, nel Queens, a State Island e a Manhattan venne lavata una gran quantità di auto provenienti da Long Island. Gli scarichi finivano nelle viscere della metropoli, si dividevano, s'incontravano con altri scarichi, venivano pompati negli impianti di rigenerazione e ricondotti nei distributori d'acqua. Poche ore dopo che l'autolavaggio aveva riportato a un bianco splendente il furgone di Henson, nelle tubature sotterranee tutto era irrimediabilmente mescolato.

Sei ore dopo sfrecciavano per le strade le prime ambulanze.

11 maggio

Château Whistler, Canada

Coi cambiamenti ci si poteva sempre aggiustare.

Lui almeno ci riusciva. Per quanto soffrisse a causa della perdita della casa, riusciva comunque a vivere. La fine del suo matrimonio aveva dato inizio a quel modo di vedere le cose. Poi c'era stato il trasferimento a Trondheim e l'avvio di nuove relazioni — pochissime, per la verità -, ma nulla l'aveva coinvolto emotivamente. Johanson aveva un concetto ben preciso di benessere e piacere, e tutto ciò che non vi corrispondeva poteva essere tranquillamente consegnato alla pattumiera della storia. Con gli altri condivideva solo la superficie, l'intimità la teneva per sé. Stava bene così.

In quel momento, nelle prime ore del mattino, ripensava agli avvenimenti meno gradevoli del suo passato. Dopo essersi svegliato, era rimasto nel letto, con gli occhi chiusi, a osservare il mondo dalla prospettiva del suo ego smisurato e a riflettere sulle persone che avevano fatto parte della sua vita e che erano crollate di fronte al cambiamento.

Sua moglie.

Col tempo, s'imparava che la vita apparteneva solo a se stessi e che soltanto noi potevamo influenzarla. Ma quando lui l'aveva lasciata, lei aveva dovuto imparare che nulla le apparteneva e che l'autodeterminazione era del tutto illusoria. Aveva cercato di convincerlo a restare, aveva imprecato, gridato, mostrato comprensione, ascoltato pazientemente. Aveva chiesto comprensione e toccato tutti i tasti, ma alla fine era stata piantata. Si era ritrovata impotente, spodestata, gettata fuori dalla loro vita comune come da un treno in corsa. Privata di ogni forza, aveva smesso di credere che i suoi sforzi potessero servire a qualcosa. Aveva perso. La vita era un gioco d'azzardo.

Anche se non mi ami più, non puoi almeno fingere che mi ami ancora? gli aveva detto.

Credi che staresti meglio? le aveva chiesto lui.

No, era stata la sua risposta. Sarei stata meglio se tu non mi avessi mai amato.

Bisognava sentirsi in colpa se i propri sentimenti cambiavano? I sentimenti andavano oltre la colpa o l'innocenza, erano l'espressione di processi biochimici dovuti alle circostanze vissute. Suonava del tutto privo di romanticismo, ma le endorfine avevano sempre trionfato sul romanticismo. Allora, dov'era la colpa? Nell'aver fatto promesse e non averle mantenute?

Johanson aprì gli occhi.

Per lui i cambiamenti erano sempre stati un elisir vitale. Per lei erano la fine della vita. Anni dopo — ormai lui viveva a Trondheim — aveva saputo che lei era finalmente riuscita a scrollarsi di dosso il senso d'impotenza. Aveva ripreso il controllo di se stessa. E, alla fine, lui aveva sentito dire che nella sua vita era rientrato un uomo. In seguito, qualche volta si erano telefonati, senza risentimenti e pretese. L'amarezza si era dissolta, eliminando anche la pressione su Johanson.

Ma adesso era tornata.

Adesso si chiamava Tina Lund e lo perseguitava, con quel viso bello e pallido. Da allora si prefigurava tutte le varianti. Ogni volta ricominciava da capo. L'aver fatto l'amore quella sera al lago, per esempio. Forse sarebbe andato tutto diversamente. Avrebbero passato più tempo insieme. Forse lei l'avrebbe seguito alle Shetland. Altrettanto facilmente, andare a letto insieme avrebbe rovinato tutto e, a quel punto, lui sarebbe stato l'ultimo cui avrebbe chiesto consigli. Per esempio, il consiglio di andare a Sveggesundet. In un caso o nell'altro, Tina sarebbe stata ancora viva.

Continuava a ripetersi che quei pensieri non avevano senso.

Eppure continuavano a girargli nella testa.

Nella stanza entrava la prima luce del sole. Aveva lasciato le tende aperte, com'era sua abitudine. Una camera da letto con le tende tirate gli era sempre sembrata una cripta. Pensò di alzarsi e andare a fare colazione, ma non aveva voglia di muoversi. La morte di Tina lo colmava di tristezza. Non era innamorato, ma in un certo senso aveva amato l'inquietudine di quella donna, la sua spinta verso la libertà. In quello si erano trovati. E su quello si erano persi, perché non aveva senso incatenare insieme due persone libere. Forse erano stati entrambi troppo vigliacchi.

Ma ormai a che cosa serviva rimuginare?

Prima o poi morirò anch'io, pensò. Da quando Tina era scomparsa tra i flutti, Johanson pensava spesso alla morte. Non si era mai sentito vecchio. Ora, però, aveva l'impressione che la provvidenza gli avesse stampato addosso una scritta del tipo DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE ENTRO…, come un vasetto di yogurt che si guardava con attenzione e poi si rimetteva giù, perché la scadenza era imminente. Aveva cinquantasei anni, era in condizioni eccezionalmente buone, che gli avevano permesso, almeno fino ad allora, di sfuggire alla statistica dei casi di morte determinati da incidenti e malattie. Era riuscito addirittura a sopravvivere a uno tsunami. Tuttavia non c'erano dubbi che il suo tempo si stava esaurendo. Aveva alle spalle la maggior parte della sua vita. E improvvisamente si ritrovava a domandarsi se avesse vissuto nel modo giusto.

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