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«Congratulazioni, fai carriera», disse Johanson.

Ci fu un breve silenzio.

«Lo voglio?» mormorò Tina.

«Come faccio a sapere cosa vuoi?»

«Non lo so neanch'io, maledizione!»

Johanson pensò al fine settimana al lago. «Non ne ho idea», replicò. «Nulla ti vieta di avere un compagno e fare comunque carriera, se è questo che ti fa esitare. A proposito, ce l'hai ancora?»

«Anche questo è un problema.»

«Il povero Kare sa perché sta con te?»

«Non siamo stati più molto insieme da quando… Da quando tu e io…» Lei scosse la testa. «Mentre passeggiamo nell'intimità di Sveggesundet o andiamo sulle isole, in un certo senso mi sembra di far parte di una messinscena completamente separata dal mondo reale.»

«Almeno è una bella messinscena?»

«È come andare in un luogo di cui si è innamorati», spiegò lei. «Ogni volta si va in visibilio. Una scenografia splendida, però, quando bisogna allontanarsi, scorrono le lacrime. Si vorrebbe restare. E, nel contempo, ci si chiede se davvero si vuole vivere nel posto più bello del mondo e se è ancora il più bel posto del mondo. Noi siamo abituati a vedere la nostra vita… Mio Dio, come posso dire? Perdiamo il senso del meraviglioso giorno per giorno. E allora cerchiamo qualcosa che non c'è. Capisci?» Sorrise timidamente. «Scusa, è tutto terribilmente sdolcinato e confuso. Non sono brava in queste cose.»

«No. Direi proprio di no.» Johanson la guardò, cercando i segni dell'indecisione. E invece vide una donna che aveva già deciso. Però lei non lo sapeva ancora. «Se non sei disposta a vivere in un luogo, allora vuol dire che non lo ami», commentò. «Al lago abbiamo parlato proprio di queste cose, ricordi? Forse dovresti andare da Kare e dirgli che lo ami e che vuoi diventare vecchia come il cucco insieme con lui. Mi faresti un grande favore, così non sarei costretto a seguirti ogni due giorni nei pantani delle tue ampollose allegorie.»

«E se va male?»

«Ma tu non sei una fifona.»

«E invece sì», sussurrò. «Lo sono.»

«Diffidi della tua felicità. L'ho fatto anch'io una volta e non è stato un bene.»

«E allora? Oggi sei felice?»

«Sì.»

«Senza limiti?»

Johanson alzò le braccia in un disperato gesto di difesa. «Ma chi è felice senza limiti? Non mi faccio illusioni su me stesso e sugli altri. Voglio i miei flirt, il mio vino, i miei divertimenti e voglio decidere finché devono durare. Tendo alla discrezione, ma non alla compensazione. Ogni psichiatra con me si annoierebbe a morte, perché io voglio solo la mia tranquillità. Tutto sommato, mi va alla grande. Ma io sono io. La mia felicità dipende da circostanze diverse dalle tue. L'affido solo a me stesso. Tu devi ancora impararlo, e lo devi imparare in fretta. Kare non è né un luogo né una casa. Non aspetterà in eterno.»

Tina annuì. Si era alzato il vento e giocava coi suoi capelli. Johanson si rese conto di quanto gli era cara. Era contento che al lago non fossero arrivati a quel tipo di rapporto che portava impressa una data di scadenza, determinando così la durata del suo affetto.

«Se Stone andrà sulla scarpata continentale, potrò entrare a Stavanger», ragionò Tina. «Questo va bene. La Thorvaldson è già pronta in mare, Stone potrebbe salire a bordo domani o dopodomani. Per Stavanger ci vorrà più tempo. Dovrò scrivere un rapporto dettagliato. Così avrei un paio di giorni per andare a Sveggesundet e là… lavorare.»

«Lavorare, certo», sorrise Johanson. «Perché no?»

Lei strinse le labbra. «Devo riflettere e parlarne con Skaugen.»

«Fallo», la spronò Johanson. «E pensa in fretta.»

Di ritorno alla sua scrivania, Johanson guardò le e-mail in arrivo. Nulla che gli fornisse qualche indicazione. Soltanto l'ultima suscitò il suo interesse non appena ebbe dato uno sguardo al mittente: [email protected]

Johanson la aprì.

Salve dottor Johanson, grazie per la sua mail. Sono appena tornata da Londra e, al momento, posso soltanto dire che non ho la minima idea di che cosa sia successo a Lukas Bauer e alla sua nave, perché abbiamo perso ogni contatto. Se vuole possiamo incontrarci tra qualche giorno… Magari ci aiuteremmo a vicenda. A metà della prossima settimana sarò nel mio ufficio di Londra. In caso volesse incontrarmi prima, sappia che, al momento, sono in visita alle isole Shetland. Magari potremmo incontrarci qui. Mi faccia sapere cosa preferisce.

KAREN WEAVER

«Guarda un po' come sa essere cooperativa la stampa», mormorò Johanson.

Lukas Bauer era sparito?

Forse doveva incontrare un'altra volta Skaugen. Al massimo, se avesse presentato la sua teoria, si sarebbe reso ridicolo. Ma era davvero una teoria? Di fatto l'unica prova che aveva era la brutta sensazione che il mondo fosse in bilico e che la colpa fosse del mare.

Se voleva sviluppare seriamente quel pensiero, era tempo di preparare un dossier.

Rifletté. Doveva incontrare Karen Weaver il più presto possibile. Perché non alle isole Shetland? Sarebbe stato un po' complicato per gli aerei, ma non rappresentava un gran problema, visto che pagava la Statoli.

No, pensò improvvisamente. Non è per nulla complicato.

Skaugen non aveva forse detto che si sarebbe fatto mettere in croce per lui?

Non era necessario arrivare a tanto.

Sarebbe bastato mettere a disposizione un elicottero.

Era una buona idea! Un elicottero di servizio. Non uno di quelli che sembravano una specie di autobus di linea volanti, no. Uno di quelli usati dai manager, veloci e confortevoli. Visto che Skaugen lo aveva reclutato con la forza, doveva fare qualcosa per lui.

Johanson si appoggiò allo schienale e guardò l'orologio. Di lì a un'ora aveva lezione e poi un incontro in laboratorio coi colleghi per discutere un'analisi del DNA.

Aprì una nuova cartelle e scrisse il nome del file: IL QUINTO GIORNO.

Gli era venuto così, d'istinto. Forse era un nome po' troppo poetico, però non riuscì a pensare a nulla di meglio. Secondo la Bibbia, il quinto giorno era quello in cui Dio aveva creato il mare e i suoi abitanti. E adesso erano proprio il mare e i suoi abitanti a creare problemi.

Iniziò a scrivere.

E, di minuto in minuto, tutto gli apparve più chiaro.

2 maggio

Vancouver e Vancouver Island, Canada

Da ventotto ore, Ford e Anawak stavano studiando quell'unica sequenza.

Prima soltanto nero. Poi l'emissione di un potente impulso sonoro oltre il limite dell'udito umano. Tre volte.

Quindi la nuvola.

Una nuvola blu, fosforescente, comparsa d'un tratto sul monitor, come un universo in espansione. Non si trattava di una luce intensa, ma di un blu fioco, un leggero chiarore diffuso, sufficiente tuttavia a scorgere le massicce figure delle balene. La nuvola si era poi allargata rapidamente. Doveva essere enorme. Aveva occupato tutto lo schermo e le balene le stavano davanti, immobili, come stregate.

Erano trascorsi alcuni secondi.

Nelle profondità della nuvola si scorgevano dei movimenti. Improvvisamente era balzato fuori qualcosa che somigliava a un fulmine strisciante, con punte sottili che saettavano in tutte le direzioni. Aveva toccato una delle balene — Lucy — su un lato della testa. La scarica non era durata neppure un secondo. Altri fulmini avevano toccato altri animali. Era come un temporale sottomarino, finito con la stessa velocità con cui era iniziato.

Quindi il filmato era sembrato scorrere al contrario. La nuvola si era ritirata in se stessa, era collassata e sparita. Lo schermo era tornato nero. Gli uomini di Ford avevano rallentato sempre più la sequenza, fatto tutto il possibile per ottimizzare la qualità dell'immagine e ottenere più luminosità, ma anche dopo ore di analisi il video con la fuga notturna delle balene restava un mistero.

Infine Anawak e Ford avevano preparato un rapporto per l'unità di crisi. Avevano ottenuto il permesso di far arrivare da Nanaimo un biologo specializzato in bioluminescenza e lui, dopo un'iniziale perplessità, era arrivato alle loro stesse conclusioni: la nuvola e i lampi luminosi erano presumibilmente di origine organica. L'esperto aveva sostenuto che i lampi erano il risultato di una reazione a catena nella struttura della nuvola, ma non era stato in grado di dire come si fossero prodotti e quale scopo avessero. La forma a serpentina e il fatto che sulle punte diventassero più sottili facevano pensare a un calamaro, ma, in tal caso, doveva trattarsi di un animale enorme. Senza contare che non c'erano certezze sulla luminescenza dei calamari giganti. E comunque non si sarebbero spiegate la presenza della nuvola e tantomeno l'origine di quei fulmini.

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