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Che fosse il pensiero dell'animale esploso, o semplicemente la conseguenza della sua malattia, improvvisamente vomitò con violenza tra le piante ornamentali. Mentre era ancora lì, ansante e mezzo strozzato, pensò che quella robaccia era uscita. Bene. Avrebbe bevuto un sorso d'acqua e sarebbe stato subito meglio.

Si risollevò, ma il mondo intorno a lui vorticava. Si sentiva bruciare, il suo campo visivo si era ristretto e gli sembrava di guardare in una spirale. Devi alzarti, pensò. Devi alzarti e andare in cucina a controllare che sia tutto a posto. Niente può andare storto. Non al Troisgros.

Avanzò a fatica, strascicando i piedi, ma prese la direzione opposta. Dopo due passi, non ricordava più che voleva andare in cucina. Non sapeva più nulla e non vedeva più nulla.

Crollò sotto gli alberi che circondavano il giardino.

18 aprile

Vancouver Island, Canada

Non finiva mai.

Anawak sentiva gli occhi stringersi e arrossarsi, le palpebre gonfiarsi e tutt'intorno gli si erano formate rughette che non avrebbe dovuto avere, perché era troppo giovane. Era rimasto a fissare lo schermo finché la testa gli non era caduta sul tavolo. Dopo il delirio sulla costa occidentale, non aveva fatto altro che guardare video, senza peraltro riuscire ad assimilare che una minima parte del materiale. Erano registrazioni la cui esistenza era dovuta a una delle invenzioni più rivoluzionarie nella ricerca sul comportamento: la telemetria animale.

Alla fine degli anni '70, i ricercatori avevano sviluppato un metodo rivoluzionario per osservare gli animali. Fino ad allora, erano state possibili solo osservazioni imprecise sulla zona di diffusione e sulle migrazioni di alcune specie; di conseguenza, sulla vita di molti animali, sui loro sistemi di caccia, sulla riproduzione e sui bisogni di ogni singolo individuo era possibile solo fare speculazioni. Naturalmente c'erano migliaia di animali oggetto di costante osservazione, ma quasi sempre vivevano in cattività e non era possibile trarre conclusioni attendibili sul loro comportamento in natura. Un animale in cattività non faceva nulla di quello che avrebbe fatto se fosse stato in libertà, più o meno come un carcerato in cella non offriva dati significativi sulla vita che avrebbe condotto come uomo libero.

E anche se gli animali venivano studiati nel loro ambiente naturale, le conoscenze restavano insufficienti: o scappavano o non si facevano neppure vedere. Nei fatti, più un ricercatore osservava l'oggetto dei suoi studi, più quello si allontanava. Nel caso di specie meno timide — come gli scimpanzé o i delfini -, gli esemplari osservati regolavano il proprio comportamento sulla base dell'osservatore, reagivano aggressivamente o con curiosità, talvolta diventavano vanitosi e si mettevano in posa; in breve, impedivano ogni conoscenza oggettiva. Quando poi si stancavano, scomparivano nella boscaglia, volavano via o s'immergevano sotto la superficie dell'acqua, dove finalmente si comportavano in maniera conforme alla loro natura. Ma era impossibile seguirli.

Fin dai tempi di Darwin i biologi si erano posti domande cui non avevano saputo rispondere: come sopravvivono gli animali nelle fredde acque dell'Antartico? Come si può osservare un biotopo sotto una coltre di ghiaccio? Come si vede il mondo durante il volo sul Mediterraneo verso l'Africa se non si è su un aereo, bensì sulla schiena di un'oca selvatica? Che cosa capita a una singola ape nel giro di ventiquattr'ore? Come si ottengono dati sulla frequenza dei colpi d'ala, sul ritmo cardiaco, sulla pressione del sangue, sul comportamento alimentare, sulle prestazioni fisiologiche nell'immersione, sull'immagazzinamento dell'ossigeno e sulle conseguenze dell'influsso antropico, come il rumore delle navi o le esplosioni sottomarine, sui mammiferi marini?

Come raggiungere gli animali là dove nessun essere umano poteva seguirli?

La risposta era arrivata con una tecnologia grazie alla quale gli spedizionieri potevano determinare la posizione dei loro mezzi senza lasciare l'ufficio, e gli autisti riuscivano a trovare una strada in città sconosciute. Quella tecnologia era già comunemente acquisita senza che si sospettasse che di lì a poco avrebbe rivoluzionato la zoologia.

La telemetria.

Già alla fine degli anni '50, gli scienziati americani avevano elaborato progetti per dotare di sonde alcuni animali. La marina degli Stati Uniti aveva iniziato a lavorare coi delfini ammaestrati, tuttavia i primi tentativi erano falliti per le dimensioni delle trasmittenti, troppo pesanti. A che cosa serviva raccogliere informazioni con un cronotachigrafo sulla schiena di un delfino, se proprio quello strumento ne influenza il comportamento? Era stato un problema irresolubile finché la microelettronica non era andata incontro a una svolta: minuscoli cronotachigrafi e telecamere ultraleggere fornivano ogni informazione sulla vita degli animali, senza che questi ultimi ne fossero infastiditi. Essi vagavano per le foreste oppure s'immergevano sotto i lastroni di ghiaccio del McMurdo Sound portandosi appresso un oggetto high-tech di appena quindici grammi. Gli animali fornivano così informazioni sul loro stile di vita, sull'accoppiamento, sul modo di cacciare e sulle rotte di migrazione. Era possibile volare in mezzo mondo con uccelli di ogni specie. La tecnologia si era evoluta a tal punto che anche gli insetti erano stati dotati di microtrasmittenti che pesavano un millesimo di grammo, prendevano l'energia dalle onde radar e rimandavano onde a frequenza raddoppiata, in modo che i dati fossero ricevibili anche a oltre settecento metri di distanza.

La maggior parte delle misurazioni erano affidate alla telemetria satellitare, un sistema tanto semplice quanto geniale. I segnali dei trasmettitori degli animali venivano ricevuti da ARGOS, un sistema di satelliti dell'agenzia spaziale francese CNES, e poi rispediti alla centrale di controllo a Tolosa e verso Fairbanks, negli Stati Uniti, da dove, nel giro di meno di due ore, venivano diffusi a una serie d'istituti in tutto il mondo.

La ricerca su balene, foche, pinguini e tartarughe marine si era sviluppata come un settore specifico della telemetria, permettendo di osservare il più affascinante, perché quasi inesplorato, spazio vitale della Terra. Cronotachigrafi ultraleggeri immagazzinavano dati provenienti da notevoli profondità: registravano temperatura, profondità e durata delle immersioni, posizione, direzione e velocità. Ma il loro segnale non era in grado di passare attraverso l'acqua, così i satelliti ARGO erano condannati alla cecità rispetto agli abissi marini. Le megattere, che trascorrevano la maggior parte della loro vita lungo le coste della California, rimanevano in superficie al massimo un'ora al giorno. Quindi, mentre gli ornitologi potevano osservare le cicogne migratrici e ricevere dati in tempo reale, i ricercatori marini erano come tagliati fuori non appena le balene s'immergevano. Per poterle studiare davvero, avrebbero dovuto seguirle sul fondo del Pacifico con la telecamera, ma per un sommozzatore sarebbe stato impossibile e i sommergibili erano troppo lenti e poco manovrabili.

Ma gli scienziati dell'University of California di Santa Cruz erano infine riusciti a trovare la soluzione: una telecamera sottomarina del peso di pochi grammi e resistente alla pressione. Avevano fissato lo strumento a diversi cetacei. In breve, si erano scoperti alcuni fenomeni sorprendenti e, nel giro di poche settimane, le conoscenze sui mammiferi marini si erano considerevolmente ampliate. Sarebbe stato fantastico poter seguire balene e delfini con le sonde trasmittenti come si faceva con gli altri animali, ma purtroppo era difficile, se non impossibile. Ecco perché Anawak non poteva avere tutte le informazioni che avrebbe desiderato sull'ambiente delle balene. Nel contempo, però, le informazioni erano anche troppe: nessuno sapeva dire a che cosa bisognasse prestare particolare attenzione, quindi ogni informazione poteva essere importante. Migliaia di ore di filmati e registrazioni audio, misurazioni, analisi, statistiche.

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