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In quella vita, due donne avevano avuto fiducia in lui, e lui noa era riuscito a proteggerle. La prima era morta e l'altra, al momento, era come se lo fosse.

Karen Weaver era viva.

Gli ricordava Tina Lund. Era chiusa, d'indole più seria e assai meno frenetica. In compenso, era altrettanto forte, decisa e impaziente. Dopo che erano riusciti a sfuggire all'onda gigante, lui le aveva esposto la sua teoria e lei gli aveva spiegato il lavoro di Lukas Bauer. Poi Johanson era tornato in Norvegia e si era ritrovato nell'elenco dei senzatetto, ma gli edifici dell'NTNU erano ancora in piedi. Era stato sommerso dal lavoro, finché non aveva ricevuto una telefonata dal Canada, cosa che gli aveva impedito di andare al lago. La proposta di far entrare nel team Karen Weaver era stata sua, sostenuta dal fatto che lei conosceva meglio di chiunque altro il lavoro di Bauer ed era in grado di svilupparlo. Ma lui aveva anche altri motivi. Senza l'elicottero non sarebbe sopravvissuta all'ondata. In un certo senso, l'aveva salvata. Karen gli dava l'assoluzione per il fallimento con Tina, e lui era deciso a mostrarsene degno. In futuro, si sarebbe curato di lei e per quello era un bene saperla nelle vicinanze.

Alla luce del sole, il passato sbiadì. Johanson si alzò, andò a fare la doccia, e alle 6.30 si presentò al buffet. Scoprì di non essere l'unico mattiniero. Nella sala spaziosa c'erano soldati e agenti segreti che bevevano caffè, mangiavano frutta e muesli e parlavano a bassa voce. Johanson riempì un piatto di pancetta e uova strapazzate e si mise alla ricerca di un volto noto. Gli sarebbe piaciuto fare colazione con Bohrmann, ma non c'era. Vide invece Judith Li seduta a un tavolino a due posti. Sfogliava un classificatore e di tanto in tanto piluccava un pezzo di frutta da una tazza, mettendolo in bocca senza guardare.

Johanson la osservò. Judith Li esercitava su di lui un fascino indefinibile. Valutò che fosse meno giovane di quanto sembrava. Con un po' di make-up e il vestito giusto sarebbe stata senza dubbio al centro di ogni party. Si chiese cosa bisognasse fare per andare a letto con lei, ma probabilmente era meglio non provarci neppure. Judith Li non sembrava un donna disposta a lasciare l'iniziativa agli altri. Inoltre una storia con un generale comandante della Marina americana sarebbe stata davvero troppo.

Judith sollevò la testa. «Buongiorno, dottor Johanson», lo salutò. «Dormito bene?»

«Come un bambino.» Si avvicinò al tavolo. «Come mai fa colazione da sola? La solitudine dei superiori?»

«No, sto rimuginando su alcuni problemi.» Sorrise e lo fissò con quei suoi incredibili occhi acquamarina. «Mi faccia compagnia, dottore. Mi piace avere intorno persone che hanno idee originali.»

Johanson si accomodò. «Cosa glielo fa pensare?»

«È evidente.» Appoggiò i documenti. «Caffè?»

«Volentieri.»

«Lo ha rivelato ieri alla conferenza. Finora nessuno degli scienziati è riuscito a vedere oltre il proprio campo di specializzazione. Shankar si lambicca il cervello sui rumori degli abissi che non riesce a classificare; Anawak si chiede che cosa sia successo alle sue balene… benché, probabilmente, sia l'unico che riesca ad allargare il pensiero oltre la propria sfera di competenza. Bohrmann vede il rischio di un 'massimo incidente ipotizzabile' col metano e cerca di analizzare gli elementi noti e quelli possibili per impedire un secondo smottamento. E così via.»

«Be', non è poco.»

«Ma nessuno di loro ha sviluppato una teoria che metta tutto in relazione.»

«Ora ce l'abbiamo», disse Johanson con aria indifferente. «Sono i terroristi arabi, no?»

«Lo crede anche lei?»

«No.»

«Allora che cosa crede?»

«Credo che avrò bisogno di un paio di giorni prima di dirglielo.»

«Non ne è ancora certo?»

«Quasi.» Johanson sorseggiò il caffè. «Ma è un tema delicato. Il suo Vanderbilt si è convinto che si tratti di terrorismo. Voglio coprirmi le spalle prima di esporre le mie ipotesi.»

«E chi dovrebbe coprirla?»

Johanson appoggiò la tazza del caffè. «Lei.»

Judith Li non sembrò particolarmente sorpresa. Rimase per un momento in silenzio, poi disse: «Se mi vuole convincere di qualcosa, forse dovrei sapere che cos'è».

«Sì.» Johanson sorrise. «Al momento opportuno.»

La donna gli passò il raccoglitore e Johanson vide che conteneva diversi fax. «Forse questo accelererà la sua decisione, dottore. È arrivato stamattina alle cinque. Non abbiamo ancora uno sguardo d'insieme e nessuno è in grado di dire con certezza cosa sia successo, ma ho deciso che, nelle prossime ore, dichiareremo lo stato d'emergenza a New York e nelle zone limitrofe. Peak è già là per coordinare gli interventi.»

Johanson fissò il raccoglitore, immaginando una nuova onda anomala. «Perché?»

«Cosa direbbe se lungo la costa di Long Island stessero uscendo dal mare miliardi di granchi bianchi?»

«Direi che stanno facendo una gita aziendale.»

«Buona idea. Per quale azienda?»

«Che sta succedendo?» disse Johanson, ignorando la sua domanda. «Che cosa fanno?»

«Non ne siamo ancora sicuri. Ma pensiamo a qualcosa di simile agli astici bretoni in Europa. Diffondono un'epidemia. Può rientrare nella sua teoria, dottore?»

Johanson rifletté, poi disse: «Qui in zona c'è un laboratorio chiuso ermeticamente in cui esaminare gli animali?»

«Ne abbiamo allestito uno. A Nanaimo. Ci stanno già portando alcuni esemplari dei granchi.»

«Esemplari vivi?»

«Non so se siano ancora vivi. So soltanto che erano vivi quando sono stati catturati. In compenso sono già morte molte persone. Shock anafilattico. Sembra si tratti di un veleno con effetto ancora più rapido di quello delle alghe diffuse in Europa.»

Per un momento Johanson rimase in silenzio. «Ci vado», disse poi.

«A Nanaimo?» Judith Li annuì, soddisfatta. «Buona idea. E quand'è che mi dirà quello che pensa?»

«Mi dia ventiquattr'ore.»

Judith si morse le labbra e rifletté per qualche secondo. «Ventiquattr'ore. Non un minuto di più», replicò.

Nanaimo, Vancouver Island

Anawak era nella sala riunioni più grande dell'istituto con Ray Fenwick, John Ford e Sue Oliviera. Il proiettore mostrava il modello tridimensionale del cervello di una balena. Sue l'aveva preparato al computer e aveva segnato i punti in cui si trovava la gelatina. Il cervello si poteva osservare da tutte le angolazioni ed era possibile «tagliarlo a fette» per la lunghezza con una lama virtuale. Erano già state proiettate tre simulazioni. La quarta mostrava la sostanza che si diffondeva tra le circonvoluzioni cerebrali con sottili propaggini, che in alcuni punti si spingevano all'interno.

«La teoria è la seguente», cominciò Anawak, con lo sguardo fisso sulla biologa. «Immagina di essere uno scarafaggio…»

«Grazie, Leon.» Sue sollevò le sopracciglia, facendo così sembrare ancora più lungo il suo viso da cavallo. «Tu sì che sai adulare una donna.»

«Uno scarafaggio senza intelligenza e creatività.»

«Continua pure tranquillamente.»

Fenwick rise e si grattò il naso.

«Sei guidata esclusivamente dai riflessi», proseguì Anawak, impassibile. «Per un neurofisiologo, guidarti sarebbe un gioco da ragazzi. Non dovrebbe far altro che controllare i tuoi riflessi e usarli secondo i suoi desideri. Come una protesi. Soprattutto saprebbe dove sono i bottoni da schiacciare.»

«Ricordo male o qualcuno, una volta, ha decapitato uno scarafaggio per impiantargli la testa di un altro?» chiese Ford. «E se non sbaglio la bestiolina aveva ripreso a camminare.»

«All'incirca è così. Hanno decapitato uno scarafaggio e a un altro hanno tolto le zampe. Poi hanno collegato tra loro i sistemi nervosi dei due corpi e lo scarafaggio con la testa ha preso il controllo dell'apparato motorio dell'altro, come se non ne avesse mai avuto uno proprio. È proprio questo quello che voglio dire. Creature semplici, dinamiche semplici. In un altro esperimento, hanno cercato di fare qualcosa di simile coi topi. A un topo è stata trapiantata una seconda testa e lui è vissuto incredibilmente a lungo, qualche ora o addirittura giorni, credo, e le due teste sembravano funzionare in maniera del tutto normale, ma il controllo del corpo, naturalmente, era più complicato. Il topo camminava, però non andava sempre dove voleva e in genere cadeva dopo qualche passo.»

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