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«Mmm…» Lei arricciò il naso. «È vero, in effetti le stanziali non hanno fatto niente di male.»

«Appunto. Nel Johnstone Strait non ci sono stati attacchi. E là c'erano dei kayak.»

«Allora il pericolo viene dagli animali migratori.»

«Dalle orche transienti e probabilmente da quelle offshore. Le megattere e la balena grigia identificate sono migratrici. Tutte e tre hanno trascorso l'inverno nella Bassa California, è documentato. Abbiamo mandato per e-mail le foto delle pinne caudali all'Istituto di biologia marina di Seattle, dove confermano che, negli ultimi anni, quegli animali sono stati avvistati là.»

Alicia lo guardò irritata. «Non è una novità che le megattere e le balene grigie migrino.»

«Non tutte.»

«Oh. Pensavo…»

«Quando Shoemaker, Greywolf e io siamo tornati in mare, è successa una cosa bizzarra. Me n'ero quasi dimenticato. Dovevamo portare a bordo i passeggeri della Lady Wexham. La nave stava affondando ed eravamo sotto l'attacco di un gruppo di balene grigie. Ero sicuro che non saremmo nemmeno riusciti a salvare la nostra pelle, figuriamoci quella di qualcun altro. Ma improvvisamente sono emerse vicino a noi due balene grigie e non ci hanno fatto niente. Sono rimaste semplicemente per un po' nell'acqua e le altre si sono ritirate.»

«Erano stanziali?»

«Per tutto l'anno, sulla costa occidentale c'è una dozzina di balene grigie. Sono troppo vecchie per sopportare la fatica delle migrazioni. Quando i branchi arrivano da sud, le vecchie vengono riaccolte con un rituale di saluto. Ho riconosciuto una di quelle stanziali e non era ostile nei nostri confronti. Al contrario, credo che le dobbiamo la vita.»

«Non ho parole! Vi hanno protetti!»

«Be', sono sorpreso…» Anawak sollevò le sopracciglia. «Una simile umanizzazione che esce dalle tue labbra?»

«Da tre giorni a questa parte, credo praticamente a tutto.»

«'Protetti' mi sembra esagerato, ma credo che abbiano tenuto lontano le altre. Non avevano simpatia per gli aggressori. Con una certa cautela, si potrebbe concludere che lo strano comportamento riguardi solo gli animali migratori. Gli stanziali — di qualsiasi specie — sono pacifici. Sembra quasi che si rendano conto che gli altri non ci stanno più con la testa.»

«Potrebbe essere…» disse Alicia, pensierosa, «Insomma, buona parte degli animali sparisce sulla strada dalla Bassa California a qui, in mare aperto. Le orche aggressive vivono appunto al largo, nel Pacifico.»

«Appunto. Bisognerebbe cercare il motivo del loro cambiamento proprio là, negli abissi del mare blu, al largo.»

«Cercare… Ma cosa?»

«Lo scopriremo», disse John Ford. Era comparso vicino a loro, tirò a sé una sedia e si accomodò. «E prima che quei tipi del governo mi facciano impazzire con le loro continue chiamate.»

«Mi sono accorta di un'altra cosa», disse Alicia durante il dessert. «Le orche si divertivano, ma le balene più grandi no.»

«Cosa te lo fa pensare?» chiese Anawak.

«Ma sì», esclamò lei, con la bocca piena di mousse al cioccolato. «Prova a immaginare di dover saltare contro qualcosa per capovolgerlo. O di lasciarti cadere su una cosa che ha spigoli e angoli. Non correresti il serio rischio di ferirti?»

«Hai ragione», disse John. «Gli animali potrebbero essersi feriti. E non c'è animale che si ferisca spontaneamente se non per il mantenimento della specie o la protezione della prole.» Si tolse gli occhiali e li pulì meticolosamente. «Vogliamo provare a buttar lì qualche teoria assurda? E se tutta la faccenda fosse stata una sorta di protesta?»

«Contro che cosa?»

«Contro la caccia alle balene.»

«Una protesta delle balene contro la caccia alle balene?» esclamò Alicia, incredula.

«In passato, ci sono stati attacchi ad alcune baleniere», disse Ford. «Specialmente se minacciavano i piccoli.»

Anawak scosse la testa. «Non ci credi neppure tu.»

«Era un'ipotesi.»

«Vuoi dire che non si rendono conto di essere cacciate?» chiese Alicia. «È una sciocchezza.»

Anawak alzò gli occhi al cielo. «Non riconoscono la sistematicità della caccia. I globicefali si spiaggiano sempre nelle stesse insenature. Alle isole Fær Øer, i pescatori ne spingono interi branchi e li colpiscono con efferata determinazione: un massacro in piena regola. Oppure guarda in Giappone, a Futo, dove si massacrano focene comuni e marsovini. Gli animali sanno da generazioni che cosa li aspetta: perché ritornano sempre lì?»

«Non è di certo segno di una particolare intelligenza», annuì John. «D'altra parte, per quanto si conoscano bene le conseguenza ogni anno si vaporizzano propellenti e si dibosca la foresta tropicale. Anche questo è il segno di un'intelligenza non particolarmente acuta, non credete?»

Alicia aggrottò la fronte e spazzolò gli ultimi resti della mousse.

«È vero», esclamò Anawak dopo un momento.

«Che cosa?»

«Alicia ha ragione, gli animali devono essersi feriti saltando contro le navi. Se ti venisse in mente di uccidere delle persone, che faresti? Ti piazzeresti tranquillo in un posto che ti permette una buona visuale, e poi faresti fuoco. Ma staresti bene attento a non spararti nei piedi.»

«A meno che tu non sia pazzo.»

«O ipnotizzato.»

«O malato. O confuso. Ecco, l'ho detto; quegli animali sono confusi.»

«Un lavaggio del cervello, forse?»

«Smettiamola di dire idiozie,»

Per un po' nessuno disse nulla. Erano tutti assorti nei loro pensieri, a dispetto del crescente frastuono all'interno del Cardero's. Dai tavoli vicini arrivavano stralci di conversazioni. Gli avvenimenti recenti dominavano la stampa e la vita pubblica. Qualcuno metteva in relazione quanto accaduto lungo la costa con le avarie nelle acque asiatiche. In Giappone e nello stretto di Malacca erano avvenuti in breve tempo i peggiori disastri navali dell'ultimo decennio. Ci s'intratteneva su questioni specialistiche e si scambiavano teorie, ma sembrava proprio che quei tragici avvenimenti non avessero tolto l'appetito agli avventori.

«E se dipendesse dai veleni?» chiese infine Anawak. «Dal PCB, da tutta quella porcheria. Che qualcosa faccia impazzire gli animali?»

«In ogni caso li fa infuriare», ironizzò John. «L'ho già detto, protestano. Perché gli islandesi chiedono un aumento delle quote di pesca, i giapponesi li incalzano e i norvegesi se ne infischiano della IWC, dell'International Whaling Commission. Perché anche i makah vogliono rimettersi a cacciarle. Ehi! È per questo!» Sorrise. «Devono averlo letto sui giornali.»

«Tenuto conto che sei il direttore del comitato scientifico, mi sembra che tu non abbia le idee molto chiare», disse Anawak. «Per non parlare della tua fama di scienziato serio.»

«Makah?» fece eco Alicia.

«Una tribù dei nuu-chah-nulth», spiegò John. «Indiani dell'ovest di Vancouver Island. Da anni stanno cercando di ottenere dai tribunali il diritto di riprendere la caccia alle balene.»

«Che cosa? Ma dove vivono? Sono pazzi?»

«Il Signore ti conservi il tuo sdegno da persona civile, ma l'ultima volta che i makah hanno cacciato balene è stato nel 1928», sbadigliò Anawak. Riusciva appena a tenere gli occhi aperti. «Non sono stati loro a portare al limite dell'estinzione le balene grigie, quelle azzurre e le megattere. Per i makah è una questione di salvaguardia della loro cultura; infatti sostengono che ormai nessuno di loro padroneggia più la caccia tradizionale alla balena.»

«E allora? Per mangiare carne di balena basta andare al supermercato.»

«Non interrompere le nobili perorazioni di Leon», la ammonì Ford, versandosi il vino.

Alicia fissò Anawak. Nei suoi occhi cambiò qualcosa.

Per favore, no, pensò lui.

Lui aveva l'aspetto di un indiano, ma Alicia avrebbe tratto le conclusioni sbagliate. Anawak poteva letteralmente sentire l'arrivo della domanda. Avrebbe dovuto spiegare e non c'era nulla che odiasse di più. Lo odiava e avrebbe voluto che Ford non avesse iniziato a parlare dei makah.

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