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E invece fu proprio il fiordo a rivelarsi una trappola mortale.

Se uno tsunami arrivava in uno stretto di mare o in un'insenatura a forma d'imbuto, le masse d'acqua non erano più spinte solo dal basso, ma anche dai lati. Parecchie migliaia di tonnellate d'acqua si comprìmevano in uno stretto canale. L'effetto era catastrofico. Il fiordo di Sogen, a nord di Bergen, era lungo ma stretto, collocato tra ripide pareti rocciose; lì l'altezza dell'acqua crebbe in maniera drammatica. La maggior parte delle località lungo quel fiordo sorgeva al di sopra delle scogliere, sul plateau. L'acqua schizzò fino alla loro altezza, ma non fece gravi danni. Andò diversamente al termine del fiordo lungo quasi cento chilometri, dove, su una bassa penisola, sorgevano villaggi e piccole città, gli uni di fianco alle altre. L'ondata li rase al suolo e si fermò solo contro la montagna alle loro spalle. La schiuma schizzò fino a duecento metri di altezza e strappò il manto boschivo, poi la massa d'acqua ricadde su se stessa e si propagò nei fiumi limitrofi.

Il fiordo di Trondheim era più largo di quello di Sogen e le sue pareti erano meno alte. Inoltre, poiché verso il fondo si allargava, i frangenti potevano suddividersi meglio. Tuttavia la montagna d'acqua che raggiunse Trondheim fu ancora sufficientemente alta per distruggere il porto e una parte della città vecchia. Il fiume Nidelva uscì dagli argini e si spinse nei quartieri di Bakklandet e Mollenberg. Slavine di schiuma riducevano a pezzi le vecchie case. In via Kirkegata quasi tutte le case caddero sotto la violenza dell'acqua, anche quella di Sigur Johanson. La graziosa facciata venne abbattuta, il rivestimento di legno fu disintegrato e il tetto crollò sotto il devastante fronte d'acqua. Le macerie, ormai diventate parte integrante della massa d'acqua, vennero trascinate via dall'onda, che tuttavia perse forza contro le fondamenta dell'NTNU, si fermò, formando spaventosi vortici, e cominciò a rifluire.

Gli Olsen abitavano in una strada dietro via Kirkegata, e la loro casa, costruita in legno come quella di Johanson, resse l'impatto dello tsunami. Tremò e oscillò. All'interno, i mobili si rovesciarono, le stoviglie si ruppero e il pavimento delle stanze anteriori s'incurvò. I bambini furono presi dal panico. Olsen gridò alla moglie di portarli sul retro della casa. Non sapeva cosa fare, ma pensò che, se l'acqua colpiva la casa nella parte anteriore, forse in quella posteriore sarebbero stati al sicuro. Mentre il resto della famiglia fuggiva, lui si arrischiò a guardare, trattenendo il fiato, da una delle finestre sul davanti. Il pavimento di legno sotto i suoi piedi continuò a incurvarsi e a scricchiolare rumorosamente senza tuttavia rompersi. Olsen si aggrappò al telaio della finestra, deciso a fuggire subito nel retro se la casa fosse stata colpita da un'altra ondata. Guardava sbalordito la città distrutta, vedeva alberi, auto e persone galleggiare nei gorghi dell'acqua, sentiva le grida e il rombo dei muri che crollavano. Poi l'aria fu scossa da diverse esplosioni e dal porto si levarono nuvole rosse e nere.

Era la cosa più spaventosa che avesse mai visto. Il pensiero di dover proteggere la famiglia tuttavia lo riscosse. L'unica cosa importante era la sopravvivenza dei figli e della moglie.

E, se possibile, anche la sua.

D'un tratto, l'onda sembrò fermarsi.

Olsen guardò ancora un po' fuori, poi con cautela si spostò sul retro. Fu immediatamente subissato dalle domande. Vide il terrore negli occhi dei figli e sollevò le mani in un gesto rassicurante, sebbene fosse anche lui spaventato a morte. Poi annunciò che ormai era finita e che non dovevano più temere nulla. Ovviamente non era finita, per niente. Dovevano uscire. Gli venne l'idea di fuggire attraverso i tetti, ma la moglie lo rimproverò di aver visto troppi film di Hitchcock e gli chiese come pensava di fare coi bambini. Olsen non seppe come rispondere. Lei allora propose di aspettare. A lui non venne in mente niente di meglio, così si disse d'accordo e ritornò alla finestra sul davanti della casa.

Stavolta, quando guardò fuori, vide che l'ondata stava rifluendo. La massa d'acqua si spostava sempre più velocemente verso il fiordo.

Ce l'abbiamo fatta, pensò. Si sporse ancora di più verso l'esterno. Nello stesso momento, un colpo scosse la casa. Olsen si aggrappò al telaio della finestra. Il pavimento crollò. Lui avrebbe voluto saltare indietro, ma non c'era più nulla. Nel pavimento del soggiorno si era spalancata una voragine, in cui entrava la pioggia. Olsen cadde in avanti. Sulle prime, credette di essere stato gettato fuori dalla finestra. Poi comprese che la facciata della casa si stava staccando come un cartone incollato male, e s'inclinava verso i flutti.

Gridò con tutte le sue forze.

Gli abitanti delle Hawaii, che convivevano da generazioni con quel mostro, sapevano bene che cos'era il riflusso. Le masse d'acqua che rifluivano generavano un enorme risucchio, che trascinava in mare tutto ciò che era ancora in piedi o cercava di restarci. L'acqua trascinava tutto con sé. Le persone sopravvissute al primo atto della catastrofe morivano in quel momento, e la loro morte era molto più orribile. Era accompagnata dalla lotta per la sopravvivenza nella corrente, dal tentativo di nuotare contro un risucchio spietato, dalle forze che cedevano. I muscoli si paralizzavano. Si veniva travolti da oggetti che vorticavano ovunque, le ossa si rompevano. In una resistenza disperata, ci si aggrappava ovunque, si veniva strappati e trascinati in mezzo al fango e alle macerie.

Il mostro arrivava dal mare per divorare e, quando tornava indietro, portava con sé una preda.

Quando la facciata della casa era crollata, Olsen non sapeva queste cose, tuttavia le capì in un lampo. Ecco perché si era messo a gridare. Gridava per la sua vita. Sapeva che sarebbe morto. Mentre cadeva, altre esplosioni risuonarono dal porto: le navi e i depositi di petrolio stavano saltando in aria. Praticamente tutti i sistemi elettrici della città erano saltati. I cortocircuiti si succedevano. Forse sarebbe morto perché l'acqua era percorsa dalla corrente elettrica.

Pensò alla sua famiglia. Ai suoi bambini. A sua moglie.

Poi per un attimo pensò a Sigur Johanson e alle sue sorprendenti teorie e sentì crescere la rabbia. La colpa era di Johanson. Gli aveva taciuto qualcosa. Qualcosa che li avrebbe potuti salvare. Quel maledetto figlio di puttana sapeva che cosa stava succedendo!

Poi non pensò più nulla a parte una cosa: sei morto.

Con un frastuono assordante, la facciata cadde contro un grosso albero, incredibilmente ancora in piedi. Olsen fu scagliato fuori dalla finestra a testa in giù. Le sue mani annasparono nel vuoto e si aggrapparono a qualcosa. Foglie e corteccia. Vedeva i flutti fangosi ribollire sotto di lui. Si afferrò al ramo e agitando le gambe riuscì a sollevarsi. Dall'alto piovevano parti del frontone, assi e intonaco. Lo mancarono per un pelo. Quella che una volta era stata la parte anteriore della sua casa si stava deformando, andava in frantumi e poi crollava. Preso dal panico, Olsen cercò di arrivare più vicino al tronco. Più in basso, si stendeva un ramo più grosso, che lui poteva raggiungere. Forse poteva metterci sopra un piede. Sentiva l'albero gemere e oscillare e si lasciò penzolare, col fiato sospeso.

Gli ultimi resti della facciata crollarono rumorosamente nei flutti, trascinando con sé foglie e rami. Un colpo attraversò il ramo di Olsen e a lui sfuggì la presa. Improvvisamente si trovò appeso con una mano sola. Guardò in basso. Le forze lo stavano abbandonando. Se fosse caduto, non avrebbe avuto speranze. Girò faticosamente la testa e cercò di gettare un'occhiata alla sua casa o, meglio, a ciò che ne era rimasto.

Ti prego, fa' che non siano morti.

La casa era ancora in piedi.

Poi vide la moglie.

Aveva strisciato in ginocchio fin sul bordo e guardava verso di lui. I suoi lineamenti esprimevano una truce determinazione, come se volesse gettarsi in acqua da un momento all'altro per andare a prenderlo. Naturalmente non poteva aiutarlo, ma era là e gridava il suo nome. La sua voce era ferma e quasi arrabbiata, come se gli stesse ordinando di mettere al sicuro il suo culo maledetto e di tornare a casa, dove lo stavano aspettando.

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