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Mangiarono in cucina. A ogni bicchiere, Tina era sempre più rilassata. Parlarono del più e del meno e stapparono un'altra bottiglia.

Intorno a mezzanotte, lui disse: «Non fa tanto freddo. Hai voglia di fare un giro in barca?»

Tina si portò le mani alla fronte e sorrise. «Con nuotata?»

«Al tuo posto, lascerei perdere. Forse tra un paio di mesi, quando farà più caldo. No, andiamo in mezzo al lago, portiamo con noi la bottiglia e…» S'interruppe.

«E?» chiese lei.

«Guardiamo le stelle.»

Si fissarono a lungo e Johanson sentì che la sua resistenza interiore stava cedendo. Sentiva se stesso dire cose che non avrebbe voluto dire; c'era qualcosa che premeva tutti i pulsanti giusti e tirava tutte le leve giuste per azionare il meccanismo. Risvegliava aspettative, invitava se stesso e Tina a fare quello che in genere si era portati a fare se ci si trova nei pressi di un lago solitario in compagnia di qualcuno. Avrebbe voluto essere ancora a Trondheim e, nel contempo, desiderava stringerla tra le sue braccia. Le si avvicinò finché non sentì il suo respiro sul viso. Malediceva la piega che avevano preso le cose, ma nel contempo non riusciva a trattenersi.

«Bene. Allora andiamo», decise.

Fuori non c'era vento. Percorsero il pontile e saltarono sulla barca. Tina perse l'equilibrio, e Johanson le afferrò un braccio. Avrebbe voluto ridere. Come nei film, pensò. Come in un maledetto filmetto romantico con Meg Ryan che inciampa e il protagonista che l'afferra. Santo cielo!

Era una barchetta di legno, e gli era stata venduta insieme con la casa. La prua era coperta da un'asse che formava una piccola stiva. Tina si sedette là sopra a gambe incrociate, mentre Johanson accendeva il motore. Il cupo borbottio non sembrò disturbare la pace di quella magnifica notte attraversata dai rumori della foresta. Sembrava piuttosto in armonia con essi.

Durante il breve viaggio non dissero neppure una parola. Infine Johanson mise al minimo il motore e poi lo spense. Si trovavano a buona distanza dalla casa. Lui aveva lasciato accese le luci della veranda, che si specchiavano nell'acqua vicina alla riva formando strisce increspate. Ogni tanto si sentiva un leggero tonfo: erano pesci che balzavano fuori dall'acqua per prendere un insetto. Johanson si avvicinò a Tina, la bottiglia piena a metà nella mano destra. La barca dondolava dolcemente.

«Stenditi sulla schiena… e l'universo con tutto quello che racchiude sarà tuo. Prova», la invitò.

Tina lo guardò. I suoi occhi splendevano nell'oscurità. «Hai mai visto le stelle cadenti?» gli chiese.

«Sì. Più volte.»

«E hai desiderato qualcosa?»

«Sono piuttosto carente di sostanza romantica.» Si sedette accanto a lei. «Me le sono semplicemente gustate.»

Tina ridacchiò. «Non credi a niente, vero?»

«E tu?»

«Io sono l'ultima persona al mondo che possa credere a qualcosa.»

«Lo so. I fiori o le stelle cadenti non hanno il minimo effetto su di te. Kare avrà il suo bel daffare. La cosa più romantica che ti si possa regalare è un'analisi di stabilità delle costruzioni marine ad alta tecnologia.»

Tina continuava a guardarlo. Poi gettò all'indietro la testa e si distese lentamente. Il pullover si alzò, mettendo in mostra l'ombelico. «Lo credi davvero?»

Lui si appoggiò ai gomiti e la osservò. «No, non lo credo.»

«Credi che non sia romantica?»

«Credo che tu non abbia mai pensato che cosa vuol dire essere romantici.»

I loro sguardi s'incontrarono un'altra volta.

A lungo.

Troppo a lungo.

Johanson si ritrovò le dita tra i capelli di lei e li accarezzò lentamente.

«Forse puoi farmi vedere che cosa vuol dire», sussurrò lei, chinandosi in avanti. Tra le loro labbra vibrava un sottile strato di aria calda. Lui le mise una mano dietro la nuca. I loro occhi erano chiusi.

Baciare. Ora.

Nel cervello di Johanson, si rincorrevano migliaia di rumori e di pensieri, che poi si condensarono in un vortice, lacerando la sua concentrazione. Entrambi erano ancora immobili, ma carichi di tensione, come in attesa di un segnale, di un'autorizzazione: qui, prego, in duplice copia, una per lei e una per lei. Adesso può baciare la sposa. Ora può essere appassionato, veramente appassionato. Non è così male, ma ora, per favore, ci creda!

Sia appassionato, uomo!

Che succede? pensò lui. Cosa c'è che non va?

Sentiva il calore del corpo di Tina, sentiva il suo profumo, ed era un profumo raffinato, fantastico, invitante.

Però era come se fosse nel posto sbagliato. Quell'invito non era rivolto a lui.

«Non funziona», disse Tina nello stesso istante.

Per la durata di un respiro, ancora sospeso sul crinale tra capitolazione e orgogliosa resistenza, Johanson si sentì come se fosse caduto nell'acqua gelida. La tensione sparì. Si spense. Quello che restava delle braci della passione si volatilizzò nell'aria limpida del lago e lasciò spazio a un incredibile sollievo.

«Hai ragione», disse.

Si sciolsero lentamente l'uno dall'altra, contrariati, come se i loro corpi non avessero ancora compreso quello che le menti avevano già pattuito da tempo. Lui vide negli occhi della donna la stessa domanda che probabilmente Tina stava leggendo nei suoi: Abbiamo rovinato tutto? Abbiamo mandato tutto all'aria? Lo abbiamo distrutto per sempre?

«Tutto okay?» le chiese.

Tina non rispose. Johanson si mise seduto davanti a lei, con la schiena appoggiata al bordo della barca. Poi ricordò che teneva ancora in mano la bottiglia, e gliela porse. «Evidentemente la nostra amicizia è troppo forte per l'amore.»

Sapeva che suonava banale e patetico, ma sortì l'effetto voluto. Lei si mise a ridacchiare, prima con nervosismo, poi evidentemente sollevata. Prese la bottiglia, bevve una lunga sorsata, e rise ancora di più. Si coprì il volto con una mano come se volesse cancellare quella risata troppo forte e del tutto fuori luogo, ma essa continuava a uscire, sebbene soffocata dalle dita. Poi anche Johanson scoppiò a ridere senza freni.

«Puah!» fece lei.

Rimasero in silenzio per un po'.

«Sei arrabbiato?» gli chiese infine a bassa voce.

«No, e tu?»

«Io… no, non sono arrabbiata. Per niente. È solo che… È tutto così sconclusionato. Sulla Thorvaldson, sai, la sera nella tua cabina, ancora un minuto e… voglio dire, sarebbe potuto succedere, ma oggi…»

Le prese di mano la bottiglia e bevve. «No», disse lui. «Siamo sinceri, sarebbe andata nello stesso modo. Proprio come stasera.»

«Da che cosa dipende?»

«Tu lo ami.»

Tina strinse le braccia intorno alle ginocchia. «Parli di Kare?»

«E chi se no?»

Rimase a fissare il vuoto, per molto tempo, e Johanson bevve di nuovo. Non era compito suo fare chiarezza nei sentimenti di Tina Lund.

«Credevo di potergli sfuggire, Sigur.»

Pausa. Se Tina si aspettava una risposta, l'avrebbe aspettata a lungo, pensò lui. Avrebbe dovuto capirlo da sola.

«Siamo sempre stati così distanti, tu e io», disse Tina dopo un po'. «Nessuno dei due voleva legarsi: una premessa ideale. Però non l'abbiamo mai verificata. Non c'è stato un solo momento in cui abbia pensato: ora deve assolutamente succedere. Io… non sono mai stata innamorata di te. Non ho mai voluto essere innamorata. Ma l'idea che prima o poi potesse succedere aveva un suo fascino. Ognuno continua a vivere la propria vita: niente obblighi, niente legami. Ero addirittura convinta che sarebbe successo presto, lo credevo ineluttabile! Poi improvvisamente è arrivato Kare, e ho pensato: mio Dio, che dolce legame! Tutto o niente. L'amore è un dolce legame e questo è…»

«Questo è amore.»

«A dire la verità, pensavo fosse altro. Come l'influenza. Non riuscivo più a concentrarmi sul lavoro, ero costantemente altrove con la testa, avevo la sensazione che mi mancasse la terra sotto i piedi, ed è una cosa che nella mia vita non ha senso.»

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