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«Davvero?» Johanson si fece di lato per permetterle di passare. Lei entrò, si scostò i capelli bagnati dalla fronte e annuì. «In fondo, Skaugen aveva già deciso. Voleva solo la tua benedizione.»

«E chi sono io, per benedire i progetti della Statoil?»

«Ti ho già detto che hai un'ottima fama. Ma per Skaugen la questione va oltre. Dovrà assumersi delle responsabilità, e tutti gli esperti lavorano per la Statoil oppure sono in qualche modo collegati con le multinazionali, quindi devono essere considerati di parte. Voleva qualcuno che non giocasse sottobanco e tu sei fuori da questo vespaio e completamente disinteressato alla messa in opera della stazione.»

«Allora Skaugen ha congelato il progetto?»

«Finché il Geomar non avrà chiarito la situazione.»

«Accidenti!»

«Gli piaci.»

«Anche lui mi piace.»

«Sì, la Statoil si può considerare fortunata ad avere al vertice uno come lui.» Tina era rimasta nell'ingresso e teneva le braccia abbandonate lungo i fianchi. Benché fosse sempre in movimento e sicura di sé, in quel momento appariva stranamente indecisa. Frugò con gli occhi la stanza. «Dov'è il tuo bagaglio?»

«Perché?»

«Non volevi andare al lago?»

«Il bagaglio è in macchina. Hai avuto fortuna, stavo per uscire di casa.» La fissò. «Posso fare ancora qualcosa per te, prima di potermi tranquillamente ritirare nella mia solitudine? E ti assicuro che stavolta parto! Basta rinvii.»

«Non volevo fermarti. Volevo solo raccontarti cosa aveva deciso Skaugen e…»

«Molto gentile da parte tua.»

«E chiederti se la tua offerta è ancora valida.»

«Quale?» chiese lui, benché lo sapesse benissimo.

«Mi avevi proposto di venire con te.»

Johanson si appoggiò alla parete vicino al guardaroba. Improvvisamente si vide piombare addosso una montagna di problemi. «Ti ho anche chiesto che cosa ne pensa Kare.»

Tina scosse bruscamente la testa. «Non devo chiedere il permesso a nessuno, se è questo che intendi.»

«No, non intendevo questo. Semplicemente non voglio equivoci.»

«Non ce ne saranno», disse lei, convinta. «Se voglio andare al lago, è una decisione esclusivamente mia.»

«Non mi sembra il caso…»

L'acqua le scendeva dai capelli e le scorreva sul viso.

«Allora perché l'hai proposto?» chiese.

Già, perché? si chiese Johanson. Perché mi sarebbe piaciuto. Però una cosa così, senza mandare tutto all'aria. Non si sentiva minimamente obbligato nei confronti di Kare Sverdrup. Ma l'improvvisa disponibilità di Tina ad accompagnarlo al lago lo irritava. Fino a qualche settimana prima, tra loro c'erano state solo conversazioni sporadiche e appuntamenti a pranzo che facevano parte di un flirt recitato con ironia e privo di qualsiasi sbocco. Ma quello che stava accadendo non faceva parte della solita recita.

Di colpo capì che cosa lo disturbava. Nello stesso istante, comprese perché negli ultimi giorni Tina era stata così distratta nel lavoro.

«Se voi due avete dei problemi, lasciami fuori dal gioco», borbottò. «Capito? Puoi venire, ma io non sono qui per mettere Kare sotto pressione.»

«Forse la tua immaginazione si è spinta un po' troppo in là», disse Tina. «Va bene. Forse hai ragione. Lasciamo perdere.»

«Sì.»

«Devo riflettere.»

«Fallo.»

Una pausa di silenzio.

«Va bene», disse infine Johanson. Si chinò in avanti, le diede un bacio leggero sulla guancia e la spinse gentilmente fuori. Poi chiuse la porta alle loro spalle. Avrebbe fatto la maggior parte del tragitto col buio e sotto la pioggia, ma in fondo preferiva così. Avrebbe ascoltato Finlandia di Sibelius. Sibelius e le tenebre. Sarebbe stato perfetto.

«Ritorni lunedì?» gli chiese Tina, mentre si avviavano alla macchina.

«Forse domenica pomeriggio.»

«Possiamo sentirci per telefono.»

«Certo. Cos'hai in mente di fare?»

Lui scrollò le spalle. «Il lavoro non mi manca.» Si trattenne dal fare un'altra domanda su Kare Sverdrup.

Ma Tina disse: «Kare è via tutto il fine settimana. È dai suoi genitori».

Johanson aprì la portiera del guidatore e si fermò. «Non devi lavorare sempre.»

Lei sorrise. «No. Naturalmente no.»

«Inoltre… non potresti comunque venire con me. Non ti sei portata niente per trascorrere un fine settimana al lago.»

«E che cosa serve?»

«Prima di tutto buone scarpe. E poi qualcosa di caldo da indossare.»

Tina si guardò. Calzava stivali coi lacci dalla spessa suola.

«Cos'altro serve?» chiese.

«Ma sì, ti ho detto, un pullover…» Johanson si passò una mano sulla barba. «In casa ne ho qualcuno.»

«Mmm. Perché non si sa mai.»

«Giusto. Perché non si sa mai.»

La guardò. Poi scoppiò a ridere. «Okay, signora Complicazione. Ultima possibilità per venire.»

«Io sarei quella complicata?» Tina spalancò la portiera del passeggero e sorrise. «Ne discuteremo durante il viaggio.»

Era già buio quando raggiunsero la strada sterrata che portava alla casupola. La jeep si arrampicò lungo la riva, sotto la silhouette degli alberi. Davanti a loro c'era il lago, simile a un cielo adagiato nella foresta, e la sua superficie era piena di stelle. Le nuvole si erano aperte, mentre a Trondheim probabilmente stava ancora piovendo.

Johanson portò la valigia in casa, poi raggiunse Tina sulla veranda, facendo scricchiolare le tavole di legno. Ogni volta che andava lì si sentiva avvolgere dal silenzio che, paradossalmente, diveniva ancora più evidente perché era pieno di rumori: fruscii, stridii e leggeri crepitìi, il lontano grido di un uccello, movimenti nel sottobosco, rumori inafferrabili. Una piccola scala conduceva dalla veranda a un prato che digradava dolcemente. Da lì si stendeva un pontile sghembo. In fondo era ormeggiata, immobile, la barca con cui a volte usciva a pescare.

Tina guardava il lago. «E tutto questo è solo tuo?» chiese.

«In genere sì.»

Rimase in silenzio per un po'. «Devi stare proprio bene con te stesso.»

Johanson sorrise. «Che cosa te lo fa pensare?»

«Se qui non c'è nessun altro… vuol dire che la tua compagnia ti deve essere proprio gradita.»

«Oh, sì. Quando sono qui posso fare quello che voglio. Posso piacermi, detestarmi…»

Tina si voltò verso di lui. «Che cosa intendi? Che ti detesti?»

«A volte. E quando accade mi detesto proprio per questo. Vieni dentro. Preparo un risotto.»

Entrarono.

Nella piccola cucina, Johanson affettò le cipolle, le fece soffriggere nell'olio d'oliva e aggiunse il riso carnaroli. Mescolò i chicchi di riso con un cucchiaio di legno finché non furono ricoperti di olio, aggiunse brodo di pollo e continuò a mescolare in modo che la massa non bruciasse. Nel frattempo, aveva tagliato a fettine dei funghi porcini, li aveva scottati nel burro e li aveva lasciati friggere a fuoco lento.

Tina lo guardava, affascinata. Non sapeva cucinare, e Johanson lo sapeva: non aveva la pazienza necessaria per farlo. Lui stappò una bottiglia di vino rosso, lo lasciò decantare e riempì due bicchieri. La solita procedura, funzionava sempre. Avrebbero mangiato, bevuto, parlato, fumato. E poi sarebbe successo quello che di solito succedeva quando un vecchio bohémien e una giovane donna si trovavano da soli in un luogo romantico.

Maledetti automatismi!

Perché diavolo è venuta?

Avrebbe fatto in modo che quella serata seguisse il proprio corso. Tina era seduta in cucina, indossava un pullover di Johanson e sembrava completamente rilassata, cosa che non avveniva da tempo. I tratti del suo volto avevano riacquistato delicatezza. Lui era irritato: aveva cercato di convincersi che lei non era il suo tipo… Troppo frenetica, troppo nordica, coi suoi capelli lisci e biondissimi. Adesso doveva ammettere che non era vero.

Avresti potuto trascorrere un lungo, tranquillo fine settimana, pensò. Ma hai voluto proprio complicarti la vita, idiota!

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