«Qualche responsabilità l'abbiamo anche noi. La scienza si è chiusa nel proprio guscio», osservò Bohrmann.
«Lo crede? La sua piccola conferenza sembrava tutt'altro che 'chiusa'.»
«Però non so se questa apertura all'opinione pubblica serva a qualcosa», sospirò Bohrmann, mentre scendevano una rampa di scale. «Di fronte al disinteresse generale, i giorni di 'porte aperte' cambiano poco. Poco tempo fa ne abbiamo avuto uno e c'era un sacco di gente. Ma se avesse chiesto a qualcuno dei visitatori se sia giusto che vengano stanziati dieci milioni di nuovi finanziamenti…»
Johanson tacque per un attimo, poi disse: «Credo che il vero problema siano gli universi che dividono noi scienziati. Che ne pensa?»
«Perché comunichiamo poco?»
«Sì, la comunicazione è scarsa anche tra la scienza e l'industria, tra gli scienziati e i militari.»
«O tra la scienza e i colossi del petrolio?» chiese Bohrmann, scoccandogli una lunga occhiata.
Johanson sorrise. «Sono qui perché qualcuno ha bisogno di una risposta. Non per estorcerla.»
«L'industria e i militari dipendono dagli scienziati, che gli piaccia o no», s'intromise Sahling. «Comunichiamo, certo. Ma il problema è che non possiamo mediare i nostri punti di vista.»
«Del resto non lo si vuole neppure!» esclamo Johanson.
«Giusto. Ciò che i nostri uomini fanno sul ghiaccio potrebbe servire a evitare una carestia. Ma potrebbe anche portare alla costruzione di una nuova arma. Guardiamo la stessa cosa, ma ognuno la vede in modo diverso», disse Sahling.
«E tutto il resto ci sfugge», confermò Bohrmann. «Quegli animali che ci ha mandato, dottor Johanson, ne sono un buon esempio. Non so se per causa loro si dovranno mettere in discussione i progetti sulla scarpata continentale, ma, quando sono nel dubbio, tendo ad agire con precauzione e a sconsigliare gli interventi. Forse è questa la differenza di fondo tra l'industria e la scienza. Noi diciamo: finché non è sufficientemente provato quale ruolo abbiano questi vermi, non possiamo consigliare una perforazione. L'industria parte dalla medesima premessa, ma arriva a un altro risultato.»
«Finché non è dimostrato quale ruolo giochino questi vermi, non ne giocano nessuno», disse Johanson. E poi, guardando Bohrmann, aggiunse: «E lei che ne pensa? Giocano qualche ruolo?»
«Non posso ancora dirlo. Quello che ci ha mandato è… Sì, è a dir poco insolito. Non vorrei deluderla, quello che abbiamo scoperto finora avrei potuto anche dirglielo per telefono, ma… Insomma, ho pensato che lei volesse saperne di più. E qui possiamo mostrarle diverse cose.»
Raggiunsero una pesante porta d'acciaio. Bohrmann azionò un interruttore sulla parete e la porta si aprì senza un rumore. Nel centro della stanza oltre la porta si trovava un'imponente cisterna, alta come una casa di due piani. In essa, a intervalli regolari, erano inseriti degli oblò. Scale d'acciaio conducevano a passerelle circolari e poi alle apparecchiature, erano collegate alla cisterna tramite tubature.
Johanson entrò.
Su Internet aveva visto delle fotografie di quella cosa, ma non si era aspettato che fosse così grande. Fu colto da una vertigine all'idea della pressione mostruosa che doveva esserci in quella cisterna piena d'acqua. Lì dentro, un individuo non sarebbe sopravvissuto neppure un minuto. Quella cisterna era il motivo per cui Johanson aveva mandato una dozzina di vermi all'Istituto di Kiel. Si trattava di un simulatore di abissi marini. Conteneva un mondo artificiale, con tanto di fondale marino, scarpata e zoccolo continentale.
Bohrmann fece scivolare la porta d'acciaio alle sue spalle. «Ci sono persone che dubitano del senso e dello scopo di questa struttura», disse. «Il simulatore può dare solo un quadro approssimativo della realtà, ma è sempre meglio che dover uscire ogni volta in mare. Oggi come ieri, il problema della geologia marina rimane invariato: riusciamo a vedere soltanto una minuscola porzione della realtà. Perlomeno qui siamo in grado di avanzare tesi di ordine generale, benché sia necessario farlo con estrema cautela. Per esempio, possiamo studiare meglio la dinamica degli idrati di metano in diverse condizioni.»
«Lì dentro ci sono degli idrati di metano?» chiese Johanson.
«Circa due quintali e mezzo», rispose Bohrmann. «Recentemente siamo riusciti a estrarne una parte. Ma preferiamo non fare troppa pubblicità alla cosa. Le industrie vorrebbero che mettessimo subito il simulatore al loro servizio. E a noi farebbero molto comodo i soldi dell'industria. Ma non al prezzo di mettere in discussione la nostra libertà di ricerca.»
Johanson piegò la testa all'indietro e osservò la cisterna. Sopra di lui, sulla passerella circolare più alta, si era radunato un gruppo di scienziati. L'intera scena aveva un che d'irreale, come se fosse uscita da un film di James Bond degli anni '80.
«Nella cisterna, si possono regolare pressione e temperatura», proseguì Bohrmann. «Al momento, corrispondono a una profondità marina di ottocento metri. Sul fondo è immagazzinato uno strato di idrati stabili spesso due metri, che in natura corrisponde a una quantità da venti a trenta volte superiore. Al di sotto dello strato, simuliamo il calore dell'interno della Terra e così abbiamo gas libero. Quindi un fondale marino completo in scala.»
«Affascinante», disse Johanson. «Ma che cosa fate esattamente? Voglio dire, potete osservare lo sviluppo degli idrati, ma…» Cercava le parole adatte.
Sahling gli venne in aiuto. «Che cosa facciamo qui, oltre a osservare?»
«Sì.»
«Attualmente stiamo cercando di mettere a punto le condizioni di un'era geologica di cinquantacinque milioni di anni fa. Più o meno tra Paleocene ed Eocene, sembra che sulla Terra ci sia stata una catastrofe climatica di grandi dimensioni. L'oceano si è letteralmente ribaltato. Il settanta per cento di tutti gli esseri viventi sul fondale marino è morto. Intere zone degli abissi si sono trasformate in luoghi inadatti alla vita. Invece sui continenti c'è stata una rivoluzione biologica. Nell'Artico sono comparsi i coccodrilli e i primati, e i moderni mammiferi sono migrati dalle latitudini subtropicali verso il Nordamerica. Una confusione straordinaria.»
«Come fate a saperlo?»
«Grazie ai carotaggi. Tutta la conoscenza sulla catastrofe climatica deriva da carotaggi a duemila metri di profondità sui fondali marini.»
«I carotaggi spiegano quello che è successo?» chiese Johanson.
«C'entra il metano», rispose Bohrmann. «A quell'epoca, il metano si deve essere surriscaldato e la gran massa di idrati è diventata instabile. Le scarpate continentali sono scivolate e hanno liberato altro metano. Nel giro di qualche millennio, forse addirittura di secoli, si sono sprigionati nell'oceano e nell'atmosfera miliardi di tonnellate di gas. Un circolo vizioso. Il metano genera un effetto serra trenta volte superiore a quello dell'anidride carbonica. L'atmosfera si è riscaldata e, a sua volta, ha riscaldato ulteriormente gli oceani che hanno liberato altri idrati, e così via, all'infinito. La Terra era diventata un forno. L'innalzamento attuale della temperatura delle acque profonde, compreso tra i due e i quattro gradi, non è niente a confronto dell'innalzamento di quindici gradi avvenuto allora, ma non è da sottovalutare», concluse.
«Per alcuni un disastro, per altri… un inizio di riscaldamento. Capisco. Nel prossimo capitolo della nostra breve conversazione inseriremo anche il declino dell'umanità, vero?» disse Johanson.
«Non accadrà così presto. Ma effettivamente ci sono alcuni indizi, secondo i quali ci troviamo in una fase di delicata fluttuazione dell'equilibrio. Le riserve di idrati nell'oceano sono molto instabili. È questo il motivo per cui dedichiamo tanta attenzione ai vostri vermi.»
«Che cosa c'entra un verme con le condizioni di stabilità degli idrati di metano?» domandò Johanson.
«Di fatto nulla. Il verme del ghiaccio popola la superficie degli strati superiori del ghiaccio per molte centinaia di metri. Ne scioglie qualche centimetro e si accontenta dei batteri.»