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Nel suo sguardo si leggeva chiaramente la paura di morire. Karen si rialzò, sollevando con calma le mani in modo che l'uomo le potesse vedere.

«Oh, no», ripeté il soldato.

Era molto giovane; sui vent'anni, forse nemmeno, pensò Karen. Il fucile tremava nella sua mano. Fece un passo indietro, spostando lo sguardo da lei a Johanson e viceversa.

«Ehi», disse Johanson. «Vogliamo aiutarti.»

«Voi ci avete chiuso qui dentro», disse il soldato. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

«Non siamo stati noi», mormorò Karen.

«Ci avete… con questo… ci avete lasciati soli con questo…»

Ci mancava solo quella. L'Independence stava affondando, dovevano fermare Judith Li, prendere in qualche modo uno dei morti per portare a termine il piano, e adesso si trovavano davanti quel ragazzo in preda al panico.

«Come ti chiami?» domandò Johanson.

«Come?» Gli occhi del soldato fiammeggiarono. Poi lui gli puntò contro l'arma.

«No!» gridò Karen.

Johanson sollevò le mani per indicare che era tutto a posto. Guardò la bocca dell'arma e abbassò la voce. «Per favore, dicci il tuo nome.»

Il soldato esitò.

«È importante che conosciamo il tuo nome», ribadì Johanson con voce dolce.

«MacMillan. Sono… Mi chiamo MacMillan.»

Karen cominciò a capire che cosa aveva in mente Johanson. La prima mossa da fare per ricondurre qualcuno alla normalità è richiamargli alla mente chi è.

«Bene, MacMillan, molto bene. Ascoltami, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Questa nave sta affondando. Noi dobbiamo condurre un esperimento che potrebbe salvarci tutti…»

«Tutti?»

«Hai una famiglia, MacMillan?»

«Perché lo vuole sapere?»

«Dove abita la tua famiglia?»

«A Boston.» I lineamenti del giovane s'irrigidirono. Cominciò a piangere. «Ma Boston è…»

«Lo so», disse Johanson, comprensivo. «Ascolta, possiamo fare ancora qualcosa per rimettere tutto a posto. Anche a Boston. Ma, per farlo, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Ne abbiamo bisogno adesso! Ogni secondo che perdiamo potrebbe annullare l'ultima possibilità della tua famiglia.»

«Ti prego», mormorò Karen. «Aiutaci.»

Il soldato continuava a guardarli. Tirò su col naso. Poi abbassò il fucile.

«Ci portate fuori da qui?» chiese.

«Sì», confermò Karen. «Promesso.» Mio Dio, che stai dicendo? pensò. Non puoi promettere niente. Proprio niente.

Judith Li

Sorprendentemente, il laboratorio segreto appariva intatto, forse perché era più in alto rispetto a quello ufficiale. Il pavimento era ricoperto di schegge di vetro, ma il resto era a posto.

Alcuni monitor lampeggiavano.

Dove avrà messo i tubi? rifletté Judith Li.

Infilò l'arma nella fondina e si guardò intorno. La sala era deserta. Nella piccola cisterna ad alta pressione si aspettava di vedere il bagliore blu, ma poi le venne in mente che Rubin le aveva spiegato di aver condotto a termine con successo l'esperimento col veleno. Spiò attraverso uno degli oblò. Nulla. Nessun organismo, nessun bagliore.

Peak girava fra i tavoli da laboratorio e gli armadi. «Qui», gridò.

Lei lo raggiunse di corsa. Uno scaffale era caduto. A terra, c'erano diversi tubi sottili, a forma di siluro, lunghi quasi un metro. Li sollevarono, l'uno dopo l'altro. Due erano notevolmente più pesanti rispetto agli altri. Poi Judith vide i segni di riconoscimento. Rubin li aveva segnati su un fianco con un pennarello resistente all'acqua.

«Sal», mormorò, affascinata. «Abbiamo in mano il nuovo ordine mondiale.»

«Bene.» Peak si guardava nervosamente intorno. Una provetta rotolò giù da un tavolo e si ruppe con un leggero tintinnio. L'allarme continuava a risuonare. «Allora portiamo il nuovo ordine mondiale fuori di qui il più in fretta possibile.»

Judith Li scoppiò a ridere. Passò a Peak uno dei tubi, prese l'altro e uscì di corsa dal laboratorio. «Tra cinque minuti avrò mandato all'inferno questa creazione arrogante, Sal, può contarci!»

«Con chi vuole scendere? Crede che Mick sia ancora vivo?»

«Non m'interessa se lo è.»

«Potrei accompagnarla io.»

«Grazie, Sal, molto generoso da parte sua. E cosa vorrebbe fare? Venire laggiù a rompermi i timpani perché mi permetto di ammazzare quella fanghiglia blu?»

«È una cosa maledettamente diversa e lei lo sa bene!»

Raggiunsero la scaletta di boccaporto. Dalla parte opposta, qualcuno stava correndo verso di loro a testa bassa.

«Leon!»

Anawak sollevò lo sguardo, li riconobbe e si fermò di colpo. Erano molto vicini; in mezzo a loro c'era solo la scaletta di boccaporto.

«Jude… Sal…» Anawak li fissò. «Ma guarda un po'.»

Ridicolo! pensò Judith. Quell'uomo era assolutamente incapace di fingere. Le era bastato uno sguardo per capire che Anawak sapeva tutto. «Da dove arriva?» chiese.

«Io… volevo cercare gli altri e…»

Non aveva importanza quanto sapesse. Non avevano tempo da perdere. Forse stava davvero cercando i suoi amici, forse aveva un piano. No, non aveva importanza. Anawak si era messo sulla sua strada.

Judith Li tirò fuori la pistola.

Ponte di volo

Quando uscirono sul ponte, Samantha Crowe era alle calcagna di Murray Shankar, ma poi qualcuno la fermò.

«Aspetti», disse un soldato in uniforme.

«Ma io devo…»

«Lei è nel prossimo gruppo.»

Due dei grandi Super Stallion avevano già lasciato il ponte e altri due attendevano di fronte all'isola. Erano parcheggiati vicinissimi. Mentre correva con soldati e civili, Shankar si girò verso Samantha. Il gigantesco eliporto s'inclinava sempre di più. Era così grande da dare l'impressione che non fosse la nave a essere obliqua, bensì il mare, agitato e coperto di schiuma.

«Ci vediamo più tardi!» gridò Shankar. «Te ne andrai col prossimo volo.»

Samantha lo seguì con lo sguardo mentre lui correva sulla rampa che portava all'interno del Super Stallion. Un vento gelido le frustava il viso. A quanto pareva, l'evacuazione procedeva in maniera molto ordinata. Era un bene. Doveva solo pazientare.

Il suo sguardo vagava tutt'intorno. Dov'erano gli altri? Leon, Sigur, Karen…

Erano già andati via?

Un pensiero tranquillizzante. Il portellone si chiuse alle spalle di Shankar. I rotori presero a girare più velocemente.

Scafo

Meno di trenta metri sotto il ponte di volo, l'acqua premeva contro le paratie della stiva di prua e degli alloggi dell'equipaggio.

Le paratie reggevano.

Un siluro era rimasto in acqua. Durante l'esplosione del batiscafo, l'innesco era scattato, però il siluro non era esploso. Casi del genere erano rari, ma succedevano. Era affondato in una stiva piena d'acqua, sopra una grata che, staccatasi in parte dal suo ancoraggio, si torceva nell'oscurità. Il siluro ci rotolava sopra dolcemente e scivolava di alcuni centimetri in avanti, seguendo la progressiva inclinazione della nave.

Le paratie reggevano, ma la grata scricchiolava e gemeva sotto la pressione.

Anche i puntoni reggevano ancora, però erano sottoposti a una tensione estrema. Nell'acciaio delle paratie si formarono alcune crepe. Una delle grandi viti di rinforzo si staccò lentamente dal suo ancoraggio, forzando la filettatura.

Poi uscì con un botto.

La tensione aumentò. La grata schizzò in aria, altre viti saltarono, la parete cedette. Il siluro ricevette un colpo che lo catapultò verso l'alto e lo spinse nel punto in cui confinavano tutti gli spazi: la stiva di prua e le gigantesche camerate dei marinai da una parte e il ponte dei veicoli proprio sotto il laboratorio dall'altra.

Era uno dei punti di contatto più sensibili della nave.

La carica esplosiva fece il proprio lavoro.

Livello 3

«No», disse Peak.

Lasciò cadere l'involucro a forma di siluro e puntò la pistola contro Judith Li. «Non lo farà.»

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