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«Non darle sui nervi?» Peak le sbarrò la strada. Sentiva che il suo orrore si stava trasformando in rabbia. «Lei uccide senza scrupoli oppure lascia che le persone muoiano. Perché, maledizione? Non era questo che avevamo pianificato e discusso!»

Judith Li lo guardò. Il suo viso era tranquillo, ma gli occhi acquamarina fiammeggiavano. Peak non aveva mai visto prima quella luce sinistra. D'un tratto comprese che quella soldatessa pluridecorata era completamente pazza.

«Era stato discusso con Vanderbilt», spiegò lei.

«Con la CIA?»

«Con Vanderbilt della CIA.»

«Per questa follia si è impegolata con quel sacco di merda?» Peak fece una smorfia. «Mi viene da vomitare, Jude. Dobbiamo evacuare la nave.»

«Inoltre è stato approvato dal presidente degli Stati Uniti», aggiunse lei.

«Non è vero!»

«Più o meno.»

«Non così! Non le credo!»

«Lo approverebbe.» Lo oltrepassò. «Ora si tolga dai piedi. Stiamo perdendo tempo.»

Peak le zoppicò dietro. «Quelle persone non le hanno fatto niente. Hanno rischiato la vita. Sono dalla nostra parte! Perché non ci limitiamo a imprigionarle?»

«Chi non è con me è contro di me. Non se n'è accorto, Sal?»

«Johanson non era contro di lei.»

«E invece sì, fin dall'inizio.» Si girò di scatto e lo guardò. «Ma lei è cieco, rimbambito o che? Non capisce cosa succederebbe se l'America non vincesse questa guerra? Se la vincesse qualcun altro, infliggerebbe una sconfitta anche a noi.»

«Non si tratta dell'America! Si tratta del mondo.»

«Il mondo è l'America!»

Peak la fissò. «Lei è pazza.»

«No, sono realista, stupido negro. E lei farà quello che dico io. Lei è sotto il mio comando!» Si rimise in movimento. «Forza, ora. Abbiamo un incarico da eseguire. Devo scendere col batiscafo prima che scoppi la nave. Mi aiuti a trovare i due siluri col veleno di Rubin, poi, per quanto mi riguarda, può anche filarsela.»

Rampa

Karen oscillò per alcuni secondi, indecisa sul da farsi, quando sentì delle voci arrivare dalla parte superiore della rampa. Judith Li e Peak erano spariti. Probabilmente stavano andando nel laboratorio segreto di Rubin a prendere il veleno. Corse verso il gomito della rampa e vide Anawak e Johanson che si sorreggevano a vicenda.

«Leon», gridò. «Sigur!»

Corse verso i due e li abbracciò. Fu costretta ad allargare molto le braccia, ma aveva un bisogno incontenibile di stringere a sé i due uomini. In particolare uno dei due. Evidentemente aveva esagerato, perché Johanson gemette.

Lei si tirò indietro. «Scusa…»

«Sono solo le ossa.» Johanson si pulì la barba dal sangue. «Lo spirito è sempre determinato. Cos'è successo?»

«Cos'è successo a voi, piuttosto!»

Dal pavimento giunse un rumore. Un lungo scricchiolio attraversò lo scafo dell'Independence e il pavimento si piegò leggermente verso poppa.

Si raccontarono in sintesi gli ultimi avvenimenti. Anawak era visibilmente colpito dalla morte di Greywolf. «Qualcuno di voi ha idea di cosa sia successo alla nave?» chiese.

«No, e temo che non avremo il tempo di pensarci.» Karen si guardava intorno, nervosa. «Credo che dovremo fare due cose contemporaneamente: impedire l'immersione di Judith e cercare di metterci al sicuro.»

«Credi che voglia portare a termine il suo piano?»

«Certo che lo farà», ringhiò Johanson. Sollevò la testa. Dal ponte di volo arrivavano dei rumori. Si sentiva il crepito dei rotori. «Sentito? I topi lasciano la nave.»

«Ma che cos'è successo a Judith?» Anawak scosse la testa, sbigottito. «Perché ha sparato a Sue?»

«Voleva uccidere anche me. Judith Li ucciderà chiunque si metta sulla sua strada. Non è mai stata interessata a una soluzione pacifica.»

«Ma a che scopo?»

«Ormai non ha più importanza», esclamò Johanson. «Il suo progetto ha tempi molto stretti. Qualcuno deve fermarla. Non deve portare sott'acqua quel veleno.»

«Giusto», approvò Karen. «E invece porteremo giù questo.»

Solo in quel momento Johanson si accorse della valigetta che lei teneva in mano. «Sono gli estratti del feromone?»

«Sì. Il lascito di Sue.»

«Bene, ma chi ci può aiutare?»

«Be', io ho un'idea.» Esitò. «Non so se funzionerà. Mi è venuta ieri… Nel frattempo, però, sono cambiate alcune cose.» La spiegò.

«Sembra buona», affermò Anawak. «Ma richiede un'estrema velocità. In fondo ci resta solo qualche minuto. Non appena la barca affonda, dobbiamo essere da qualche parte all'asciutto.»

«Soprattutto non so bene come potremo realizzarla», ammise Karen.

«Ma io sì.» Anawak indicò la rampa. «Abbiamo bisogno di una dozzina di siringhe sottocutanee. Me ne occupo io. Voi scendete e allestite il batiscafo.» Rifletté. «Poi ci servono… Aspetta! Pensi di riuscire a trovare qualche…?»

«Sì, va bene. E le siringhe dove pensi di procurartele?»

«In ospedale.»

Sopra di loro il rumore si fece più intenso. Nel passaggio dell'elevatore di sinistra apparve un elicottero e passò vicinissimo alle onde. L'acciaio dell'hangar scricchiolava. La nave aveva iniziato a deformarsi.

«Fa' in fretta», lo pregò Karen.

Anawak la guardò negli occhi. Per un momento rimasero a fissarsi. Maledizione, pensò lei. Perché proprio ora?

«Conto su di te», disse Anawak.

Evacuazione

A differenza degli altri, Samantha Crowe sapeva bene cos'era successo all'Independence. Le telecamere sullo scafo avevano trasmesso ai monitor l'immagine della sfera luminosa che saliva. La sfera era fatta di gelatina, quello era certo e, quand'era esplosa, il gas al suo interno si era dilatato. Si trattava probabilmente di metano. In mezzo alle bolle vorticanti, le era sembrato di vedere una sagoma conosciuta: quello che arrivava a tutta velocità contro l'Independence era un batiscafo.

Un Deepflight dotato di siluri.

Immediatamente dopo l'esplosione era scoppiato l'inferno. Murray Shankar aveva battuto la testa contro la console e sanguinava copiosamente. Samantha Crowe l'aveva aiutato a rialzarsi, poi nel CIC erano arrivati di corsa dei soldati e dei tecnici e li avevano cacciati fuori. Il rauco suono a intervalli regolari dell'allarme li spingeva a muoversi. Nei corridoi laterali la gente si assiepava, ma pareva che l'equipaggio dell'Independence avesse ancora la situazione sotto controllo. Un ufficiale li prese in consegna e li condusse verso una scala, in direzione della poppa. «Attraverso l'isola usciamo sul ponte di volo», spiegò. «Non fermatevi. Attenetevi alle disposizioni.»

Samantha spinse Shankar, ancora intontito, sulla scala. Lei era piccola e minuta, Shankar alto e pesante, però raccolse tutte le sue forze e ci riuscì. «Muoviti, Murray!» ansimò.

Le mani di Shankar afferrarono tremanti i pioli. Si tirò su a fatica. «Ho sempre immaginato in maniera diversa un contatto diretto», esclamò, tossendo.

«Hai sempre visto i film sbagliati.»

Per calmarsi, una sigaretta sarebbe stato l'ideale. Pensò a quella che si era accesa qualche secondo prima dell'esplosione e che era rimasta a consumarsi nel CIC. Che guaio… Cosa non avrebbe dato per una sigaretta! Fumarne ancora una prima di tirare le cuoia. Qualcosa le diceva che le speranze di sopravvivere non erano particolarmente alte.

Ma non dobbiamo affidarci alle lance di salvataggio, rifletté poi. Abbiamo gli elicotteri!

Provò un certo sollievo. Shankar aveva raggiunto la parte superiore della scaletta di boccaporto e alcune mani si erano tese verso di lui. Samantha lo seguì e intanto si chiedeva se non stavano sperimentando proprio il tipo di contatto in cui la specie umana era così esperta: aggressivo, spietato, mortale.

I soldati li trascinarono all'interno dell'isola.

Ehi, Miss Alien. Sei sempre affascinata dalla possibilità che nell'universo esistano altre forme di vita intelligenti?

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