Elevatore esterno
Greywolf e Anawak aiutarono Johanson a rialzarsi. Benché fosse stato duramente colpito, era cosciente.
«Dov'è Vanderbilt?» mormorò.
«A pescare», rispose Greywolf.
Anawak si sentiva come se fosse finito sotto un treno. Il punto in cui Vanderbilt l'aveva colpito col gomito gli doleva al punto che riusciva appena a stare in piedi. «Jack», ripeteva. «Mio Dio, Jack.» Greywolf l'aveva salvato. Ormai sembrava una tradizione. «Come mai sei venuto qui?»
«Ero stato un po' brusco», disse Greywolf. «Volevo scusarmi.»
«Brusco? Ma sei pazzo? Non hai niente di cui doverti scusare.»
«Mi sembra sia stato un bene che si volesse scusare», ansimò Johanson.
Greywolf fece un sorriso tirato. Il suo viso color rame era impallidito. Che gli sta succedendo? Si chiese Anawak. Le spalle di Greywolf si piegarono in avanti, le sue palpebre vibrarono…
Improvvisamente Anawak vide che la T-shirt di Greywolf era piena di sangue. Per un attimo s'illuse che fosse quello di Vanderbilt, poi si rese conto che la macchia si allargava e che il sangue usciva dal ventre di Greywolf. Allungò le braccia per afferrare il gigante, ma, in quel momento, un nuovo rimbombo arrivò dalla pancia dell'Independence. La nave ondeggiò e Johanson gli barcollò addosso. Greywolf si rovesciò in avanti e sparì oltre il bordo.
«Jack!»
Cadde sulle ginocchia e scivolò verso il punto in cui l'amico era sparito. Greywolf era caduto in una rete e guardava verso di lui. Il mare sotto infuriava.
«Jack, dammi la mano.»
Greywolf non si mosse. Fissava Anawak con le mani premute contro il ventre. Tra le sue dita sgorgava il sangue.
Vanderbilt! Quel maledetto bastardo l'aveva colpito.
«Jack, andrà tutto bene.» Sembrava la battuta di un film. «Dammi la mano. Ti tiro su. Ne usciremo, vedrai.»
Di fianco a lui, strisciando, era arrivato Johanson. Si mise bocconi e cercò di raggiungere la rete, ma era troppo in basso.
«In un modo o nell'altro devi venire su», gridò Anawak, disperato. Poi prese una decisione. «No, resta lì. Vengo giù io. Io ti sollevo e Sigur ci aiuta da sopra.»
«Scordatelo», ansimò Greywolf, a fatica.
«Jack…»
«È meglio così.»
«Non dire stronzate», sbottò Anawak. «Non voglio neppure sentirle, quelle scemenze da film. 'Lasciatemi qui', 'Non preoccupatevi per me', eccetera.»
«Leon, amico mio…»
«No! Ho detto di no.»
Dalla bocca di Greywolf sgorgò una sottile striscia di sangue. «Leon…» Sorrise. D'un tratto sembrò completamente rilassato.
Poi, con un colpo, si sollevò, si fece rotolare oltre la rete e cadde tra le onde.
Laboratorio
Rubin non vedeva né sentiva più nulla. L'acqua che usciva dalla cisterna infuriava su di lui. Si chiedeva cosa mai fosse successo negli ultimi secondi. La situazione era sfuggita di mano. Poi, improvvisamente, si rese conto che la massa vorticosa d'acqua aveva sollevato lo scaffale e la gamba si era liberata. Così riemerse, sputacchiando.
Grazie a Dio, hai superato il peggio, pensò.
L'acqua del simulatore non sarebbe bastata per sommergere il laboratorio. Era tanta, però, non appena si fosse dispersa in tutta la sala, non sarebbe stata più alta di un metro.
Si strofinò gli occhi.
Dov'era Judith Li?
Di fianco a lui galleggiava il corpo di un soldato. L'altro, ancora completamente intontito, era uscito dall'acqua più in là, in fondo alla sala.
Judith Li se n'era andata.
L'avevano lasciato lì.
Sbigottito, Rubin fissò la porta chiusa. A poco a poco, la mente gli si snebbiò. Doveva uscire da lì. Nella nave era esploso qualcosa, probabilmente stavano affondando. Se non avesse raggiunto uno spazio aperto nel giro di pochi minuti, la situazione rischiava di diventare molto difficile.
Intorno a lui cominciò a splendere una luce.
C'erano dei lampi.
Di colpo gli venne in mente che nella cisterna non c'era solo l'acqua. Cercò di alzarsi, scivolò e cadde all'indierro. L'acqua sprizzò. Rubin finì con la testa sotto la superficie, remò con le mani e sentì che qualcosa opponeva resistenza.
Qualcosa di liscio. Di mobile.
Davanti ai suoi occhi comparvero dei lampi, poi non riuscì più a prendere aria perché la gelatina gli stava coprendo il viso. Come impazzito, Rubin cercò di strapparla via, ma non riusciva ad afferrare quella sostanza. Scivolava ovunque e, se riusciva a prenderla in mano, essa cambiava forma all'istante oppure si scioglieva. Inoltre continuava ad arrivarne altra.
No, pensò. No! No!
Aprì la bocca e sentì che quella sostanza gli stava strisciando dentro. Perse completamente il lume della ragione. Una sottile propaggine serpeggiò nell'esofago, altre gli penetrarono nelle narici. Lui soffocava, dava colpi all'intorno… Poi sentì un dolore incredibile alle orecchie, come se un boia vi stesse conficcando spietatamente dei coltelli. Un ultimo, limpido pensiero gli disse che la gelatina era diretta nel suo cranio.
Dal momento della disgrazia nel ponte a pozzo Rubin aveva continuato a chiedersi se l'organismo esaminava il cervello umano per curiosità o perché avesse qualche intenzione precisa, oppure se lo facesse per abitudine. Da milioni di anni s'infilava in tutto ciò che, dal suo punto di vista, meritava di essere esaminato…
Poi non si chiese più niente.
Greywolf
Che pace. Che tranquillità.
Probabilmente Vanderbilt aveva provato altre sensazioni. Aveva avuto paura. La sua morte era stata orribile, com'era giusto che fosse. Senza la paura era un'altra cosa.
Gieywolf sprofondava nell'abisso.
Tratteneva il fiato. Nonostante il tremendo dolore al ventre, voleva tenere il fiato il più a lungo possibile. Ma non perché credesse che ciò gli avrebbe allungato la vita. Quello era l'ultimo atto di volontà, di controllo. Sarebbe stato lui a determinare quando l'acqua gli sarebbe entrata nei polmoni.
Alicia era là sotto. Tutto quello che aveva voluto, quello che era stato importante per lui si trovava sott'acqua. Dunque era logico che pure lui seguisse quella strada. Era inevitabile.
Se nel tempo della tua vita sei stato un uomo buono, allora rinascerai come un'orca.
Vide un'ombra nera venire verso di lui. Un'altra la seguiva. Gli animali non gli prestarono attenzione. Già, pensò. Io sono amico vostro. Voi mi lasciate in pace. Naturalmente lui sapeva che il motivo per cui quegli animali non l'avevano visto era molto più prosaico. Quelle orche non erano amiche di nessuno. Da molto tempo non erano più loro stesse. Erano maltrattate da una specie che procedeva senza scrupoli, esattamente come gli uomini.
Ma anche quello si sarebbe rimesso a posto. Prima o poi. E il lupo grigio sarebbe diventato un'orca.
Poteva esserci un ultimo pensiero più bello?
Espirò.
Peak
«Ma è completamente impazzita?»
La voce di Peak risuonava tra le pareti della rampa. Judith Li procedeva in fretta davanti a lui. Cercò d'ignorare il dolore martellante alla caviglia e di tenere il passo della donna, che aveva buttato via il mitra e teneva in mano la pistola.
«Non mi dia sui nervi, Sal.» Judith Li si diresse verso la scaletta di boccaporto successiva. Salirono al livello immediatamente superiore, nel punto in cui sfociava il corridoio del settore segreto. Dal ventre della nave arrivavano tremiti e rimbombi sinistri. Il pavimento oscillava violentemente e si piegava, così furono costretti a fermarsi. Forse alcune paratie non avevano retto alla pressione dell'acqua. Nel frattempo, l'Independence si era sensibilmente inclinata e ciò li costrinse a percorrere il corridoio in salita. Dalla sala di controllo uscirono uomini e donne, che correvano verso di loro. Fissarono Judith Li in attesa di ordini, ma lei non li degnò di uno sguardo e continuò a camminare.