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«Quindi dobbiamo scoprire in fretta che cos'ha in mente.» Karen rifletté. «Perché non raduniamo gli altri?»

«Troppo rischioso. Se ne accorgerebbe subito. Sono certo che tutte le sale della nave sono sorvegliate. Non dovrebbero far altroché chiudere la porta e gettare via la chiave. Voglio costringere Jude nell'angolo. Voglio sapere cosa succede e, per farlo, ho bisogno di te.»

Karen annuì. «Okay. Che devo fare?»

«Trovare Rubin e torchiarlo, mentre io do una strapazzata a Jude.»

«Hai idea di dove sia?»

«Forse in quel laboratorio misterioso. Ora so dov'è, però non ho idea di come si faccia a entrare. Ma forse è da qualche altra parte nella nave.» Johanson sospirò. «Mi rendo conto che sembra un film di serie Z. Forse sono io a essere impazzito. Forse soffro di paranoia… Se è così, potrò comunque fare ammenda. Ma adesso voglio sapere cosa sta succedendo!»

«Tu non sei paranoico.»

Johanson la guardò e le sorrise, riconoscente. «Torniamo indietro.»

Sulla strada verso l'isola, continuarono a intrattenersi sul messaggio decifrato e sui contatti pacifici.

«Io vado da Leon», concluse Karen. «Vediamo che ne pensa della tua proposta. Forse già oggi pomeriggio potremo fare insieme il programma e testarlo.»

«Buona idea, a dopo», disse Johanson.

Guardò Karen scendere la rampa. Poi prese una scaletta di boccaporto, scese al livello 2 e gettò un'occhiata nel CIC, dove Samantha e Shankar erano davanti ai loro computer.

«Che cosa state combinando?» chiese con tono leggero.

«Pensiamo», rispose lei in mezzo alla sua tipica nuvola di fumo. «E voi, procedete coi feromoni?»

«Sue ne sta giusto sintetizzando un nuovo carico. Dovremmo ormai avere una dozzina di provette.»

«Allora siete più avanti di noi. Abbiamo sempre più dubbi sul fatto che la matematica sia l'unica via per il successo nella comunicazione», commentò Shankar. Il suo viso scuro si contrasse in una smorfia amara. «Credo che sappiano fare i conti meglio di noi.»

«Quale sarebbe l'alternativa?»

«Le emozioni.» Samantha soffiò il fumo dalle narici. «Ridicolo, vero? Voler raggiungere gli yrr coi sentimenti. Ma se i loro sentimenti sono di natura biochimica…»

«Come i nostri», notò Murray.

«… forse l'odore potrebbe aiutarci anche in altro modo. Sì, grazie, Murray. Lo so. Anche l'amore è chimica.»

«E tu, Sigur, hai qualcuno verso cui ti senti attratto chimicamente?» scherzò Shankar.

«No, al momento ho attenzioni solo per me stesso.» Si guardò intorno. «Per caso, avete visto Jude da qualche parte?»

«Poco fa era nel LFOC», rispose Samantha.

«Grazie.»

«Ah, già, Mick ti cercava.»

«Mick?»

«Erano seduti là insieme a chiacchierare. Mick voleva andare in laboratorio, è stato qualche minuto fa.»

Bene. Così si sarebbe imbattuto in Karen. «Fantastico», esclamò Johanson. «Mick ci può aiutare nella sintesi. Almeno finché non gli arriva un attacco di emicrania. Poveraccio.»

«Dovrebbe abituarsi a fumare», disse Samantha. «Il fumo fa bene contro il mal di testa.»

Johanson sorrise e andò nel LFOC. La maggior parte dei dati veniva archiviata nei sistemi che si trovavano lì, così Samantha e Murray potevano lavorare indisturbati nel CIC. Dagli altoparlanti arrivavano deboli fruscii e di tanto in tanto fischi e clic. Su un monitor passò l'ombra di un delfino. Evidentemente Greywolf aveva fatto uscire gli animali.

Di Judith Li, Peak e Vanderbilt non c'era traccia. Johanson raggiunse il JIC. Era vuoto, come pure lo erano le sale di comando e di controllo. Pensò di andare a vedere nella mensa ufficiali, ma poi si rese conto che là probabilmente avrebbe trovato solo gli uomini di Vanderbilt e qualche soldato. Judith poteva essere in palestra o nel suo alloggio. Non aveva tempo di cercare in tutta la nave.

Se Rubin era diretto in laboratorio, Karen l'avrebbe trovato. Doveva riuscire a parlare prima con Judith Li. Va bene, pensò. Se non sarò io a trovarti, sarai tu a trovare me. Senza fretta, andò alla sua cabina, entrò e si piazzò in mezzo alla stanza.

«Salve, Jude», disse.

Dove potevano essere le telecamere e i microfoni? Inutile cercarli, comunque c'erano.

«Pensi un po' cosa mi è successo… Mi è venuto in mente che, sopra il laboratorio grande, c'è un secondo laboratorio, in cui Mick ama ritirarsi quando gli viene l'emicrania. Vorrei tanto sapere cosa fa là dentro, a parte menare i colleghi.»

Il suo sguardo scorreva sui mobili, sulle lampade, sul televisore.

«Credo tuttavia che non me lo dirà di sua spontanea volontà, eh, Jude? Ho preso qualche precauzione. Vede, nel giro di pochissimo tempo tutta la squadra sarà al corrente dei miei ricordi, senza che lei abbia la minima possibilità d'impedirlo.» L'aveva sparata grossa, ma sperava che lei la bevesse. «Potrebbe interessarle? E a lei, Sal? Ah, già, quasi dimenticavo: che ne dice, Jack? Che ne pensate?»

Andò lentamente avanti e indietro nella stanza.

«Io ho tempo. E lei? Direi proprio di no.» Allargò le braccia e sorrise. «Potremmo trattare tutta questa faccenda in maniera confidenziale. Forse ci sono intenzioni del tutto onorevoli nella struttura ombra costruita dai vostri uomini. Forse è tutto nell'interesse della sicurezza nazionale. Non è che mi piaccia granché essere colpito in quel modo, Jude. Lo capisce, vero? Vorrei parlarne con lei ma, a quanto sembra, l'intero gruppo è stato colpito dall'emicrania di Rubin. Siete tutti a letto col mal di testa?»

Fece una pausa. E se a Judith Li non importasse ormai più nulla? Se non lo sentiva? Allora sarebbe rimasto lì come un idiota ad andare avanti e indietro nella sua stanza.

«Jude?»

Si guardò intorno. Sì, lo ascoltavano. Era sicurissimo che lo ascoltavano.

«Jude, mi è venuto in mente che lei ha finanziato la spesa di un simulatore per Rubin. Ho visto che è molto più piccolo del nostro, ma vorrei sapere questo: cosa studia lì che non possa studiare anche nel nostro? Non è che vi siete alleati con gli yrr alle nostre spalle? Mi aiuti a capire, Jude, non ho la minima idea di che cosa…»

«Dottor Johanson.»

Si girò. Sulla soglia c'era l'alta e nera figura di Peak.

«Ma che sorpresa», mormorò Johanson. «Il caro, vecchio Sal! Gradisce un tè?»

«Jude vorrebbe parlarle.»

«Ah, Jude.» Johanson piegò gli angoli della bocca in un mezzo sorriso. «Che vuole da me?»

«Mi segua.»

«Be', credo che si possa fare.»

Karen Weaver

Quando Karen entrò, Sue stava uscendo dal laboratorio di massima sicurezza con un contenitore metallico.

«Hai visto Mick?»

«No, ormai vedo solo feromoni.» Sue sollevò il contenitore. Era aperto su entrambi i lati. Una valigetta per i campioni con supporti per le provette. E infatti all'interno si allineava una dozzina di provette, piene di un liquido chiaro. «Ma ha chiamato poco fa per minacciare il suo arrivo. Dovrebbe essere qui da un momento all'altro.»

«Eau de yrr?» chiese Karen, lanciando un'occhiata alle provette.

«Sì. Oggi pomeriggio ne metteremo un po' nel simulatore. Così vedremo se riusciremo a convincere le cellule a fondersi. Sarà, per così dire, la santificazione della nostra teoria.» Sue si guardò intorno. «Controdomanda: hai visto Sigur?»

«Poco fa, sul ponte di volo. Ha sviluppato un paio d'idee interessanti per aiutare Sam. Ripasso tra un po'.»

«Fa' pure.»

Karen rifletté. Poteva dare un'occhiata al ponte dell'hangar. Ma, se Johanson aveva ragione, avrebbe dato immediatamente nell'occhio. Inoltre c'erano pochissime possibilità che la porta proibita venisse aperta finché lei gironzolava da quelle parti.

Seguì il tunnel fino al ponte a pozzo.

Il bacino era stato riempito quasi completamente. Sul molo c'erano alcuni tecnici di Roscovitz, che sorvegliavano la procedura. In acqua, lei vide Greywolf e Anawak. «Avete mandato fuori i delfini?» gridò.

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