Gli esplode davanti agli occhi e nel cranio si diffonde un dolore sordo. Le pareti, il corridoio, tutto oscilla. Il pavimento viene verso di lui…
Johanson fissò il soffitto del laboratorio.
Tutto era di nuovo nel presente.
Balzò in piedi. Sue stava ancora lavorando nel laboratorio sterile. Respirando affannosamente, guardò il simulatore, il quadro di controllo, i tavoli da lavoro.
Guardò ancora il soffitto.
Là sopra esisteva un altro laboratorio. Proprio sopra di loro. E nessuno doveva saperlo. Rubin lo aveva colpito e poi gli avevano dato qualcosa per cancellare il ricordo.
Perché?
Perdio, che razza di partita stavano giocando?
Johanson strinse i pugni. Dentro di lui ribolliva una rabbia impotente. Con pochi passi uscì e corse lungo la rampa.
Ponte a pozzo
«Che dovrei fare lassù con voi?» chiese Greywolf. «Non vi posso aiutare.»
La rabbia di Anawak si era dissolta. Si voltò, tornando lentamente indietro, mentre il bacino si riempiva d'acqua. «Non è vero, Jack.»
«E invece è così.» Aveva parlato in tono quasi indifferente. «La Marina ha tormentato i delfini e io non ho potuto farci nulla. Mi sono impegnato per le balene, ma le balene sono diventate vittime di un'altra entità. A un certo punto, ho deciso di vedere negli animali qualcosa di migliore degli uomini, una cosa stupida, ma pur sempre un modo per tirare avanti, e ora ho perso Alicia a causa di un animale. Non sono di aiuto a nessuno.»
«Smettila di compatirti, maledizione.»
«Questi sono fatti!»
Anawak tornò a sedersi di fianco a lui. «Aver lasciato la Marina è stata una cosa giusta e coerente», proseguì. «Eri il miglior addestratore che avessero mai avuto e interrompere la collaborazione è stata una scelta tua, non loro. Eri tu a manovrare i fili.»
«Sì, ma, dopo che me ne sono andato, è cambiato qualcosa?»
«Per te è cambiato qualcosa. Hai dimostrato di avere una spina dorsale.»
«E con questo, che cosa ho ottenuto?»
Anawak tacque.
«Sai, la cosa peggiore è questa sensazione di non appartenere a niente», disse Greywolf. «Ami una persona e la perdi. Ami gli animali e sono loro che ti uccidono. Progressivamente sto arrivando a odiare i cetacei. Capisci quello che dico? Comincio a odiare i cetacei!»
«Abbiamo tutti questo problema, e noi…»
«No! Ho visto Alicia morire nella bocca di un'orca e non ho potuto far niente per aiutarla. Questo è un problema mio! Se morissi ora, in questo istante, non cambierebbe nulla nel destino del mondo. A chi interessa? Non ho fatto nulla per cui si possa dire che la mia presenza su questo pianeta abbia avuto un senso.»
«Interessa a me.»
Greywolf lo guardò. Anawak si aspettava un commento cinico, ma non ottenne altro che un rumore smorzato, un gorgoglio nella gola di Greywolf, come un sospiro bloccato.
«E, prima che te ne dimentichi, interessava anche ad Alicia», disse Anawak.
Johanson
La sua rabbia era tale che non ci avrebbe pensato due volte ad afferrare Rubin, a trascinarlo fino al ponte di volo e a scaraventarlo fuori bordo. E forse l'avrebbe fatto davvero se avesse incrociato il biologo. Ma Rubin non si vedeva. Invece Johanson incontrò Karen, che stava scendendo.
Sul momento non seppe cosa fare. Poi si ricompose. «Karen!» Sorrise. «Sei venuta a trovarci?»
«A dire la verità volevo andare nel ponte a pozzo. Da Leon e Jack.»
«Ah, sì, Jack.» Johanson si costrinse a stare calmo. «Non sta bene, vero?»
«No. Credo che tra lui e Alicia ci fosse molto più di quanto lui stesso credesse. È difficile avvicinarsi a lui.»
«Leon è suo amico. Ce la farà.»
Karen annuì e guardò Johanson con aria interrogativa. «Stai bene?» gli chiese.
«Magnificamente.» Le prese una mano. «Ho appena avuto un'idea sensazionale su come prendere contatto con gli yrr. Vieni con me in coperta?»
«In effetti volevo…»
«Solo per dieci minuti. Ho bisogno della tua opinione. Questo continuo girare in spazi chiusi mi dà sui nervi.»
«I tuoi abiti sono troppo leggeri per andare in coperta.»
Johanson si guardò. Indossava un pullover e i jeans. La sua giacca a vento era appesa in laboratorio. «Irrobustimento», disse.
«Contro che cosa?»
«Contro l'influenza. Contro la vecchiaia. Contro le domande stupide! Che ne so?» Si rese conto di aver alzato la voce. Controllati, pensò. «Ascolta, devo assolutamente sbarazzarmi di questa idea che è legata alla vostra simulazione. Non ho voglia di farlo qui sulla rampa. Vieni?»
«Sì, certo.»
Risalirono insieme la rampa e arrivarono all'interno dell'isola. Johanson si costrinse a non guardare in continuazione il soffitto e a non cercare telecamere e microfoni nascosti. Di certo non li avrebbe visti. Invece disse, in tono leggero: «Naturalmente Jude ha ragione: non bisogna affrettare i tempi. Credo che avremo bisogno di un paio di giorni prima che l'idea sia matura, perché si basa su…»
E così via. Dicendo cose prive di senso, guidò Karen fuori dall'isola, all'aria aperta, e la precedette gesticolando, finché non raggiunsero uno dei punti di atterraggio degli elicotteri. Faceva freddo e si era levato il vento. Addensamenti di foschia si erano distesi sul mare, le onde si erano alzate. Danzavano davanti a loro come animali preistorici, grigie e indolenti, e sollevavano l'odore di acqua salmastra. Johanson aveva un freddo cane, ma la sua rabbia lo riscaldava almeno all'interno. Infine si trovarono in un punto sufficientemente lontano dall'isola.
«Per dirla tutta, non ho capito una parola», disse Karen.
Johanson sollevò la testa contro il vento. «Infatti non c'è niente da capire. Credo che qui fuori non ci possano sentire. Dovrebbero aver allestito una cosa davvero dispendiosa per riuscire ad ascoltare le conversazioni sul ponte di volo.»
Karen socchiuse le palpebre. «Ma di che stai parlando?»
«Mi sono ricordato, Karen. Ora so cos'è successo l'altra notte.»
«Hai trovato la porta?»
«No. Ma so che c'è.»
Le raccontò in poche parole tutta la storia. Karen lo ascoltava, impassibile. «Intendi dire che a bordo c'è una sorta di quinta colonna?»
«Sì.»
«Ma a che scopo?»
«Hai sentito quello che ha detto Jude: non bisogna affrettare i tempi. Voglio dire, tutti noi — tu e Leon, Sue e io, anche Rubin naturalmente, Sam e Murray — abbiamo preparato una scheda segnaletica degli yrr. Forse c'illudiamo, forse abbiamo sbagliato clamorosamente, ma tutto fa pensare il contrario. Almeno dal punto di vista teorico sappiamo con quale tipo d'intelligenza aliena abbiamo a che fare e come funziona. Abbiamo lavorato a pieno ritmo per scoprirlo. E improvvisamente possiamo prendercela con calma?»
«Perché non hanno più bisogno di noi», replicò lei in tono piatto. «Perché Mick ci sta lavorando in un altro laboratorio con altra gente.»
«Noi siamo i fornitori», confermò Johanson. «Abbiamo fatto il nostro dovere.»
«Ma perché?» Karen scosse la testa, incredula. «Quale obiettivo può perseguire Mick che non sia in accordo coi nostri? Quali alternative ci sono? Dobbiamo arrivare a un accordo con gli yrr! Che cos'altro può volere?»
«È stato avviato un piano alternativo. Mick fa il doppio gioco, ma non è un'idea sua.»
«E di chi, allora?»
«Dietro di esso c'è Jude.»
«Sei stato diffidente nei suoi confronti fin dall'inizio, vero?»
«E lei lo è stata nei mie confronti. Entrambi abbiamo capito subito che nessuno dei due era da sottovalutare. In sua presenza ho sempre avuto questa sensazione, solo che mi appariva ridicola. Non trovavo un unico motivo convincente per non fidarmi di lei.»
Rimasero per un po' in silenzio.
«E ora?» chiese poi Karen.
«Ora ho tempo di ragionare a mente fredda», rispose Johanson, stringendosi le braccia intorno al corpo. «Jude ci vedrà qui. Credo che mi tenga d'occhio con molta attenzione. Non può essere sicura di quello di cui parliamo, ma naturalmente parte dal presupposto che prima o poi tornerò a ricordare. Il tempo stringe. Stamattina, per la prima volta, ci ha dato lo stop. Se sta seguendo un suo piano, allora agirà ora.»