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«Evoluzione pura», confermò Karen. «Pensiero evolutivo.»

«Che razza di avversario!» Judith Li era meravigliata. «Niente vanità, nessuna perdita d'informazioni. Noi esseri umani vediamo sempre solo una parte del tutto, loro abbracciano con lo sguardo il tempo e lo spazio.»

«Per questo noi distruggiamo il nostro pianeta», intervenne Samantha Crowe. «Perché non riconosciamo quello che distruggiamo. Devono averlo capito anche quelli laggiù, e di certo hanno capito che non abbiamo una memoria della specie.»

«Sì, tutto torna. Perché dovrebbero trattare con noi? Con lei o con me? Domani potremmo essere morti. E allora, con chi parleranno? Se avessimo una memoria della specie, allora saremmo protetti anche dalla nostra stupidità. Ma non l'abbiamo. Andare d'accordo con gli esseri umani è un'illusione. Questo lo hanno già imparato, è una parte della loro conoscenza e il fondamento della decisione di agire contro di noi.»

«E nessun nemico sarà in grado di eliminare quel sapere», disse Sue. «In un insieme yrr lo sanno tutti. Non ci sono teste pensanti, scienziati, generali o comandanti che possano essere eliminati per sradicare i fondamenti dell'informazione anche da tutti gli altri. Si possono uccidere quanti yrr si vuole, ma, finché alcuni sopravvivono, sopravvive il sapere di tutti.»

«Un momento», Judith voltò la testa verso Sue. «Non ha detto che ci devono essere delle specie di regine?»

«Sì. Qualcosa del genere. Potrebbe essere che tutti gli yrr abbiano un sapere collettivo, ma un'azione collettiva potrebbe iniziare da un centro. Sì, credo che ci siano delle regine.»

«Anche loro unicellulari?»

«Devono condividere la stessa biochimica degli altri. Si può presumere che siano unicellulari. Un'associazione altamente organizzata che riusciremo a comprendere solo comunicando con loro.»

«Per ricevere messaggi misteriosi», disse Vanderbilt. «Allora, ci hanno mandato un'immagine della Terra preistorica. A che scopo? Cosa ci vogliono raccontare?»

«Tutto», rispose Samantha.

«Potrebbe essere un po' più precisa?»

«Ci spiegano che questo è il loro pianeta. Che lo dominano da almeno centottanta milioni di anni, probabilmente da più tempo ancora. Che hanno una memoria della specie, si orientano coi campi magnetici e sono ovunque ci sia dell'acqua. Dicono: 'Voi siete il qui e ora; noi siamo il sempre e ovunque'. Questi sono i fatti. Questo ci dice il messaggio, e io credo che sia parecchio.»

Vanderbilt si grattò la pancia. «E che cosa rispondiamo? Che possono infilarselo nel culo, il loro dominio?»

«Non ce l'hanno, Jack.»

«Allora cosa?»

«Penso che alla loro logica di volerci annientare potremmo contrapporre la nostra logica di voler sopravvivere. La nostra unica possibilità di sopravvivere consiste nel segnalare che riconosciamo il loro dominio…»

«Il dominio di organismi unicellulari?»

«E in questo modo convincerli che non siamo più pericolosi per loro.»

«Ma lo siamo», obiettò Karen.

«Vero», disse Johanson. «Parlare non serve. Dobbiamo dare il segnale che ci ritiriamo dal loro mondo. Dobbiamo smettere d'inquinare i mari con veleni e rumori, e anche in fretta. Così in fretta che forse loro arriveranno a pensare di poter vivere anche con noi.»

«Questo deve deciderlo lei, Jude», disse Samantha. «Noi possiamo solo darle consigli. Lei deve raccomandare. Oppure ordinare.»

Tutti guardarono Judith Li. «Sono dell'idea di percorrere questa strada», disse lei. «Ma non dobbiamo affrettare i tempi. Se ci ritiriamo dal mare, dobbiamo mandare loro un messaggio che sia formulato con precisione e che sia convincente.» Si guardò intorno. «Voglio che collaborino tutti. E senza farsi prendere dalla furia e dal panico. Qualche giorno in più non cambia niente, e invece potrebbe essere utile per elaborare il messaggio giusto. Questa specie ci è estranea in tutto, in un modo che mai avrei immaginato. Ma se c'è anche solo una possibilità di arrivare a un accordo pacifico, dobbiamo utilizzarla. Quindi date il massimo.»

«Jude», sorrise Samantha. «Non sono mai stata così entusiasta dei militari americani.»

Quando Judith Li lasciò la sala con Peak e Vanderbilt, disse sottovoce: «Rubin è riuscito a fabbricare sufficiente sostanza?»

«Sì», rispose Vanderbilt.

«Bene. Voglio che carichi il Deepflight. Non m'interessa quale. Entro due ore, tre al massimo, dobbiamo andare e risolvere la faccenda»

«Perché tutta questa fretta?» chiese Peak.

«Johanson ha un'espressione negli occhi… come se fosse sul punto di avere un'ispirazione. Non ho voglia di stare a discutere. È tutto. Domani potrà fare tutto il baccano che vorrà.»

«Siamo davvero così avanti?»

Judith lo guardò. «Questo ho detto al presidente degli Stati Uniti, Sal. E così sarà.»

Ponte a pozzo

«Ehi.»

Anawak si avvicinò al delfinario e Greywolf sollevò un attimo lo sguardo, tornando poi subito a dedicarsi alle piccole telecamere che aveva smontato. Quando Anawak fu più vicino al bordo, due animali tirarono la testa fuori dall'acqua e lo salutarono con schiamazzi e fischi. Poi si accostarono per farsi accarezzare.

«Ti disturbo?» chiese Anawak, allungandosi oltre il bordo per toccare gli animali.

«No.»

Anawak gli si appoggiò di fianco. Non era la prima volta che andava lì dopo l'attacco, cercando di spingere Greywolf a parlare, ma invano. L'amico sembrava completamente chiuso in se stesso. Non prendeva più parte alle riunioni, si limitava a trasmettere i video, accompagnati da brevi commenti scritti. Oltretutto quei video non dicevano molto. Le riprese della gelatina che si avvicinava erano deludenti: si scorgeva una luce blu che si perdeva negli abissi. Poi c'erano le immagini sfocate di alcune orche. Infine, quando i delfini si erano spaventati, rifugiandosi sotto lo scafo della nave, si vedevano solo lastre d'acciaio. Anawak dubitava sempre più dell'utilità della squadra, ma non aveva detto nulla. In segreto, sospettava che Greywolf volesse continuare a lavorare come prima solo per non cadere nel baratro dell'inazione.

Rimasero per un po' in silenzio. Dietro di loro, a una certa distanza, un gruppo di soldati e tecnici risalì dal ventre del ponte a pozzo. Avevano ricostruito la paratia di vetro distrutta. Uno dei tecnici andò alla console sulla banchina e le pompe ricominciarono a lavorare.

«Andiamocene», disse Greywolf.

Risalirono la sponda. Anawak vide il bacino che lentamente si riempiva d'acqua. «Lo riempiono ancora», constatò.

«Sì. Se il bacino è pieno, è più facile far uscire i delfini.»

«Vuoi mandarli di nuovo fuori?»

Greywolf annuì.

«Ti aiuto», propose Anawak. «Se ne hai voglia.»

«Buona idea.» Greywolf aprì la telecamera e armeggiò all'interno con un minuscolo cacciavite.

«Ora?»

«No, prima devo riparare questa cosa.»

«Non ti va di prenderti una pausa? Potremmo andare a bere qualcosa. Di tanto in tanto abbiamo tutti bisogno di un po' di riposo.»

«Non ho poi tanto da fare, Leon. Sistemo l'equipaggiamento e mi preoccupo che gli animali stiano bene. Non faccio altro che prendermi pause.»

«Allora vieni con me alla riunione.»

Greywolf gli gettò una rapida occhiata e poi continuò il lavoro in silenzio.

«Jack», disse infine Anawak. «Non puoi stare permanentemente rintanato.»

«Chi dice permanentemente?»

«E allora cosa sarebbe quello che stai facendo?»

«Faccio il mio lavoro. Presto attenzione a quello che trasmettono i delfini, analizzo i video e se qualcuno ha bisogno di me, ci sono.»

«No, non ci sei. Non sai neppure che cosa abbiamo scoperto nelle ultime ventiquattr'ore.»

«E invece lo so.»

«Come?» Si sorprese Anawak. «Chi te l'ha detto?»

«Sue è stata qui. Talvolta viene anche Peak, per vedere se è tutto a posto. Tutti mi raccontano qualcosa, non c'è neppure bisogno di chiedere.»

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