Una volta soltanto era riuscito a contare qualcosa: all'ospedale, col bambino della Lady Wexham che aveva salvato. Allora si era sentito davvero orgoglioso. Sulla Lady Wexham aveva fatto un buon lavoro. Aveva aiutato molte persone e persino Anawak era ridiventato suo amico. Un fotografo aveva scattato una foto e il giornale del giorno seguente aveva sancito il suo coraggio e la sua disponibilità.
Ma le balene continuavano a impazzire, i delfini soffrivano, tutta la natura soffriva e Alicia era morta.
Greywolf si sentiva privo di qualsiasi valore. Provava disgusto per se stesso. Non ne avrebbe parlato con nessuno, quello era certo. Avrebbe solo fatto il suo lavoro finché quell'incubo non fosse finito.
E poi…
Dagli occhi gli sgorgarono le lacrime. Il suo volto era immobile. Continuava a fissare la copertura, ma là c'erano solo travi d'acciaio. Nessuna risposta.
Il quadro generale
«Questa sfera è il nostro pianeta», stava dicendo Samantha Crowe. Aveva appeso alle pareti diversi ingrandimenti di stampate e si spostava lentamente dall'una all'altra. «Ci siamo scervellati per tanto tempo sulla natura delle linee, e adesso crediamo che rappresentino il campo magnetico terrestre. In ogni caso, le superfici libere sono i continenti. Questo ci ha permesso di decifrare la sostanza del messaggio.»
Judith Li socchiuse le palpebre. «Ne è sicura? Questi presunti continenti non sono simili ai continenti che conosco.»
Samantha sorrise. «E non potrebbero neppure. Questi sono i continenti come apparivano centottanta milioni di anni fa, riuniti in uno solo. Pangea, il continente primordiale. Probabilmente anche l'ordinamento delle linee magnetiche corrisponde a quell'epoca.»
«Lo ha verificato?»
«L'ordinamento del campo magnetico è difficile da ricostruire. Invece la costellazione delle masse terrestri di allora è nota. Ci è voluto un po' per capire che ci hanno mandato un modello della Terra, ma poi i conti sono tornati. In fondo è molto semplice. Come nucleo dell'informazione hanno scelto l'acqua e l'hanno accoppiata coi dati geografici.»
«Come fanno a sapere qual era allora l'aspetto della Terra?» si meravigliò Vanderbilt.
«Perché lo ricordano», rispose Johanson.
«Lo ricordano? L'oceano primordiale?» esclamò Vanderbilt.
«Esatto», annuì Johanson. Ieri notte abbiamo trovato l'ultima tessera del puzzle. Gli yrr dispongono di un DNA ipermutabile. Supponiamo che, all'inizio del Giurassico, circa duecento milioni di anni fa, si sia manifestata la loro consapevolezza. Da allora apprendono costantemente. Nei romanzi e nei film di fantascienza ci sono alcune frasi diventate ormai classiche, del tipo: 'Non so cos'è, ma ci sta venendo addosso', oppure: 'Mi passi il presidente'. Un'altra di queste frasi canoniche è: 'Sono superiori a noi', e quasi sempre il libro o il film ci restano debitori di una spiegazione. In questo caso, possiamo completarla: gli yrr sono superiori a noi.»
«Perché immagazzinano il loro sapere nel DNA?» chiese Judith Li.
«Sì. Questa è la differenza fondamentale con gli uomini. La nostra cultura si trasmette attraverso la voce, i testi scritti o le immagini. Ma non possiamo trasmettere all'istante le cose che viviamo. Col nostro corpo muore anche il nostro spirito. Quando diciamo che non si devono dimenticare gli errori del passato, non facciamo altro che dar voce a un desiderio irrealizzabile. Ciò che si ricorda si può soltanto dimenticare. Nessun uomo può ricordare quello che un altro essere umano ha vissuto prima di lui. I ricordi li possiamo registrare e richiamare, però noi non c'eravamo. Ogni bambino deve imparare le stesse cose, mettere la mano sul fornello rovente per capire che scotta. Per gli yrr non è così. Una cellula impara e si scinde. Sdoppia il proprio genoma con tutte le informazioni, un po' come se duplicassimo il nostro cervello con tutti i ricordi. Le nuove cellule non ereditano un sapere astratto, bensì l'esperienza immediata, come se fossero state presenti anche loro. Dall'inizio della loro esistenza, gli yrr sono capaci di un ricordo collettivo.» Johanson guardò Judith Li. «Ora ha capito chi si è messo contro di noi?»
Judith annuì lentamente. «Per annientare l'insieme bisognerebbe eliminare tutti i suoi ricordi.»
«Temo che, per riuscirci, dovremmo distruggere tutti gli individui», replicò Johanson. «E questo è impossibile per diversi motivi. Non sappiamo quanto sia fitta la loro rete. Probabilmente formano catene cellulari lunghe centinaia di chilometri. Diversamente da noi, non vivono nel presente. Non hanno bisogno di statistiche, di valori medi, di simboli che stanno in piedi con le stampelle. In associazioni sufficientemente grandi, sono essi stessi la statistica, la somma di tutti i valori, la loro stessa cronaca. Conoscono uno sviluppo che si estende per millenni, mentre noi non siamo nemmeno in grado di agire nell'interesse dei nostri figli e dei nostri nipoti. Siamo stati spodestati. Gli yrr confrontano, analizzano, riconoscono, fanno pronostici e agiscono sulla base di un ricordo costantemente presente. Non va persa nessuna prestazione creativa, tutto fluisce nello sviluppo di nuove strategie e concetti! Una selezione che non finisce mai, diretta verso soluzioni migliori. Attingere, modificare, raffinare, imparare dagli errori, confrontarsi col nuovo, fare previsioni, agire.»
«Che cosa fredda e disgustosa», disse Vanderbilt.
«Trova?» Judith Li scosse la testa. «Io invece ammiro quegli esseri. Elaborano nel giro di qualche minuto strategie che per noi richiederebbero anni. Già soltanto sapere quello che non va… Semplice, si ricorda perché gli errori si sono fatti di persona, anche se fisicamente non si esisteva ancora.»
«Per questo gli yrr si sono adattati al loro ambiente molto meglio di come noi abbiamo fatto col nostro», riprese Johanson. «Per loro, ogni prestazione intellettuale è collettiva e ancorata saldamente ai geni. Vivono contemporaneamente in tutte le epoche. Gli uomini, invece, non sanno valutare il passato e ignorano il futuro. Tutta la nostra esistenza si fissa sui singoli, sul cervello individuale, sul qui e ora. Sacrifichiamo prospettive più ampie agli interessi personali. Non ci possiamo salvaguardare dalla morte, così ci eterniamo nei manifesti, nei libri e nelle opere. Cerchiamo di scrivere la storia, lasciamo annotazioni, veniamo riraccontati, fraintesi, falsati; valanghe ideologiche si formano e precipitano anche molto tempo dopo che siamo morti. Siamo così ossessionati dall'idea di sopravvivere a noi stessi che i nostri scopi spirituali raramente coincidono con ciò che sarebbe utile all'umanità. Il nostro spirito forgia l'estetica, l'individualismo, l'intellettuale, il teoretico. Non vogliamo essere animali. Da una parte, il corpo è il nostro tempio, dall'altra ci consideriamo solo come unità di funzioni. Così ci siamo abituati a considerare lo spirito superiore al corpo, e osserviamo la nostra necessità oggettiva di sopravvivenza con ripugnanza e disprezzo per noi stessi.»
«E negli yrr una simile separazione non esiste», constatò Judith Li. Per motivi inesplicabili, sembrava decisamente soddisfatta. «Il corpo è lo spirito, lo spirito è il corpo. Nessuno degli yrr farebbe qualcosa contro l'interesse generale. Sopravvivere è un interesse della specie, non dell'individuo, ed essi agiscono sempre secondo questa risoluzione. Grandioso! Nessuno yrr riceverà mai un'onorificenza per una buona idea. La soddisfazione è nella compartecipazione al risultato. Nessuno yrr gode di privilegi. Mi chiedo se le singole cellule abbiano qualcosa di simile a una coscienza individuale.»
«Diversa da come la conosciamo noi», annuì Anawak. «Non so se in un organismo unicellulare si possa parlare di autocoscienza, però ogni cellula individualmente è creativa. Ogni cellula è un collettore che trasforma l'esperienza in creatività e poi la diffonde nell'insieme. Probabilmente tengono conto di un pensiero quand'è sufficientemente forte, cioè quando un numero sufficiente di yrr lo trasmette contemporaneamente. Ogni idea dovrà fare i conti con le altre, e la più forte sopravvive.»