«Lavoro. E tu?»
«Non riesco a dormire.»
«Forse potremmo concederci un sorso di Bordeaux. Che ne dici?»
«Oh…» Anawak sembrò incerto. «È davvero molto gentile da parte tua, ma non bevo alcol.»
«Mai?»
«Mai.»
«Strano.» Johanson aggrottò la fronte. «In genere non mi sfuggono queste cose. Ma qui siamo un po' tutti fuori squadra, vero?»
«Lo può ben dire.» Anawak fece una pausa. Sembrava che volesse dire qualcosa, ma poi chiese: «Come procede il tuo lavoro?»
«Bene», rispose Johanson. Poi, come di sfuggita, aggiunse: «Ho risolto il vostro problema».
«Il nostro problema?»
«Tuo e di Karen. Il problema della memoria del DNA. Avevate ragione. Funziona, e so anche come.»
Anawak spalancò gli occhi. «E lo dici così, come se niente fosse?»
«Scusami, però sono troppo stanco per mettermi a ballare il tip tap. Naturalmente hai ragione. Bisogna festeggiare con una bevuta.»
«Come ci sei arrivato?»
«Ricordi quella misteriosa regione ipervariabile? Sono cluster. Ovunque sul genoma si trovano questi cluster che codificano determinate famiglie di proteine. Ah… sai di cosa sto parlando?»
«Aiutami.»
«I cluster sono sottoclassi dei geni. Geni che servono per qualcosa, per esempio per formare i recettori e per la produzione di qualche sostanza. Se un grumo di questi geni si trova su una sezione di DNA, si chiama cluster. E il genoma degli yrr ne ha una gran quantità. La cosa divertente è che le cellule degli yrr vengono completamente riparate. Negli yrr, però, la riparazione non copre tutto il genoma e gli enzimi non esaminano tutto il DNA alla ricerca di errori: reagiscono solo a un segnale specifico. Come su una tratta ferroviaria. Riconoscono un segnale di partenza, cominciano a riparare, raggiungono il segnale di stop e si fermano. Perché lì comincia…»
«Il cluster.»
«Esatto. E i cluster sono protetti.»
«Possono proteggere dalla riparazione alcune parti del loro genoma?»
«Attraverso inibitori della riparazione. Guardiani biologici, se si vuole. Proteggono i cluster dagli enzimi riparatori. Così queste zone sono libere e possono mutare in continuazione, mentre il resto del DNA viene riparato per mantenere le informazioni fondamentali della specie. Ingegnoso, vero? In questo modo, ogni yrr diventa un cervello capace di svilupparsi senza limiti.»
«E come si scambiano le informazioni?»
«Come ha già detto Sue, da cellula a cellula. Attraverso ligandi e recettori. I recettori ricevono i ligandi, gli impulsi delle altre cellule e li trasformano in una cascata di segnali indirizzata verso il nucleo. Il genoma muta e dà l'impulso alla cellula vicina. È un processo fulmineo. Quel mucchio di gelatina nella cisterna pensa con la velocità di un superconduttore.»
«In effetti, è una biochimica completamente nuova», sussurrò Anawak.
«Oppure vecchissima. È nuova solo per noi. Probabilmente esistono già da milioni di anni. Forse fin dall'inizio della vita. Una variante dell'evoluzione.» Johanson fece una breve risata. «Una variante di grande successo.»
Anawak appoggiò il mento alle mani. «E ora che facciamo?»
«Bella domanda. Raramente mi sono trovato in uno stato di confusione simile a quello in cui mi trovo oggi. Perché una simile conoscenza non mi fa fare un solo passo avanti. Conferma solo quello che temevamo: sono diversi da noi sotto ogni punto di vista.» Si stiracchiò e fece un largo sbadiglio. «Non so se i tentativi di prendere contatto fatti da Samantha ci faranno andare avanti. Al momento, ho l'impressione che loro si stiano semplicemente intrattenendo con noi, mentre continuano a diffondere il terrore. Forse ai loro occhi non rappresenta una contraddizione. Di certo non è il tipo di conversazione che preferisco.»
«Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo trovare una strada per comprenderci.» Anawak si mordicchiò l'interno delle guance. «A proposito, credi che sulla nave stiamo tutti dalia stessa parte?»
Johanson drizzò le orecchie. «Come ti viene in mente?»
«Perché…» Anawak s'incupì. «Okay, non arrabbiarti, ma Karen mi ha raccontato quello che hai visto nella notte del tuo strano incidente. O che credi di aver visto.»
Jokanson lo squadrò con occhio critico. «E lei che ne pensa?»
«Ti crede.»
«E tu, Leon?»
«Difficile da dire.» Anawak scrollò le spalle. «Tu sei norvegese. Voi siete convintissimi che esistano i troll.»
Johanson sospirò. «Senza Sue non sarei riuscito a ricordarlo», disse. «È stata lei a farmi tornare alla mente la notte che abbiamo trascorso insieme su una cassa sul ponte dell'hangar. Pare che io abbia visto Rubin, benché si presumesse che fosse a letto con l'emicrania. Da allora sono riemersi dei frammenti. Ricordo cose che è poco probabile io abbia sognato. Talvolta sono sul punto di rivedere tutto, ma poi… Mi trovo davanti a una porta aperta, vedo una luce bianca, entro e i ricordi spariscono.»
«Cosa ti rende così certo di non aver sognato?»
«Sue.»
«Ma lei non l'ha visto.»
«E Judith Li.»
«Perché proprio Judith Li?»
«Perché durante il party si è interessata un po' troppo insistentemente ai miei ricordi. Credo volesse sondare il terreno.» Johanson lo guardò. «Leon, mi hai chiesto se qui tutti stanno dalla stessa parte. Credo di no. Neppure allo Château. Ho diffidato di Judith Li fin dall'inizio. E intanto mi sono convinto che Rubin non soffre di emicrania. Non so cosa devo credere, ma ho la netta sensazione che ci sia qualcosa in corso!»
«Intuizione maschile», sorrise incerto Anawak. «A tuo parere, che cos'ha in mente Judith Li?»
Johanson guardò il soffitto. «Questo lo sa soltanto lei.»
Sala di controllo
Casualmente, proprio in quel momento, Johanson guardò in una delle telecamere nascoste. Senza saperlo, fissò Vanderbilt, che aveva preso il posto di Judith Li e disse: «Questo lo sa soltanto lei.»
«Sei un tipetto sveglio», sibilò Vanderbilt. Poi chiamò Judith Li nel suo alloggio attraverso un canale a prova d'intercettazione. Non sapeva se stava dormendo, ma non gli importava.
Judith Li apparve sul monitor.
«Le avevo detto che non c'erano garanzie, Jude», disse lui. «Johanson sta per recuperare la memoria.»
«E se anche fosse?»
«Non è neppure un po' nervosa?»
Judith accennò un sorriso. «Rubin ha lavorato duro. È appena stato qui.»
«E allora?»
«È brillante, Jack!» I suoi occhi luccicavano. «Lo so, quel piccolo stronzo non ci piace, ma devo ammettere che stavolta ha superato se stesso.»
«Una cosa già testata?»
«Su piccola scala. Ma la piccola è come la grande. Funziona. Tra poche ore avrò l'autorizzazione del presidente. Poi io e Rubin andremo giù.»
«Vuole farlo personalmente?» esclamò Vanderbilt.
«E chi dovrebbe farlo? Lei nel batiscafo non c'entra», ribatté Judith Li. Poi riattaccò.
Ponte a pozzo
I sistemi elettrici ronzavano negli hangar vuoti e sui ponti dell'Independence creando un effetto spettrale. Facevano vibrare appena le paratie. Si potevano sentire nell'enorme ospedale vuoto e nella mensa ufficiali deserta. Soltanto gli uomini dell'equipaggio che, dalle loro cuccette, appoggiavano le dita dei piedi sugli armadietti erano in grado di percepire quelle vibrazioni.
Arrivavano fin nel ventre della nave, dove, sul bordo del bacino, Greywolf stava fissando la copertura d'acciaio.
Perché si deve sempre perdere tutto?
Si sentiva travolto dalla tristezza e dalla sensazione di aver sbagliato ogni cosa. Era stato un errore anche venire al mondo. Era andato tutto storto. E non era neppure riuscito a salvare Alicia.
Non hai protetto nulla. Assolutamente nulla. Tu hai sempre avuto solo una gran bocca e una paura ancora più grande. Un piccolo bambino piagnucoloso in un corpo gigantesco che vorrebbe contare qualcosa per sé e per gli altri.