«Ma la gente la ascolta», lo confortò Judith Li. «Al momento lei è uno dei pochi che viene ascoltato. Insieme coi tedeschi.»
«Sì, i tedeschi.» Il presidente socchiuse le palpebre. «È vero? I tedeschi stanno progettando una loro missione?»
Judith quasi cadde dal tapis roulant. Che sciocchezza era? «No, non lo stanno facendo. Siamo noi a guidare il mondo. Siamo legittimati dalle Nazioni Unite. La Germania guida l'Europa, ma collabora strettamente con noi. Guardi La Palma.»
«Allora perché la CIA mi racconta queste cose?»
«Perché Vanderbilt le mette in circolazione.»
«Ah, Jude…»
«E invece sì. È stato e rimane un intrallazzatore.»
«Bambina mia, se lei fosse già prossima a raggiungere il posto cui mira, peraltro meritandolo, di certo non avrebbe intorno Vanderbilt.»
Judith espirò lentamente. Si era lasciata prendere dall'emotività. Si era scoperta, forse sopravvalutandosi. Non era un bene. Doveva riprendere il controllo. «Naturalmente, in Jack non vedo un problema, ma un partner», disse sorridendo.
Il presidente annuì. «I russi ci hanno mandato un team che ha ampiamente informato la CIA sulla situazione sulle coste del mar Nero. Siamo in stretto contatto con la Cina. È probabile che quella dei tedeschi sia una bufala. Nemmeno io ho l'impressione che stiano giocando per conto loro, però sa bene che, in momenti simili, i media si buttano su queste notizie come se fossero leccornie. No, possiamo essere soddisfatti. È già meraviglioso vedere quante persone di diverse nazioni si riuniscano sotto lo stesso Dio di fronte al diavolo che sale dal mare.» Si passò una mano sugli occhi. «Allora, a che punto siamo? Non volevo chiederle altro, Jude, non voglio metterla nella penosa situazione di dover dissimulare qualcosa, però adesso deve parlare. A che punto siamo?»
«Siamo vicini al successo.»
«Cosa intende con 'vicini'?»
«Rubin sostiene che, se tutto va come previsto, nel giro di un paio di giorni potremo agire. Abbiamo fatto un gran colpo in laboratorio. C'è una sostanza odorosa attraverso cui gli yrr comunicano. Hanno preparato la sostanza artificialmente…»
«Mi risparmi i dettagli. Rubin sostiene che funziona?»
«Ne è assolutamente sicuro, signore», disse Judith Li. «E lo sono anch'io.»
Il presidente si morse il labbro inferiore. «Mi affido a lei, Jude. C'è qualche complicazione coi suoi scienziati?»
«No», mentì lei. «Tutto procede al meglio.» Perché aveva fatto quella domanda? Forse Vanderbilt… Calma, Jude. Una frase casuale. Non è nell'interesse di Vanderbilt. Quel sacco di lardo ha una vera boccaccia, però non si darebbe la zappa sui piedi. «Siamo molto avanti, signore», riprese. «Le ho promesso che avrei portato a termine l'operazione come desiderato, e lo farò. Noi salveremo il mondo. Lo salveranno gli Stati Uniti d'America. Lei salverà il mondo.»
«Come al cinema, eh?»
«Meglio.»
Il presidente annuì, cupo. Subito dopo sorrise. Non era il solito sorriso raggiante, però aveva un tocco di quell'indispensabile determinazione a vincere per cui lei lo ammirava e rispettava.
Combat Information Center
Qualunque cosa nascondesse il messaggio mandato dai nemici nascosti in mare, lo stomaco di Murray Shankar, spinto dalla biochimica umana, brontolava tanto che, a un certo punto, Samantha Crowe non ne poté più di sentirlo e spedì il collega a mangiare.
«Non devo mangiare», insistette Shankar.
«Ma fammi il piacere», sbottò Samantha.
«Non abbiamo tempo per mangiare.»
«Lo so anch'io. Ma non ne avremo comunque, se a un certo punto qualcuno troverà le nostre ossa sbiancate. Perlomeno io mi nutro di Lucky Strike. Va', Murray. Mangia qualcosa, torna rinvigorito e risolvi il nostro problema con un impulso costruttivo.»
Shankar andò e lei rimase sola.
Aveva bisogno di stare un po' da sola. Non aveva niente contro Shankar. Era un uomo brillante e aveva aiutato parecchio. Però sembrava vivere unicamente in funzione dell'acustica. Faticava a confrontarsi con un modo di pensare non umano, e Samantha era arrivata alla conclusione che la cosa migliore sarebbe stata non avere intorno nessuno, tranne il fumo.
Fumò una sigaretta e ricominciò.
H2O. Noi viviamo nell'acqua.
Il messaggio si presentava come il disegno di una carta da parati. Un rapporto sull'H2O. Sempre uguale, a parte il fatto che ogni molecola di H2O era accoppiata con qualche dato supplementare. Milioni di simili coppie di dati allineati. Nella trasposizione grafica, si rivelavano delle immagini formate da linee. Il pensiero più naturale era che i dati supplementari descrivessero caratteristiche dell'acqua o di qualcosa che ci viveva in mezzo.
Ma forse quel pensiero era sbagliato.
Che avevano da raccontare gli yrr?
Acqua. E poi?
Samantha rifletté. Improvvisamente le venne in mente un esempio. Due affermazioni. Primo: «Questo è un secchio». Secondo: «Questa è acqua». Insieme: un secchio d'acqua. Le molecole dell'acqua erano tutte uguali, quelle che descrivevano il secchio, no. Differivano: forse si trattava della forma del secchio, della sua struttura superficiale, di eventuali decorazioni. Dati supplementari che descrivevano il secchio attraverso la codificazione di migliaia di singole affermazioni diverse, quindi una questione completamente diversa. E allora, da una parte, l'affermazione che il secchio era pieno fino all'orlo. Facilissima da trovare, visto che ogni affermazione-secchio era legata all'affermazione aggiuntiva «acqua».
Dall'altra parte, HzO veniva accoppiata con dati che descrivevano qualcosa che non aveva nulla a che fare con l'acqua, cioè un secchio.
«Vìviamo nell'acqua.»
E dov'era, quell'acqua? Come si poteva dire qualcosa su un luogo che non aveva forma?
Si poteva descrivere qualcosa con cui esso confinava.
Le coste e i fondali marini.
Le superfici libere erano la terraferma; i loro bordi erano le coste.
A Samantha quasi cadde la sigaretta. Cominciò a dare comandi al computer. Di colpo, comprese come mai le superfici messe insieme non formavano un'immagine coerente. Perché non descrivevano uno spazio bidimensionale, bensì una figura tridimensionale. Bisognava piegarle in modo che si adattassero le une alle altre. Piegarle finché non formavano qualcosa di tridimensionale.
Una sfera.
La Terra.
Laboratorio
Nello stesso momento, Johanson era impegnato coi campioni presi dal tessuto degli yrr. Dopo dodici ore d'intensissimo lavoro in laboratorio, Sue aveva ceduto. Nelle notti precedenti aveva dormito assai poco. La spedizione stava cominciando a pagare il proprio tributo alla stanchezza. Benché procedessero a grandi passi, il senso d'insicurezza era calato su tutti, penetrando fin nelle ossa. Ognuno reagiva a proprio modo. Greywolf si era ritirato nel ponte a pozzo. Si occupava dei tre delfini rimasti, analizzava i dati ed evitava accuratamente ogni contatto. Gli altri mostravano un notevole nervosismo. Rubin compensava l'orrore con l'emicrania, e quello era il secondo motivo, oltre al meritatissimo riposo di Sue, per cui Johanson era solo nella penombra del grande laboratorio.
Aveva spento l'illuminazione principale. Le luci ai tavoli e i monitor costituivano le uniche fonti di luce. Dal simulatore che ronzava usciva un alone blu appena percepibile. La massa continuava a coprire il fondo. Si sarebbe potuto considerarla morta, ma ormai sapevano che non era così.
Finché era luminosa, era viva.
Sulla rampa risuonarono dei passi. Anawak infilò dentro la testa.
«Leon.» Johanson sollevò lo sguardo dalla sua documentazione. «Che piacere.»
Anawak sorrise. Entrò, prese una sedia e vi si accomodò cavalcioni, con le braccia appoggiate allo schienale. «Sono le tre del mattino», disse. «Che diavolo ci fa qui?»