«Coma fa a sapere che un essere unicellulare è morto?» chiese Peak.
«È semplice: il suo metabolismo s'interrompe. Inoltre uno yrr morto si riconosce perché non luccica più. Per gli yrr, luccicare è una necessità biochimica. Un esempio noto al riguardo è fornito dall'Aequoria, una medusa dei mari del Sud. Per essere luminosa, essa produce un feromone. Nel nostro caso, si tratta di un fenomeno simile: abbiamo l'emissione di una sostanza odorosa che determina la luminescenza, le potenti scariche luminose e i lampi, segni di reazioni particolarmente violente nei legami delle cellule. Quando gli yrr s'illuminano, comunicano e pensano. Quando muoiono, smettono di essere luminosi.» Sue si guardò intorno. «E adesso voglio spiegarvi cosa ci deve fare paura. Con pochissimi strumenti, gli yrr hanno reso possibile una complessa selezione. Se uno yrr è sano e dispone di una coppia di recettori intatti, allora il feromone ne guida la fusione. Se non ha il recettore speciale, il feromone sviluppa un effetto mortale. Una specie che funziona così vede la morte con altri 'occhi' rispetto all'uomo. Nella società degli yrr, la morte è una questione assolutamente necessaria. Agli yrr non verrebbe mai in mente di guarire una cellula difettosa. Dal loro punto di vista, sarebbe incomprensibile, addirittura idiota. Bisogna uccidere ciò che minaccia lo sviluppo. È solo una questione di logica. Di fronte alla minaccia per l'insieme, gli yrr reagiscono con la logica della morte. Non c'è nessuna pietà, nessuna compassione, nessuna eccezione. Allo stesso modo, la logica della morte non c'entra niente con la crudeltà. Simili idee sono totalmente estranee agli yrr. Ergo, non capiranno perché dovrebbero risparmiarci, dato che rappresentiamo per loro una minaccia concreta.»
«Perché la loro biochimica non permette nessuna etica… Per quanto essi siano intelligenti», concluse Judith Li.
«Va bene», disse Vanderbilt. «Che cosa possiamo cavare di concreto dal fatto che ora conosciamo il loro piccolo segreto dello Chanel No. 5? Potremmo fonderci con loro, se ho visto giusto. Fantastico. Io potrei fondermi con loro!»
Samantha Crowe lo squadrò con una lunga occhiata. «E crede che loro lo vogliano?»
«Ma vada a quel paese!»
«Sarebbe bene da parte vostra rinviare a più tardi il match di boxe», intervenne Anawak. «Karen e io abbiamo avuto un'idea su come gli unicellulari possono arrivare a pensare. Sigur, Mick e Sue si metteranno le mani nei capelli. Dal punto di vista biologico è un'assurdità, ma potrebbe dare una risposta a molte domande.»
«Abbiamo programmato le nostre cellule virtuali con un DNA artificiale che muta continuamente», riprese Karen. «In altri termini, un DNA che impara. Ci siamo ritrovati al punto di partenza, a un computer neurale. Vi ricorderete che abbiamo diviso quel cervello elettronico nelle sue più piccole componenti di memoria capaci di apprendere e ci siamo chiesti come potesse tornare a essere un tutt'uno pensante. Non funzionava finché le singole cellule non sono state in grado di apprendere autonomamente. Ma l'unica via concessa a una cellula per imparare consiste nel mutare il DNA, una cosa che non può accadere. Tuttavia noi abbiamo fornito le cellule virtuali di questa possibilità. E di un profumo, come vi ha appena descritto Sue.»
«Non solo abbiamo riavuto il nostro computer neurale perfettamente funzionante», proseguì Anawak. «Ma abbiamo anche avuto davanti agli occhi uno yrr vivente in un ambiente naturale. La nostra piccola creatura virtuale dispone infatti di qualche extra. Le cellule si muovono in uno spazio tridimensionale. Abbiamo provvisto questo spazio delle caratteristiche tipiche degli abissi marini, quindi pressione, correnti, attrito e così via. Prima, però, dovevamo comprendere come i membri dell'insieme si riconoscevano tra loro. L'odore è solo una mezza verità. L'altra metà consiste nel limitare le dimensioni dell'insieme. E qui entra in gioco quello che Sue e Sigur hanno scoperto, e cioè che gli amplicon degli yrr cambiano in piccole regioni ipervariabili. Vi ricorderete delle conseguenze di questa scoperta: le cellule devono aver cambiato il loro DNA dopo la nascita. Noi crediamo che accada proprio questo e che le regioni ipervariabili servano come codice che permette agli yrr di riconoscersi tra loro e, per esempio, di limitare l'insieme.»
«Gli yrr con lo stesso codice si riconoscono tra loro e gli insiemi più piccoli possono fondersi con quelli più grandi», concluse Judith Li.
«Proprio così», annuì Karen. «Allora abbiamo codificato le cellule. A questo punto, ogni cellula disponeva già di una sorta di conoscenza basilare del proprio ambiente vitale. Quindi aveva informazioni particolari non possedute da tutte le cellule. Come c'era da aspettarsi, le prime cellule che si sono fuse in un insieme sono state quelle con lo stesso codice. Poi abbiamo tentato una cosa diversa, provando a far fondere due collettivi con un codice diverso. Ha funzionato, ed è successo l'incredibile: non solo la fusione è avvenuta, ma le cellule si sono anche scambiate il loro codice individuale e si sono portate nella medesima condizione. Si sono programmate su un nuovo codice omogeneo, un livello immediatamente superiore di conoscenza condiviso da tutte. Alla fine, i due insiemi sono diventati uno solo. Noi abbiamo agganciato quest'ultimo a un terzo insieme e, ancora una volta, esso è diventato qualcosa di nuovo che prima non c'era.»
«Come passo successivo, abbiamo cercato di osservare la capacità di apprendere degli yrr», disse Anawak. «Abbiamo formato due insiemi con codici diversi. Il primo è stato provvisto di una specifica esperienza. Abbiamo simulato l'attacco di un nemico. In modo non particolarmente originale, abbiamo scelto uno squalo che si è mangiato un bel boccone dell'insieme, e poi abbiamo fatto in modo che, la volta successiva, l'insieme si scansasse. Quando lo squalo è arrivato, abbiamo ordinato all'insieme di abbandonare la sua forma sferica e di appiattirsi come una platessa. All'altro insieme non abbiamo insegnato questo trucco, ed esso è stato in parte mangiato. Poi abbiamo fatto fondere i due insiemi e rimandato lo squalo. L'insieme si è scansato. Tutta la massa aveva imparato. Infine abbiamo diviso l'insieme in tante piccole parti e improvvisamente tutte sapevano come evitare uno squalo.»
«Quindi imparano attraverso le regioni ipervariabili?» chiese Samantha.
«Sì e no», disse Karen, lanciando un'occhiata ai suoi appunti. «È possibile che lo facciano, ma, per un computer, il processo è troppo lungo. In ogni caso, la massa che ci ha attaccato nel ponte a pozzo è molto veloce nelle reazioni e probabilmente pensa altrettanto velocemente. Un gigantesco cervello variabile. No, non possiamo limitarci alle piccole regioni. Abbiamo programmato il DNA in maniera tale che fosse del tutto capace di apprendere e la loro velocità di pensiero è aumentata enormemente.»
«E il risultato?» chiese Judith Li.
«Si basa sui pochi tentativi condotti poco prima di questo incontro. Pochi, ma sufficienti per la seguente affermazione: un insieme yrr, non importa quanto grande, pensa con la velocità di un calcolatore simultaneo di ultimissima generazione. Il sapere individuale è diffuso a tutti, ciò che è sconosciuto viene esaminato. All'inizio, alcuni insiemi di nuova formazione non sono cresciuti, ma, con lo scambio, hanno imparato. Fino a un certo punto, lo sviluppo della capacità di apprendere procede in maniera lineare, ma, da lì in poi, il comportamento dell'insieme non è più prevedibile…»
«Un momento», la interruppe Shankar. «Vuol dire che il programma comincia a condurre una vita autonoma?»
«Abbiamo sottoposto agli yrr situazioni completamente sconosciute. Più complesso era il problema, più spesso si fondevano. Dopo breve tempo, hanno iniziato a sviluppare strategie i cui fondamenti non erano stati programmati. Sono diventati creativi e curiosi. E hanno imparato in maniera esponenziale. Abbiamo potuto fare soltanto pochi tentativi — e stiamo sempre parlando di un programma al computer — ma i nostri yrr hanno imparato ad assumere le forme desiderate, a imitare le forme di altri esseri viventi e a variarle, a formare estremità rispetto alle quali la sensibilità delle nostre dita è analoga a quella di un pezzo di legno, a esaminare oggetti a livello microscopico, a scambiare ognuna di queste esperienze con ognuna delle altre cellule e a risolvere problemi in cui gli uomini fallirebbero.»