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Quell'idea era rivoluzionaria, perché significava che il sapere era ereditario. Anawak ne aveva parlato con Sue Oliviera, Sigur Johanson e Mick Rubin, e gli scienziati erano rimasti sconcertati. Da una parte, l'idea era stata accettata con entusiasmo.

Dall'altra, c'era un inconveniente.

Sala di controllo

«Se il DNA muta, si arriva a un cambiamento delle informazioni genetiche», spiegò Rubin. «E una cosa del genere sarebbe problematica in tutti gli esseri viventi.»

Nel bel mezzo dell'analisi, si era allontanato dal laboratorio, dicendo che gli era tornata l'emicrania. Invece era seduto nella sala di controllo segreta con Judith Li, Peak e Vanderbilt. Stavano scorrendo i verbali delle intercettazioni. Naturalmente in quella sala sapevano tutti del programma di Karen e di Anawak, e anche della loro teoria. Tranne Rubin, però, nessuno riusciva a capirci qualcosa.

«Un organismo ha la necessità che il proprio DNA resti intatto», stava dicendo Rubin. «In caso contrario, si ammala, oppure si ammalano i suoi discendenti. Per esempio, l'esposizione alla radioattività provoca danni irreparabili nel DNA, col risultato che nascono individui mutanti o si sviluppa il cancro.»

«Ma come la mettiamo con l'evoluzione?» chiese Vanderbilt. «Se noi ci siamo sviluppati da scimmie in esseri umani, vuol dire che il DNA deve essere cambiato.»

«Giusto, ma l'evoluzione avviene in tempi molto lunghi. E sceglie sempre quelli che mostrano un adattamento ottimale alle circostanze. Non si parla mai degli insuccessi evolutivi, tuttavia la natura elimina parecchie mutazioni. Fra la trasformazione genetica radicale e l'eliminazione, però, c'è la riparazione. Pensate all'abbronzatura. La luce del sole trasforma le cellule degli strati superficiali della pelle e ciò porta a mutazioni del DNA. Diventiamo scuri… anzi, se non stiamo attenti, diventiamo rossi e ci scottiamo. In questo caso, il corpo elimina le cellule distrutte. Negli altri casi le ripara. Se non ci fossero queste riparazioni, non potremmo vivere. A ogni piccola mutazione ci scorticheremmo, le ferite non guarirebbero e non si potrebbe sconfiggere nessuna malattia.»

«Capisco», disse Judith Li. «Ma cosa accade con gli organismi unicellulari?»

«Se il loro DNA muta, devono ripararlo. Guardi, le cellule si riproducono per scissione. Se il loro DNA non venisse riparato, nessuna specie resterebbe stabile. Bisogna tenere presente che la natura ha sempre l'interesse a mantenere le mutazioni di qualunque cellula a un livello tollerabile. Però ora c'è l'inconveniente della teoria di Anawak. Un genoma viene sempre riparato globalmente, in tutta la sua lunghezza. Dovete immaginare gli enzimi addetti alla riparazione come poliziotti che pattugliano tutto il DNA, attenti a scovare eventuali errori. Non appena trovano un punto danneggiato, iniziano la riparazione. Così le informazioni, quale che sia la condizione originaria, si conservano. Gli enzimi riparatori sono, per così dire, i protettori del sapere del genoma. Durante i loro giri di controllo, si accorgono subito che qui c'è un gene nelle condizioni originali e lì ce n'è uno sbagliato. È come se un bambino volesse imparare in segreto una lingua. Non appena impara una parola, arrivano gli enzimi riparatori e riprogrammano il cervello alle condizioni originarie, quindi all'ignoranza. Una conoscenza non è concessa.»

«Quindi la teoria di Anawak non ha senso», constatò Judith Li. «Le mutazioni nel DNA dell'essere unicellulare non si dovrebbero conservare.»

«Da un certo punto di vista è così. Gli enzimi riparatori percepirebbero ogni nuova informazione come un danno, quindi riporterebbero il genoma alle condizioni originali. Al punto zero, per così dire.»

«Presumo che adesso arriverà l'altro punto di vista», borbottò Vanderbilt.

Rubin annuì, esitante. «In effetti c'è», disse.

«E sarebbe?»

«Non ne ho idea.»

«Un momento», esclamò Peak. Si sollevò sulla sedia, ma crollò subito. Aveva il piede fasciato e sembrava davvero malconcio. «Non ha appena detto…»

«Lo so! Ma la teoria è semplicemente fantastica», dichiarò Rubin con voce sempre più stridula. Ogni volta che parlava a lungo, si facevano sentire le conseguenze della stretta alla gola di Greywolf. «Spiegherebbe tutto. Intanto avremmo la consapevolezza che quella cosa nella cisterna è effettivamente il nostro nemico. Avremmo gli yrr sotto gli occhi. E io sono sicuro che sono loro! Stamattina siamo stati testimoni di avvenimenti eccezionali. Quella cosa ha esaminato un robot subacqueo, e il modo in cui l'ha fatto non aveva nulla a che vedere con un comportamento istintivo o con la curiosità animale. Era pura intelligenza cognitiva! La spiegazione di Anawak deve essere giusta. Il modello al computer fatto da Karen Weaver funziona.»

«E ne consegue…» sospirò Vanderbilt, asciugandosi la fronte sudata.

«Che la possibilità dipende dall'anomalia.» Rubin spalancò le braccia. «Anche gli enzimi riparatori commettono errori. Raramente, è vero, ma ogni diecimila riparazioni ne saltano una. Una coppia di basi che non è riportata nelle condizioni originali. È poco, ma basta perché qualcuno venga al mondo come emofiliaco, col cancro o con la faringe aperta. Noi ci vediamo dei difetti, ma è la prova che il principio di riparazione non ha valore assoluto.»

Judith Li si alzò e prese a misurare a passi lenti la sala. «Quindi lei è convinto che gli esseri unicellulari e gli yrr siano la stessa cosa? Abbiamo trovato i nostri nemici?»

«Ci sono due limitazioni», disse rapidamente Rubin. «Primo, dobbiamo risolvere il problema del DNA. Secondo, ci deve essere qualcosa di simile a una regina. Il collettivo può essere intelligente quanto vuole, ma quello che abbiamo nella cisterna è solo la parte esecutiva del tutto.»

«Una regina? Come dobbiamo immaginarla?»

«Identica e nel contempo diversa. Prenda le formiche. Anche la regina è una formica, ma particolare. Dipende tutto da lei. Gli yrr sono esseri che vivono in colonia, un insieme di microrganismi. Se Anawak ha ragione, incarnano una seconda via nell'evoluzione verso una vita intelligente, però qualcosa li deve guidare.»

«Quindi se troviamo la regina…» iniziò Peak.

«No.» Rubin scosse la testa. «Non facciamoci illusioni. Potrebbe essercene più di una. Potrebbero essere milioni. E, se sono furbe, non si faranno vedere nei nostri paraggi.» Fece una pausa. «Tuttavia, per essere regine, devono funzionare secondo gli stessi princìpi dei normali yrr. La fusione e la memoria genetica. Siamo sul punto d'identificare una sostanza odorosa che le cellule emettono come segnale per la fusione. Un feromone, sulle cui tracce sono Sue Oliviera e Sigur Johanson. Attraverso questo feromone, questo odore, è garantito che tra le cellule si fonde anche la regina. L'odore è la chiave della comunicazione tra gli yrr.» Rubin rise, soddisfatto di sé. «E potrebbe essere la chiave per la soluzione di tutti i nostri problemi.»

«Bene, Mick.» Vanderbilt gli fece un magnanimo cenno di assenso. «È tornato nelle nostre grazie. Anche se nel ponte a pozzo ha combinato un bel casino.»

«Non potevo farci niente», replicò Rubin, dispiaciuto.

«Lei è della CIA, Mick. Nel mio gruppo, una frase del genere non esiste. Ci siamo forse dimenticati di dirglielo quando l'abbiamo presa con noi?»

«No.»

Vanderbilt infilò goffamente il fazzoletto nei pantaloni. «Sono contento di sentirlo. Tra poco, Jude parlerà col presidente. Così potrà dirgli che bravo ragazzo è lei. Grazie per la sua visita. E ora torni nelle miniere di sale!»

Sala riunioni

Samantha Crowe e Murray Shankar sembravano molto meno sicuri rispetto al momento della decifrazione del primo segnale. La squadra era tesa e demoralizzata, non solo per i terribili avvenimenti del ponte a pozzo. Ormai diventava sempre più evidente che nessuno era in grado di comprendere gli schemi di comportamento degli yrr.

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