Tenebre nere come la pece.
Mosse nervosamente la mano artificiale sinistra sulla console. L'interruttore per la luce del Trackhound era appena sopra i tasti per attivare i programmi. Poco prima l'aveva…
Dov'era quel maledetto pulsante?
Eccolo!
Il proiettore si accese. Nella luce oscillante, vide che la fenditura si era aperta in una grotta spaziosa. Diresse il cono luminoso verso l'apertura e vide apparire la testa dello squalo. L'animale si agitava, ma non riusciva a entrare di più.
Che cos'è successo? pensò Bohrmann.
Poi capì.
Lo squalo era incastrato.
Sollevò il braccio e vibrò una serie di colpi sulla testa squadrata, mai poi si rese conto che non era una buona idea ferire lo squalo sino a farlo sanguinare e così lo spinse con tutto il peso del corpo. Ma sott'acqua non serviva a granché; allora Bohrmann si lanciò contro il muso che cercava di afferrarlo. Lo colpì col petto, con le spalle e le braccia, finché lo squalo non cominciò lentamente a ritirarsi. Il cono luminoso del Trackhound sussultava, illuminando la faringe rosa con le branchie pulsanti.
Come uscire di qui è un problema tuo, pensò Bohrmann. Ma io voglio che tu te ne vada! Questa è la mia grotta, quindi togliti dai coglioni!
«Togliti dai coglioni!»
«Dottor Bohrmann?»
Lo squalo continuava a ritirarsi. Poi sparì.
Bohrmann arretrò. Le braccia gli tremavano. Era così teso che non riusciva a rimanere fermo. D'un tratto, si sentì esausto e cadde sulle ginocchia.
«Dottor Bohrmann?»
«Non rompa, van Maarten.» Tossì. «Faccia qualcosa per tirarmi fuori di qui.»
«Mandiamo giù immediatamente i robot con gli uomini.»
«Perché i robot?»
«Portiamo giù tutto quello che può spaventare e far fuggire gli animali.»
«Quelli non sono animali, sono soltanto involucri di animali. Sanno che cos'è un robot. Sanno perfettamente che cosa facciamo qui.»
«Gli squali?»
Eridentemente Frost non aveva raccontato tutto a van Maarten.
«Sì, gli squali. Non sono più squali, esattamente come le balene non sono più balene. Qualcosa li controlla. Gli uomini devono essere preparati.» Tossì un'altra volta, più violentemente. «In questa maledetta grotta non vedo niente. Che succede là fuori?»
Van Maarten rimase un attimo in silenzio. Poi sussurrò: «Mio Dio…»
«Ehi! Parli con me.»
«Sono comparsi altri animali. A decine… A centinaia! Stanno distruggendo i proiettori dell'isola luminosa. Frantumano tutto.»
Ovvio, pensò Bohrmann. Sono qui proprio per questo motivo, per impedirci di aspirare i vermi. Si tratta solo di questo. «Allora se lo scordi.»
«Come?»
«Si scordi il salvataggio, van Maarten.»
Nel suo casco c'era un tale fruscio che van Maarten dovette ripetere la risposta. «Ma gli uomini sono pronti.»
«Dica loro che qui sotto li aspettano delle forme di vita intelligente. Questi squali sono intelligenti. La sostanza nelle loro teste è intelligente. Due sommozzatori e un po' di lamiera non bastano. Pensi a qualcos'altro. Io ho ossigeno per quasi due giorni.»
Van Maarten esitò. «Va bene. Valutiamo la faccenda. Forse nelle prossime ore gli animali si ritireranno. Crede di essere al sicuro nella grotta?»
«E che ne so? Con squali normali sarei al sicuro, ma l'ingegno dei nostri amici non conosce limiti.»
«La tireremo fuori prima che finisca l'ossigeno, Gerhard!»
«La prego con tutto il cuore di farlo.»
Nella grotta arrivò un po' più di luce. La corrente lungo lo zoccolo del vulcano portava con sé le particelle di sedimenti. Se quello che van Maarten aveva detto era vero, ben presto la luce sarebbe sparita completamente e lui si sarebbe trovato solo nel mare tenebroso. Finché non fosse arrivato qualcuno a salvarlo da un centinaio di pesci martello.
Dotati di un'intelligenza sconosciuta.
Nessuno squalo che avesse seguito il proprio istinto naturale sarebbe entrato nel campo elettrico. Nessun pesce martello avrebbe attaccato due sommozzatori nell'Exosuit, ma, in caso l'avesse fatto, avrebbe rinunciato subito. I pesci martello erano considerati potenzialmente pericolosi e di una curiosità snervante, ma in genere giravano al largo da tutto ciò che sembrava loro sospetto.
Normalmente non nuotavano neppure nelle fenditure delle rocce.
Bohrmann se ne stava accovacciato nella sua grotta, provvisto di ossigeno per altre venti ore e con un sistema antisqualo che non funzionava. Quando gli uomini di van Maarten fossero scesi, sperava di non assistere a un'altra carneficina.
Una carneficina nelle tenebre.
Spense il proiettore del Trackhound per risparmiare la batteria e fu immediatamente avvolto dall'oscurità. Una debole luce penetrava nella fenditura.
Una luce sempre più debole.
Independence, mar di Groenlandia
Johanson non trovava pace.
Era stato nel ponte a pozzo, dove, sotto la sorveglianza di Rubin, gli uomini del generale Li stavano provvedendo al trasferimento della massa gelatinosa nel simulatore. La cisterna era stata completamente svuotata e decontaminata. I granchi infettati dalla Pfiesteria erano stati messi nell'azoto liquido. Le misure di sicurezza erano strettissime. Non appena la massa era arrivata nella cisterna, Sigur Johanson e Sue Oliviera erano giunti lì per effettuare i test di fase. Discussero un po' e infine stabilirono la sequenza dei test, mentre Samantha Crowe e Murray Shankar s'impegnarono a decifrare il secondo segnale scratch.
«L'orrore è indescrivibile», aveva detto Judith Li nel corso di una riunione improvvisata. «Siamo tutti profondamente colpiti. Hanno cercato di demoralizzarci, di distruggerci. Ma noi non ci dobbiamo fermare. Di certo vi chiederete se questa nave è ancora sicura e io posso rispondervi: assolutamente sì! Finché non diamo al nemico la possibilità di entrare, a bordo dell'Independence non abbiamo nulla da temere. Tuttavia dobbiamo fare in fretta. E non possiamo permetterci d'interrompere i contatti. Soprattutto ora. Dobbiamo convincerli a fermare questi atti terroristici contro l'umanità!»
Johanson andò sul ponte di volo, dove il servizio di bordo era impegnato a sgombrare tavoli, sedie e tutto ciò che era rimasto dopo la brusca interruzione del party. Nel cielo c'era ancora il sole, il mare aveva il solito aspetto. Non c'erano luci blu, non c'erano lampi. Nessun sogno luminoso che si trasformava in un incubo.
Tentò di ricostruire l'andamento dei suoi pensieri, interrotto dall'arrivo di Judith Li e dai tentativi della donna d'interrogarlo sulla sua avventura notturna. Ormai aveva capito due cose. Judith Li sapeva che cos'era successo realmente. Però non era sicura di cosa effettivamente lui ricordasse e se stesse dicendo la verità. E quello la preoccupava.
Gli avevano mentito. Non era caduto.
Era stato sul punto di accettare quella versione. Poi Sue, mentre entravano nel laboratorio, gli aveva detto una cosa: la notte precedente, a lui era sembrato di aver visto Rubin entrare in una porta segreta nel ponte dell'hangar. Se lei non avesse fatto quel commento, Johanson non se ne sarebbe ricordato affatto e avrebbe accettato le spiegazioni sull'incidente date da Angeli e dagli altri. Invece la frase di Sue aveva messo in moto qualcosa e il cervello di Johanson stava iniziando a riprogrammarsi. C'erano immagini misteriose che andavano e venivano. Cercò di riflettere, fissando il mare. Poi, d'un tratto, rivide tutto: stava seduto con Sue sulla cassa, a bere del vino e… Rubin era entrato nella porta dell'hangar! Quella porta era lontana, ma un'altra immagine gli suggeriva che lui era vicinissimo. Per Johanson ciò costituiva una prova sufficiente a stabilire l'esistenza di quel passaggio segreto.
Ma cos'era successo in seguito?
Erano andati in laboratorio. Poi lui era tornato sul ponte dell'hangar. Perché? Aveva a che fare con quella porta?