Bohrmann cominciò a sentirsi più tranquillo. Forse si era comportato da idiota. Gli animali non erano in grado di danneggiare l'Exosuit. Tuttavia voleva andarsene. «Quanto tempo ci serve per risalire?» chiese.
«Col Trackhound, bastano pochi minuti. Non più di quando siamo scesi. Nuotiamo fin sopra l'isola luminosa. Là attiviamo il programma e ci lasciamo tirare su.»
«Va bene.»
«Non accenderlo prima, hai capito? Altrimenti ti sfracelli contro le luci.»
«Okay.»
«Stai bene?»
«Sì, maledizione! Sto benissimo. Quanto dura la protezione?»
«L'accumulatore del POD ha una carica di quattro ore.» Frost salì con colpi di pinna regolari, tenendo la console del Trackhound nella mano artificiale destra. Bohrmann lo seguì.
«Cari miei», esclamò Frost. «Purtroppo vi dobbiamo lasciare.»
Gli squali li seguirono. Se cercavano di avvicinarsi, cominciavano a tremare e le loro bocche si deformavano. Frost rideva e continuava a nuotare verso l'isola luminosa. La sua figura appariva piccola e bluastra davanti alla gigantesca superficie luminosa che rendeva ancora più netti i contorni. Bianco e blu, i colori degli abissi.
Bohrmann pensò alla nuvola blu che aveva visto in lontananza.
Ovvio!
Se ne ricordò di colpo. A causa dello spavento, aveva completamente dimenticato che si era formata poco prima dell'arrivo degli squali. Lo stesso fenomeno era stato responsabile dei cambiamenti nel comportamento delle balene e di tutta la serie di anomalie e catastrofi. Se era vero, allora non avevano a che fare con squali normali.
Perché quegli animali erano lì? Gli squali avevano un udito finissimo. Forse li aveva attirati l'esplosione. Ma perché li attaccavano? Né lui né Frost emanavano odori. Lo schema di caccia di quelle bestie non era così. Inoltre gli attacchi degli squali agli uomini in acque profonde erano rarissimi.
Si avvicinarono al bordo superiore dell'isola.
«Stan, con quei due c'è qualcosa che non va.»
«Non possono farti niente.»
«Sì, però…»
Uno dei due squali girò la testa ampia e piatta e nuotò di fianco a loro.
«Tuttavia non hai torto», affermò Frost. «Quello che mi colpisce è la profondità. I grandi pesci martello non sono mai stati osservati oltre gli ottanta metri. Mi chiedo se questi…»
Lo squalo si girò. Per un momento rimase immobile, con la testa leggermente sollevata e la schiena inarcata, la classica posizione minacciosa. Poi mosse con violenza la coda e sfrecciò verso Frost. Il vulcanologo fu così sorpreso che non abbozzò neppure un tentativo di difesa. L'animale s'impennò per un istante, poi colpì Frost con la parte più ampia del corpo.
Frost girò su se stesso come una trottola, con le braccia e le gambe divaricate.
«Ehi!» La console gli sfuggi di mano. «Che diavolo…»
Come dal nulla, sopra le sbarre apparve un terzo corpo. Avanzava sulla fila superiore dei proiettori e procedeva veloce, con un'eleganza sinistra. Era scuro, con un'alta pinna dorsale e la testa a forma di martello.
«Stan!» gridò Bohrmann.
L'ultimo arrivato era gigantesco, molto più grande degli altri due. Il suo martello si rovesciò in alto quando spalancò le fauci, mostrando le file di denti. Afferrò l'avambraccio destro di Frost e cominciò a scuoterlo.
«Merda», strillò Frost. «Che razza di animale è questo? Figlio dell'inferno! Lasciami, tu…»
Il pesce martello scuoteva selvaggiamente la grande testa spigolosa e intanto compensava il movimento con la pinna caudale. Doveva essere lungo sei o sette metri. Frost veniva sbattuto di qua e di là, come una foglia. Il suo braccio corazzato era scomparso fino alla spalla nella bocca dello squalo.
«Piantala», gridò.
«Per l'amor del cielo, Stan», urlò van Maarten. «Colpiscilo sulle branchie. Cerca di colpirgli gli occhi.»
Naturalmente, pensò Bohrmann. Da sopra vedono. Vedono tutto!
Talvolta si era chiesto come sarebbe stato incontrare un simile gigante, essere aggredito o vedere qualcun altro attaccato. L'immaginazione non era niente in confronto alla realtà. Bohrmann non era né particolarmente coraggioso né particolarmente vigliacco. Lui definiva «coraggioso» colui che non sfuggiva i rischi, ma neppure se li andava a cercare. Benché, in passato, fosse stato definito un amante dell'avventura, adesso quella definizione sembrava del tutto priva di fondamento.
Bohrmann non fuggì. Si limitò a nuotare.
Gli si avvicinò uno degli squali più piccoli. I suoi occhi luccicavano, le mascelle si deformavano come percorse da un crampo. Evidentemente si stava forzando a superare il campo elettrico. Con un ultimo scatto, urtò Bohrmann.
Era come essere colpiti da un auto a tutta velocità.
Bohrmann fu sbattuto di lato e galleggiò verso l'isola luminosa. Il suo unico pensiero era non lasciare la console, qualunque cosa succedesse. Il Trackhound era il suo biglietto di ritorno. Senza la programmazione della rotta avrebbe vagato nell'oscurità fino all'esaurimento delle riserve di ossigeno.
Sempre ammesso che rimanesse in vita fino ad allora.
Un'improvvisa pressione lo spinse verso il fondo. La coda dello squalo più grande frustava l'acqua appena sopra di lui. Bohrmann cercò di riprendere il controllo dei movimenti e vide i due squali più piccoli avventarglisi contro. Aprivano e chiudevano le fauci. Erano così vicini all'isola luminosa che, nel blu dell'oceano, si vedeva il loro colore naturale. Sopra il ventre bianchiccio c'era un dorso color bronzo. La carne della bocca e della gola splendeva in una miscela di rosa e arancione, come carne fresca di salmone appena tagliata, ornata dai tipici denti triangolari nella parte superiore nella mascella e dai canini appuntiti sulla mandibola. Cinque file dure come l'acciaio, l'una dietro l'altra, pronte a sminuzzare qualunque cosa riuscissero a ghermire.
«Gerhard!» gridò Frost.
Bohrmann guardò la luce delle alogene e vide Frost che, con la mano libera, colpiva la testa del grande squalo. Poi, improvvisamente, con un solo movimento del capo, lo squalo strappò il braccio corazzato dell'Exosuit all'altezza della spalla e lo scaraventò via. Dall'apertura uscirono grandi bolle di ossigeno. Le mascelle si serrarono sul braccio di Frost, privo di protezione, e lo morsero all'articolazione della spalla.
Una nuvola rossa si allargò nell'oscurità, mischiandosi con le bolle. Ma quell'incredibile quantità di sangue fu subito dispersa dai movimenti a frusta dello squalo. Frost urlava, ma le sue non erano più parole, bensì suoni inarticolati e striduli. Poi l'acqua marina entrò nella tuta e il vulcanologo cominciò a gorgogliare. Le grida cessarono. Gli squali più piccoli persero momentaneamente interesse per Bohrmann. L'istinto della fame era più forte dell'influenza esterna che li guidava. Si scagliarono nel vortice schiumoso, morsero il corpo senza vita del vulcanologo e gli vorticarono intorno, cercando di sfondare la corazza.
In mezzo alle interferenze si sentivano anche le grida di van Maarten.
Benché Bohrmann fosse sconvolto, una parte della sua mente lavorava senza posa e gli diceva che non si doveva fidare dell'istinto degli animali. La loro forza e il loro impulso a sbranare erano manipolati. Non si trattava semplicemente di nutrirsi. La sostanza nella loro testa era interessata a uccidere gli uomini sott'acqua.
Doveva tornare alla parete rocciosa.
La sua mano artificiale sinistra colpì la zona dei tasti. Se avesse schiacciato il pulsante sbagliato, si sarebbe attivato il programma per tornare all'Heerema. E allora sarebbe stato perduto, perché il POD non avrebbe più tenuto lontani gli squali. Ma lui schiacciò il tasto giusto. L'elica ronzò. Mosse freneticamente il joystick in modo che il «cane» lo trascinasse lontano dall'isola, verso la parete rocciosa. Sentì l'accelerazione, ma, a differenza di quanto era successo durante la discesa, quando il piccolo robot gli era parso veloce e maneggevole, ora gli sembrava insopportabilmente lento.