A Bohrmann non piaceva l'idea di abbandonare la relativa protezione della zona illuminata per avventurarsi nell'imprevedibilità del buio. Con sollievo, si accorse che Frost non riteneva necessaria una grande distanza di sicurezza. Scorse indistintamente una fessura nella parete nel punto in cui il blu si perdeva nel nero. Forse c'era una grotta. Immaginò la lava che ne era uscita un tempo, rossa, incandescente, una poltiglia compatta che lentamente si raffreddava e si solidificava in forme bizzarre. All'interno del suo equipaggiamento cominciava a sentire freddo. Erano i brividi che lo percorrevano all'idea di trascorrere la vita lì sotto.
Sollevò lo sguardo verso l'isola luminosa. Intorno ai proiettori bianchi, fissati alle sbarre, non si vedeva altro che un alone blu.
«Bene», disse Frost. «Facciamola finita.»
Accese il detonatore.
Dal cuneo esplose una grande ondata di bolle d'aria, mischiate con frammenti e polvere. Rimbombò nel casco. Un anello scuro si allargò, seguito da altre bolle d'aria che trasportavano macerie in tutte le direzioni.
Bohrmann trattenne il respiro.
Lentamente, molto lentamente, la parte superiore del cuneo cominciò a piegarsi.
«Yeah!» urlò Frost. «Il Signore mi sia testimone!»
Il cuneo si rovesciava sempre più velocemente, trascinato dal suo stesso peso. Si ruppe a metà e cadde vicino al tubo, sollevando una nuvola ancora più grande. Nonostante il pesante equipaggiamento, Frost riusciva a saltare e a gesticolare. Sembrava Armstrong che saltellava sulla luna.
«Alleluia! Ehi, van Maarten, Mijnheer! Abbiamo rimpicciolito quella cosa di merda. Forza, tenti la fortuna.»
Nel profondo del cuore, Bohrmann sperava che la scossa non provocasse altri smottamenti. In mezzo al fango che vorticava sentì i motori accendersi. Poi, improvvisamente, l'aspiratore tornò in vita. S'inarcò, poi sollevò lentamente la bocca dalla nuvola, come la testa di un verme gigantesco. L'apertura si mosse prima nella loro direzione, poi in quella opposta, come se stesse esaminando l'ambiente circostante. Se Bohrmann non avesse saputo che cos'aveva di fronte, si sarebbe dato per spacciato.
«Ce l'ha fatta!» gridò Frost.
«Siete i migliori», affermò van Maarten.
«Niente di nuovo», lo rassicurò Frost. «Spegnetelo, prima che si divori Gerhard e me. Diamo un'occhiata al punto in cui era bloccato. Poi risaliamo.»
Il tubo salì ancora un pezzo, lasciò sprofondare la sua bocca rotonda e poi rimase a penzolare in mezzo alla luce. Frost cominciò a nuotare e Bohrmann lo seguì. Faceva scorrere lo sguardo sull'isola e poi lo spostava. Qualcosa lo innervosiva, benché non sapesse esattamente cosa.
«Faccenda torbida…» mormorò Frost, davanti alla nuvola. «Guarda un po' a destra, Gerhard, in quella brodaglia ci vedi meglio di me.»
Bohrmann accese il proiettore del suo Trackhound, rifletté per qualche istante e infine lo spense.
Che c'era laggiù? I suoi sensi gli stavano forse giocando un brutto tiro?
Rivolse di nuovo lo sguardo all'isola luminosa e la fissò a lungo. Gli sembrava che i proiettori diffondessero una luce più forte rispetto a prima, ma era impossibile. Avevano lavorato sempre alla massima potenza.
Non erano i proiettori. Era l'alone blu. Si era ingrandito.
«Vedi là?» Bohrmann indicò l'isola.
Frost seguì il movimento con lo sguardo. «Non posso…» Si bloccò. «Che cos'è?»
«La luce», disse Bohrmann. «La luminescenza blu.»
«Per Ariel e Uriel», sussurrò Frost. «Hai ragione. Si allarga.»
Intorno all'isola si era formata una grande superficie blu scuro. Sott'acqua era difficile valutare le distanze — l'indice di rifrazione della luce faceva apparire tutto di un quarto più vicino e di un terzo più grande -, ma indubbiamente la fonte della luce blu si trovava un bel pezzo dietro l'isola luminosa. Le lampade alogene sulle sbarre accecavano Bohrmann, il quale però vide saettare dei lampi. Poi il blu perse d'intensità, divenne più debole e sparì.
«Non mi piace», disse Bohrmann. «Credo che dovremmo risalire.» Frost non rispose. Continuava a fissare l'isola. «Stan? Mi senti? Dovremmo…»
«Non così in fretta», mormorò Frost. «Abbiamo visite.» Indicò il bordo superiore dell'isola, oltre il quale sfrecciarono due ombre allungate. Avevano il ventre illuminato di blu. Un attimo dopo erano sparite.
«Che cos'era?»
«Tranquillo, ragazzo. Attiva il POD.»
Bohrmann schiacciò il sensore nel ventre dell'Exosuit.
«Non volevo metterti in ansia», disse Frost. «Ho pensato che, se ti avessi detto a cosa serve, saresti diventato nervoso e avresti tenuto d'occhio esclusivamente…»
Non andò avanti. Tra le sbarre schizzarono due corpi a forma di siluro. Bohrmann vide le teste dalla forma strana. Gli animali si stavano dirigendo verso di loro a velocità incredibile e con le fauci spalancate. Il suo cuore venne serrato da un pugno di ghiaccio. Barcollò all'indietro, portando le braccia davanti al casco per difendersi. Nessuna di quelle reazioni aveva senso, ma era l'istinto preistorico che trionfava sulla sua mente civilizzata. Quell'istinto gli ordinava di urlare, e Bohrmann ubbidì.
«Non possono farti niente», sbottò Frost.
Gli aggressori svoltarono proprio davanti a lui. Bohrmann boccheggiò, cercando di contenere il panico. Frost gli si avvicinò con energici colpi di pinna. «Abbiamo testato il POD», disse. «Funziona.»
«Insomma, ma cosa diavolo è il POD?»
«POD è l'acronimo di Protective Ocean Device. La migliore protezione contro gli squali. Il POD forma un campo elettrico che ti circonda come una barriera. Non possono avvicinarsi a più di cinque metri.»
Bohrmann ansimava, tentando di superare lo shock. Gli animali erano spariti dietro l'isola luminosa. «Erano a meno di cinque metri», disse.
«Solo la prima volta. Adesso hanno imparato la lezione. Tranquillo. Gli squali dispongono di organi estremamente sensibili all'elettricità. Il campo li sommerge di stimoli e disturba il loro sistema nervoso, provocando crampi dolorosi. Abbiamo attirato squali bianchi e squali tigre con delle esche e poi abbiamo attivato il POD: non sono stati in grado di attraversare il campo.»
«Dottor Bohrmann? Stanley?» La voce di van Maarten. «Tutto okay?»
«Tutto a posto», disse Frost.
«POD di qua e POD di là… Dovreste risalire, invece.»
Gli occhi di Bohrmann esaminarono nervosamente l'isola luminosa. Qusi tutte le cose che Frost gli aveva raccontato, le conosceva già. Nella parte anteriore della testa, gli squali avevano delle cavità, le cosiddette ampolle di Lorenzini, con cui percepivano anche i più deboli impulsi elettrici generati dai movimenti muscolari degli altri animali. Fino a quel momento, tuttavia, Bohrmann aveva ignorato l'esistenza del POD e la sua capacità di disturbare gli organi sensibili all'elettricità. «Erano pesci martello», disse.
«Sì, grandi pesci martello. Circa quattro metri ognuno, direi.»
«Merda.»
«Coi pesci martello il POD funziona ancora meglio», ridacchiò Frost. «Guarda il loro muso quadrato, lì ci sono più ampolle di Lorenzini che negli altri squali.»
«E ora?»
Vide un movimento. Dal buio oltre l'isola luminosa riapparvero i due squali. Bohrmann non si mosse. Osservò gli animali che venivano all'attacco. Decisi, senza la tipica oscillazione della testa con cui gli squali seguivano nell'acqua le tracce olfattive. Attaccarono, ma poi si fermarono di colpo, come se avessero urtato un muro. Deformarono la bocca e nuotarono, disorientati, nella direzione opposta. Poi tornarono indietro e cominciarono a girare nervosamente intorno ai sommozzatori, mantenendosi però a distanza.
In effetti funzionava.
La valutazione di Frost era giusta. Ciascuno dei due esemplari misurava almeno quattro metri. Il corpo era quello tipico degli squali. La testa invece aveva la forma tipica, cui essi dovevano il nome. I lati della testa erano allungati in ali piatte, sulle cui parti più esterne si trovavano gli occhi e le narici. La parte anteriore del martello era liscia e dritta come una mannaia.