Il «cane» tirava e tirava.
Bohrmann scrutava gli abissi alla ricerca della luce dell'isola, ma non si vedeva altro che il nero e il punto chiaro davanti a lui: era Frost, che stava scendendo velocemente. Ammesso che stesse davvero scendendo. Due luci immobili, la sua e quella di Frost, in un universo senza stelle. «Stanley?»
«Che c'è?»
La risposta immediata lo tranquillizzò. «Ben presto dovremmo vedere qualcosa, no?»
«Sei impaziente, amico mio. Guarda il tuo display. Siamo solo a duecento metri.»
«Oh, certo. Naturalmente.»
Bohrmann non osò chiedere a Frost se aveva fiducia nel programma dei Trackhound, quindi rimase in silenzio e cercò di controllare il crescente nervosismo. Cominciò a sperare nella presenza di qualche medusa, ma non apparve nulla. Il robot continuava a ronzare. Poi, improvvisamente, cambiò direzione.
Là c'era qualcosa. Bohrmann aguzzò la vista. In lontananza risplendeva un alone luminoso, appena intuibile, ma di una forma vagamente rettangolare.
Si sentì sollevato. Bravo «cane», pensò.
Come sembrava piccola l'isola luminosa.
La luce si avvicinò e divenne più chiara. A poco a poco, lui riconobbe i singoli proiettori allineati lungo le sbarre. Continuò ad avanzare verso l'isola e, d'un tratto, la vide sospesa sopra di lui, luminosa e gigantesca. Naturalmente era lui a galleggiare sopra l'isola, ma la discesa a testa in giù gli aveva fatto perdere l'orientamento. Quindi divenne visibile anche la terrazza. Poco dopo, Bohrmann scorse Frost, un'ombra trascinata dal siluro che teneva al guinzaglio e che si dirigeva verso quello che appariva come un campo da calcio pieno di riflettori. Davanti a loro, tutto era illuminato. La terrazza sospesa, il tubo serpentino dell'aspiratore, i detriti che ne bloccavano l'apertura…
Il brulichio dei vermi.
«Spegni il 'cane' prima di sbattere contro l'isola luminosa», disse Frost. «Gli ultimi metri li facciamo a nuoto.»
Bohrmann mosse le dita e cercò di premere i tasti con la mano artificiale. Stavolta fu meno disinvolto. Non riuscì al primo tentativo e volò oltre Frost che, nel frattempo, aveva rallentato.
«Ehi, Gerhard! Dove diavolo vuoi andare?»
Provò di nuovo. La mano artificiale scivolava, poi finalmente lui riuscì a fermare il «cane». Bohrmann sbatté le pinne e si mise in posizione orizzontale. In effetti era arrivato molto vicino all'isola luminosa, che si stendeva in tutte le direzioni, apparentemente infinita. Dopo qualche secondo, recuperò il senso dell'orientamento e l'isola fu sotto di lui.
Con movimenti regolari, nuotò verso il tubo incagliato e scese di fianco a esso. L'isola luminosa galleggiava una quindicina di metri sopra la sua testa. I vermi cominciarono a strisciargli sulle pinne. Fu costretto a farsi violenza per ignorarli. Non potevano fare nulla al materiale della tuta e, in fondo, erano solo disgustosi. Un vermiciattolo non sarebbe mai diventato pericoloso per un essere vivente delle sue dimensioni.
D'altra parte, che si sapeva di vermi che in realtà non dovevano neppure esistere?
Il Trackhound si era posato al suo fianco. Bohrmann lo parcheggiò su uno sperone di roccia e osservò il tubo. Le eliche del motore erano bloccate da frammenti di nera roccia vulcanica, alti come un uomo. Quello si poteva risolvere. A preoccuparlo era il grande cuneo — alto circa quattro metri — che spingeva il tubo contro la parete rocciosa. Bohrmann dubitava che in due sarebbero riusciti a smuoverlo, benché sott'acqua tutto fosse meno pesante e la pietra lavica fosse leggera e porosa.
Frost lo raggiunse. «Disgustoso», borbottò. «Figli di Lucifero ovunque.»
«Come?»
«Vermi che brulicano e strisciano! Sembra una piaga biblica! Va bene, nuotiamo più in basso. Propongo di togliere i blocchi più piccoli e vedere fin dove possiamo arrivare. Van Maarten?»
«Eccomi.» La voce di van Maarten risuonò, metallica, nel casco. Bohrmann si era completamente scordato che erano collegati anche con l'Heerema.
«Ora proviamo a mettere un po' d'ordine. Come prima cosa, libereremo i motori. Forse basterà per consentire all'aspiratore di liberarsi da solo.»
«Va bene. Tutto a posto, Bohrmann?»
«Benissimo.»
«State attenti.»
Frost indicò un masso roccioso quasi rotondo che bloccava l'articolazione di una delle eliche. «Cominciamo con quello.»
Si misero all'opera per spostare la pietra. Dopo averla spinta e tirata per un po', essa scivolò via, liberò il motore e spiaccicò sotto di sé qualche centinaio di vermi.
«Yeah», esclamò Frost soddisfatto.
Riuscirono a spostare nello stesso modo altri due blocchi. La pietra successiva era più grande, ma con un po' più d'impegno riuscirono a rovesciarla da una parte.
«Come si è forti, sott'acqua», si rallegrò Frost. «Abbiamo liberato tutti i motori tranne uno. Non sembrano danneggiati. Riesci a muovere l'articolazione? Non accendere l'elica, girala solo!»
Passarono alcuni secondi, poi si sentì un ronzio: una delle turbine che ruotava sullo snodo. Subito dopo si mossero anche le altre.
«Molto bene», gridò Frost. «Ora provate a mettere in funzione quelle cose.»
Per sicurezza si spostarono di qualche metro dalla proboscide, poi rimasero a guardare le eliche che si accendevano.
Il tubo sussultò. Non accadde nient'altro.
«Niente», disse van Maarten.
«Sì, lo vedo anch'io.» Frost era imbronciato. «Provate ancora. Girate quelle cose in un'altra direzione.»
Anche quel tentativo non funzionò. In compenso, le eliche avevano cominciato a far vorticare il fango. L'acqua divenne torbida.
«Stop!» Frost gesticolava con le sue braccia segmentate. «Fermatevi lassù! Non serve a niente, c'impedite solo di vedere.»
Le eliche si fermarono. La nuvola di fango si divise in strisce chiare. La fine del tubo si vedeva appena.
«Va bene.» Frost aprì un box piatto sul fianco dell'Exosuit e prese due oggetti delle dimensioni di una matita. «Il nostro problema è quel blocco gigantesco. So che non ti piacerà, Gerhard, ma dobbiamo far saltare quella maledetta cosa.»
Bohrmann spostò lo sguardo sui vermi che stavano progressivamente riprendendo possesso della parte già ripulita. «È rischioso», disse.
«Usiamo una piccola carica esplosiva. Propongo di piazzarla alla base, dove il cuneo si è conficcato nel fondo. Gli strappiamo via le gambe, insomma.»
Bohrmann fece un balzo, alzandosi di qualche metro verso il cuneo. Intorno a lui, l'acqua era torbida. Accese l'illuminazione del casco e si lasciò sprofondare nella nube di sedimenti. Con cautela, si mise in ginocchio e portò il suo casco il più vicino possibile al punto in cui il blocco si era conficcato nel suolo. Con la mano artificiale spazzò via i vermi. Alcuni tirarono fuori le loro fauci e cercarono di mordere l'arto artificiale. Bohrmann li scrollò via e studiò la struttura dei sedimenti, scorgendo sottili venature di un bianco sporco. Quando le colpì con la mano artificiale, il pietrisco si disintegrò e verso di lui si mossero delle piccole bolle. «No», disse. «Non è una buona idea.»
«Ne hai una migliore?»
«Sì. Prendiamo una carica più potente, cerchiamo delle fessure nel terzo superiore del blocco e le facciamo saltare. Con un po' di fortuna, la parte superiore si rovescerà e così potremo togliere la parte sottostante senza compromettere la stabilità del fondo.»
«Va bene.»
Frost lo raggiunse nella nube. Risalirono un poco. La visuale era migliore. Si misero a cercare in maniera sistematica nel cuneo i punti adatti. Infine Frost trovò una profonda tacca e c'infilò dentro qualcosa che sembrava un pezzo di plastilina grigia. Poi infilò nella massa un bastoncino sottile come una matita.
«Dovrebbe bastare», disse, soddisfatto. «Salterà proprio bene. Adesso dobbiamo allontanarci.»
Accesero i Trackhound e si lasciarono trascinare fino al margine della zona illuminata, dove la scarpata si perdeva nel buio totale. Il particolato sospeso si manteneva nei limiti, così le onde luminose erano appena riflesse dalle alghe e da altre sostanze in sospensione, tuttavia il passaggio tra luce e tenebre era improvviso. Sott'acqua, la luce scompariva seguendo la serie delle lunghezze d'onda: dopo un paio di metri il rosso, poi l'arancione, infine il giallo. Oltre i dieci metri s'intuivano solo il grigio e il blu, finché l'assorbimento e la dispersione non inghiottivano anche quei residui. Da lì in poi, il mondo cessava di esistere.