«Ma siamo diventati matti?» aveva esclamato Bohrmann, terrorizzato. «Cariche esplosive?»
«Okay, okay!» Frost aveva sollevato le mani. «Vedo che senza di te non si farà nulla. Vieni anche tu. Ma non metterti a frignare se la situazione diventerà tosta.»
Si trovavano all'interno del galleggiante di sinistra, diciotto metri al di sotto della superficie dell'acqua. I galleggianti erano stati riempiti, ma van Maarten ne aveva risparmiato un piccolo settore, collegato con una scala alla piattaforma. Da lì venivano calati anche i robot. Van Maarten aveva valutato la possibilità di fare delle immersioni e, sapendo che si sarebbero svolte ad alcune centinaia di metri di profondità, aveva ordinato delle tute speciali alla Nuytco Research di Vancouver, un'azienda nota per i suoi prodotti innovativi.
«Sembrano pesanti», disse Bohrmann.
«Novanta chili, prevalentemente titanio.» Frost prese un casco e gli diede qualche colpetto sulla parte anteriore vetrificata. «L'Exosuit è un affare pesante, ma sott'acqua non te ne accorgi. Puoi salire e scendere a piacere. La tuta è riempita di miscele di gas, che ti circondano completamente, quindi non si formano bollicine di azoto nel sangue. Questo permette di evitare le soste per la decompressione.»
«Ha le pinne.»
«Geniale, vero? Invece di affondare come un sasso, puoi nuotare come un uomo rana.» Frost indicò i numerosi anelli di snodo. «Questa struttura consente una completa libertà di movimento anche a quattrocento metri di profondità. Le mani sono protette da una semisfera. Non ci sono guanti — sarebbero troppo sensibili alla pressione — ma le due braccia terminano in un sistema di presa controllato dal computer. I sensori trasmettono all'interno una sorta di tatto artificiale. Sono talmente sensibili che con quelli potresti scrivere anche il tuo testamento.»
«Quanto tempo possiamo restare sott'acqua?»
«Quarantott'ore», rispose van Maarten. Quando vide l'espressione di sorpresa sul volto di Bohrmann, sorrise. «Non abbia paura, non vi servirà tanto tempo.» Indicò due robot a forma di siluro, ciascuno dei quali era lungo quasi un metro e mezzo, dotato di elica e con la punta ricoperta di vetro. Un cavo lungo diversi metri usciva dalla parte superiore e terminava in una console con maniglie, display e tasti. «Questi sono i vostri Trackhound. Cani da soccorso, AUV. Sono programmati per raggiungere l'isola luminosa. La precisione nell'obiettivo è di pochi centimetri, quindi non cercate di orientarvi e lasciatevi semplicemente trainare. Queste cose viaggiano a quattro nodi. Arriverete laggiù in tre minuti.»
«Che margine di sicurezza c'è nel programma?» domandò Bohrmann, scettico.
«Altissimo. I Trackhound hanno diversi sensori per registrare la profondità e la posizione. Non potete sbagliare. Se qualcosa si dovesse mettere di traverso, il Trackhound lo eviterebbe. Sulla console di servizio, all'estremità del cavo, potete attivare il programma. Avanti, indietro, è semplicissimo. Il tasto con lo 0 attiva l'elica senza mettere in funzione il programma. In questo caso, potrete guidare il Trackhound con un joystick, e il cagnolino corre dove volete voi. Altre domande?»
Bohrmann scosse la testa.
«Allora andiamo.»
Van Maarten li aiutò a infilare le tute. Nelle Exosuit si entrava attraverso un'apertura sulla schiena, su cui erano montate le due bombole. A Bohrmann sembrava di essere un cavaliere pronto a fare una passeggiata sulla luna. Non appena la tuta fu chiusa, per un attimo rimase escluso da tutti i rumori, poi ricominciò a sentire qualcosa. Attraverso la superficie incurvata del vetro, scorse Frost e sentì la sua voce tonante all'interno del proprio casco. Poi arrivarono alle sue orecchie anche i rumori esterni.
«Contatto radio», spiegò Frost. «È meglio che gesticolare. Te la cavi con la presa?»
Bohrmann mosse le dita nella sfera. La mano artificiale seguiva ogni movimento. «Credo di sì.»
«Cerca di prendere la console che van Maarten ti allunga.»
Ci riuscì al primo tentativo. Bohrmann fece un sospiro. Sperava che fosse tutto facile come il controllo della mano artificiale.
«Ancora una cosa. All'altezza della vita vedi un riquadro, un interruttore piatto. È un POD.»
«Un cosa?»
«Nulla su cui ti debba rompere la testa o che ti debba innervosire. Una misura di sicurezza. Difficilmente saremo costretti a usarla, ma, se dovesse succedere, ti dirò a che serve. Per attivarlo, devi solo colpirlo con forza. Okay?»
«Che cos'è un POD?»
«Qualcosa che rende l'immersione più tranquilla. Prima o poi ti spiegherò.»
«Vorrei sapere…»
«Più tardi. Sei pronto?»
«Sì.»
Van Maarten aprì il tunnel della paratia. Un'acqua illuminata di azzurro lambì i loro piedi. «Dovete solo lasciarvi cadere», disse. «Vi manderò subito i Trackhound. Aspettate di essere fuori dalla chiusa, poi attivateli l'uno dopo l'altro. Prima Frost.»
Bohrmann fece scivolare le pinne sul bordo. Ogni minimo movimento con indosso la tuta era una vera sfacchinata. Fece un profondo respiro e si lasciò cadere in avanti. L'acqua lo colpì. Fece una capriola completa, vide le luci della chiusa scivolare sopra di lui e poi ritornò in posizione verticale. Sprofondò lungo il tunnel verso il mare aperto, finché non si trovò in mezzo a un banco di pesci. Corpi splendenti scorrevano a migliaia in tutte le direzioni, formando una spirale vivente. Poi si ammassarono. Il banco cambiò diverse volte la propria forma, infine si distese e fuggì via. Bohrmann scorse di fianco a sé il Trackhound e continuò ad affondare. Sopra di lui, la chiusa splendeva nello scafo scuro del galleggiante. Sbatté le pinne e si rese conto che la sua posizione si stabilizzava. Ormai non sentiva più il peso della tuta. Anzi era perfettamente a proprio agio. Un sommergibile portatile.
Frost lo seguì, avvolto in un bozzolo di bolle. Giunse all'altezza di Bohrmann e lo guardò attraverso il vetro del casco. In quel momento, Bohrmann si rese conto che l'americano portava il berretto da baseball anche nell'Exosuit.
«Come ti senti?» chiese Frost.
«Come R2-D2, fratellone.»
Frost sorrise. L'elica del suo Trackhound si mise a girare. Immediatamente, il robot abbassò il muso e trascinò il vulcanologo verso gli abissi. Bohrmann mise in funzione il programma. Ci fu una spinta e lui precipitò a testa in giù. Di colpo, tutto divenne buio. Van Maarten aveva ragione. Si andava davvero veloci. Già dopo pochissimo tempo intorno a loro regnavano le tenebre più fitte. Non si vedeva altro che la luce diffusa irraggiata dalle macchine.
Con sua grande sorpresa, l'oscurità gli provocò un senso di malessere. Era stato seduto migliaia di volte davanti a un monitor a sorvegliare le immersioni dei robot che si calavano nelle profondità abissali. Con l'Alvin, era stato a quattromila metri. Tuttavia stare in quella tuta ed essere trascinato verso l'ignoto da un «cane» era una cosa completamente diversa.
Sperava che il Trackhound fosse stato programmato correttamente, altrimenti sarebbe finito chissà dove.
Il proiettore illuminava una pioggia di plancton e, nel casco di Bohrmann, risuonava il suo ronzio elettronico. Più avanti, notò un essere filiforme che, con movimenti indolenti e pulsanti, galleggiava nella notte. Era una medusa degli abissi di una bellezza incredibile, che emetteva segnali luminosi circolari, come una navicella spaziale. Bohrmann sperava che non fosse il segnale di pericolo dovuto a qualche mostro che la inseguiva. Poi la medusa sparì. Altre meduse s'illuminarono a grande distanza, e improvvisamente si allargò davanti a lui una nuvola bianca e luccicante. Sobbalzò. Ma la nuvola era bianca, non blu, e la bioluminescenza era debole, poi sparì. Bohrmann capì che si trattava di un Mastigoteuthis, un calamaro che in genere si trovava solo intorno ai mille metri di profondità. Era ovvio che scagliasse una pittura bianca contro gli intrusi, perché una pittura nera nell'oscurità non sarebbe stata di nessun aiuto.