«È una possibilità unica», disse. «Non capite? Dobbiamo decontaminare il simulatore di profondità marine, portare fuori i granchi, mettere dentro acqua pulita e infilarci la maggior quantità possibile di questa cosa. È molto meglio dei granchi. Così possiamo…»
Con un balzo, Greywolf gli fu di fronte, gli mise le mani alla gola e cominciò a stringere. Il biologo spalancò gli occhi e la bocca, facendo uscire la lingua.
«Jack!» Anawak cercò di trattenerlo. «Smettila!»
Peak si rialzò, a fatica. Il piede sinistro non era rotto, ma gli faceva un male d'inferno. Riuscì ad avanzare solo di un passo. Ma doveva fare qualcosa per quel bastardo, che gli piacesse o no. «Jack, non serve a niente», gridò. «Lo lasci.»
Greywolf sollevò Rubin, il cui volto cominciava a diventare bluastro.
«Può bastare, O'Bannon!» Judith Li uscì dal tunnel, accompagnata da alcuni soldati.
«Lo ammazzo», disse Greywolf. Sembrava tranquillissimo.
Judith Li si avvicinò a Greywolf e gii strinse il polso destro. «No, O'Bannon, non lo farà. Non m'interessa quale conto in sospeso abbia con Rubin. Il suo lavoro è importante.»
«Ora non più.»
«O'Bannon! Non mi metta nella sgradevole situazione di doverle fare del male.»
Greywolf la fulminò con lo sguardo, ma poi comprese che il generale Li stava dicendo sul serio, così posò lentamente Rubin a terra e gli tolse le mani dalla gola. Il biologo cadde sulle ginocchia, rantolando. Annaspava e sputava.
«Licia è morta a causa sua», mormorò Greywolf in tono gelido.
Judit Li annuì. Improvvisamente l'espressione del suo volto cambiò. «Jack», disse, quasi dolcemente. «Mi dispiace. Le prometto che la sua morte non sarà inutile.»
«Morire è sempre inutile», rispose Greywolf, impassibile. Poi si voltò. «Dove sono i miei delfini?»
Judith Li avanzava lungo il molo coi suoi uomini. Peak era un idiota. Perché non aveva armato i soldati con colpi esplosivi? Non si poteva forse prevedere una cosa del genere? Sciocchezze! Era esattamente quello che aveva previsto. Una montagna di problemi. Non sapeva in che modo si sarebbero presentati, ma sapeva che ci sarebbero stati. Lo sapeva già prima che gli scienziati arrivassero allo Château, e aveva adottato le opportune contromisure.
Nel bacino era rimasta solo qualche pozzanghera. Lo spettacolo era impressionante. Direttamente sotto i loro piedi, a quattro metri di profondità, c'era il cadavere dell'orca. Dove prima si trovava la testa, ora si allargava una fanghiglia rossa. Un po' più in là, c'erano i corpi immobili di alcuni soldati. I delfini erano soltanto tre. Probabilmente gli altri, spinti dal panico, avevano lasciato la nave quando le paratie erano ancora aperte.
«Che schifo», disse Judith Li.
La cosa senza forma nel mezzo del bacino si muoveva appena. Aveva assunto un colore bianchiccio. Sui bordi, dove la poca acqua rimasta lambiva la massa, si formavano corti tentacoli, che strisciavano sul fondo come serpi. Quell'essere stava morendo. La sua capacità di cambiare forma e di buttar fuori tentacoli era stata impressionante, ma ora le sue condizioni erano disperate. La parte superiore della massa gelatinosa mostrava i primi segni di decomposizione. Da essa gocciolava un liquido chiaro, limpido come l'acqua.
Judith Li ricordò che quel colosso incagliato non era un unico essere, bensì un conglomerato di miliardi di organismi unicellulari che stavano perdendo la loro coesione. Rubin aveva ragione. Dovevano portarne al sicuro la maggiore quantità possibile. E dovevano agire in fretta, prima che fosse troppo tardi.
Senza dire una parola, Anawak si mise al suo fianco. Judith Li continuava a esaminare il bacino. Non fece caso al corpo penzolante di Roscovitz o, meglio, a ciò che ne restava. Con la coda dell'occhio, percepì un movimento sul fondo della vasca, andò al fondo del molo e scese lungo una scaletta. Anawak la seguì. Qualcosa aveva attirato la loro attenzione, qualcosa che si sottraeva al loro sguardo. Passarono a rispettosa distanza dal torso che aveva iniziato a diffondere uno sgradevole odore e sentirono gridare dalla parte opposta. Poi corsero intorno alla massa e quasi inciamparono in Kate Ann Browning.
La donna aveva gli occhi sbarrati ed era semisommersa dalla massa che si stava sciogliendo.
«Mi aiuti», disse Anawak a Judith Li.
Tirarono fuori la donna. La sostanza si staccava a fatica dalle sue gambe. A Judith Li quel corpo sembrava insolitamente pesante. Il viso splendeva, come se fosse laccato. Lei si chinò per osservare meglio.
Il busto di Kate Ann si sollevò.
«Merda!» Judith Li balzò indietro, mentre il volto della donna si deformava, come se lei fosse stata colta da un attacco epilettico. Kate Ann gettò in alto le braccia, aprì la bocca e poi la richiuse. Le sue dita si torcevano. Sbatté le gambe, piegò la schiena e scosse violentemente la testa.
Impossibile! Assolutamente impossibile!
Judith Li era una donna dura, però in quel momento avvertiva un terrore indicibile. Rimase immobile a fissare il cadavere vivente, mentre Anawak s'inginocchiava vicino alla donna con evidente disgusto.
«Jude», mormorò quindi lui. «Deve vedere.»
Combattendo contro il ribrezzo, Judith Li si avvicinò.
«Qui», disse Anawak.
Lei guardò il punto indicato. Lo strato luccicante che ricopriva il viso di Kate Ann cominciava a gocciolare…
Judith comprese. I fili appiccicosi che si stavano sciogliendo si stendevano sulle spalle e sulla gola della donna, sparivano nelle orecchie… «È entrato in lei», sussurrò.
«Quella sostanza sta cercando di prenderne il controllo», confermò Anawak. Aveva il volto grigio, uno straordinario cambiamento di colore per un inuit. «È verosimile pensare che stia strisciando nella sua testa per studiarla. Ma questa donna non è un cetaceo. Credo che quel po' di elettricità residua nel cervello stia reagendo al tentativo di presa di possesso.» Fece una pausa. «Potrebbe finire da un momento all'altro.»
Judith Li rimase in silenzio.
«Controlla tutte le funzioni del cervello», riprese Anawak. «Ma non riesce a controllare un essere umano.» Si alzò. «Kate Ann Browning è morta, generale. Quello che stiamo vedendo è la fase finale di un esperimento.»
Heerema, al largo di La Palma, Canarie
Bohrmann guardò con aria scettica le mute nella piccola stazione d'immersione: involucri argentei con caschi di vetro, giunture segmentate e pinze. Erano appese in un grande container d'acciaio aperto e sembravano bambole senza vita che fissavano il nulla.
«Non pensavo che dovessimo andare sulla luna», disse.
«Gerhard!» Frost rise. «A quattrocento metri di profondità è come essere sulla luna. Hai voluto venire a tutti i costi, quindi non lamentarti.»
In effetti, Frost avrebbe voluto portare con sé van Maarten, ma Bohrmann aveva fatto notare che l'olandese conosceva meglio di tutti i sistemi dell'Heerema, quindi era più utile in superficie. Non l'aveva detto, però temeva che là sotto ci sarebbero state delle difficoltà.
«Inoltre non mi va di stare a guardare mentre lavorate sott'acqua», aveva aggiunto. «Sarete anche degli eccellenti subacquei, ma io conosco gli idrati.»
«Proprio per questo devi restare qui», aveva ribattuto Frost. «Tu sei il nostro esperto di idrati. Se ti dovesse succedere qualcosa, non ne avremmo altri.»
«E invece sì. Abbiamo Erwin. Ne sa quanto me. Addirittura di più.»
Nel frattempo, Erwin Suess era arrivato da Kiel.
«Un'immersione non è una passeggiata», aveva detto van Maarten. «Ha già fatto delle immersioni?»
«Diverse volte.»
«È mai stato in profondità?»
Bohrmann aveva esitato. «Fino a cinquanta metri. Un'immersione convenzionale con le bombole. Ma sono in condizioni eccellenti, e non mi ritengo uno stupido», aveva concluso, in tono orgoglioso.
Dopo averci riflettuto, Frost aveva detto: «Due uomini robusti basteranno. Porteremo delle piccole cariche esplosive e…»