Doveva riprendere il controllo.
Sarebbe andata lei stessa.
Senza dire una parola, corse nel vicino LFOC. In caso di guerra, serviva come centrale di comando per le operazioni anfibie. Da lì, si potevano riempire o svuotare le cisterne di zavorra e, in caso si fosse perso il controllo del ponte a pozzo, era possibile aprire il portello di poppa. Ma dal LFOC non si potevano controllare le paratie sul pavimento: un altro stupido errore nell'allestimento frettoloso dell'Independence.
Si rivolse al personale, terrorizzato, ordinando: «Svuotare le otto cisterne di zavorra. Prosciugare la poppa». Poi rifletté. La paratia sul fondo del ponte a pozzo era aperta o chiusa? L'acqua poteva scorrere via? A giudicare dall'inferno che si vedeva sui monitor non c'erano dubbi. In genere era sufficiente sollevare la poppa della nave per far defluire all'esterno l'acqua del porto artificiale, attraverso le paratie aperte o attraverso il portellone di poppa sollevato. Se entrambi erano bloccati, c'era il sistema di pompaggio di emergenza. Ci voleva un po' più di tempo, ma il risultato era il medesimo.
Judith Li diede l'ordine di mettere in funzione le pompe e tornò di corsa nel CIC.
Ponte a pozzo
La paratia non reagiva e Peak non aveva tempo d'indagare perché. Ansimando, corse verso un armadio pieno di armi e prese un arpione con capsula esplosiva. I soldati sparavano all'impazzata nell'acqua. Attraverso la paratia aperta stava entrando qualcosa di enorme, una specie di polpo che si muoveva appena sotto la superficie. E poi c'era l'orca, che aveva strappato le gambe a Roscovitz.
Con la coda dell'occhio, vide Rubin che usciva dall'acqua. Ne fu sollevato e dispiaciuto nel contempo. Odiava quell'uomo, però non avrebbe dovuto perdere il controllo e spingerlo in acqua. La vita di Rubin doveva essere protetta a ogni costo. Bisognava portare a termine il compito.
La pinna era lontana dal molo. Più indietro, stavano nuotando Anawak e Greywolf, diretti dalla parte opposta. Alcuni tentacoli luminosi li seguivano, ma in verità quelle cose erano ovunque e si stendevano in tutte le direzioni. Evidentemente l'orca aveva preso di mira i due fuggitivi.
Doveva far fuori quell'animale prima che uccidesse di nuovo.
Improvvisamente, Peak riacquistò una calma assoluta. Adesso sapeva come agire. Anzitutto doveva liquidare quella massa di carne coi denti. Il resto poteva aspettare.
Sollevò l'arpione e prese la mira.
Anawak vide l'orca avvicinarsi. L'acqua del bacino artificiale schiumava e ribolliva, come se avesse vita propria. Era una massa blu, piena di tentacoli, che l'orca attraversava per avventarsi contro di loro.
Apparve la testa nera e l'animale respirò, con un colpo violento. Era a pochi metri di distanza. Non ce l'avrebbero fatta ad arrivare al molo, poco ma sicuro. Dovevano fare qualcosa. Durante l'attacco delle orche a Clayoquot Sound, Greywolf era arrivato al momento giusto con la sua barca, ma adesso lui era nella stessa situazione di Anawak. Dovevano ingannare l'orca.
Il cetaceo s'immerse.
«Lasciamola passare!» gridò Anawak a Greywolf.
Non molto preciso, pensò. Non sapeva se Greywolf avesse capito. Ma era troppo tardi per le spiegazioni.
Anawak prese fiato e s'immerse.
Peak imprecò.
La bestia era sparita e ora non si vedevano più nemmeno Greywolf e Anawak. Continuò a correre sul molo, alla ricerca del corpo massiccio, ma il bacino si era trasformato in un surreale inferno in movimento, in cui la luce, le forme indefinite e la schiuma spruzzata confondevano la visuale. Davanti a lui, c'era un soldato che sparava contro quelle cose serpentine in acqua, ma invano.
«La smetta!» Peak spinse l'uomo in direzione del quadro di controllo. «Dia l'allarme. Cerchi di aprire la paratia e di disincagliare il batiscafo.» Perlustrò con lo sguardo la superficie dell'acqua. «E poi chiuda quelle maledette paratie.»
Il soldato smise di sparare e corse via.
Peak si avvicinò al bordo del molo e socchiuse le palpebre, stringendo l'arpione.
Dov'era quell'orca?
Non si vedeva più.
In compenso si scorgevano masse tremolanti e attorcigliate, luci blu e bianche. Per Anawak, che si era lasciato sprofondare sott'acqua, il rumore intenso si era trasformato in un fruscio. Aveva vicino Greywolf. Dalla sua bocca uscivano bolle d'aria. Anawak l'aveva trascinato con sé e lo teneva ancora per il braccio. Non sapeva se la sua idea avrebbe funzionato, ma in superficie sarebbero stati comunque spacciati.
Qualcosa guizzò verso di loro: sembrava un gigantesco serpente senza testa, traslucido, di colore blu e attraversato da pulsanti striature luminose. Dal corpo centrale si dipartivano centinaia di tentacoli sottili come fruste, che schiaffeggiavano il fondo del bacino. Anawak comprese che quell'essere stava esaminando l'ambiente. Mentre osservava quella scena — atterrito e affascinato nel contempo -, dal corpo di serpente sbucarono altri tentacoli, che si diressero verso di lui.
In mezzo a essi sbucò la bocca spalancata dell'orca.
In Anawak avvenne una trasformazione. Una calma assoluta calò su di lui. Cominciò a porsi delle domande. Fino a che punto l'aggressore era ancora un cetaceo? Fin dove si spingeva il controllo esercitato dalla gelatina? Cosa dovevano aspettarsi da un essere vivente che non agiva più secondo la propria natura, ma spinto da una coscienza esterna che si era impossessata di lui? Doveva considerare l'orca come una parte della massa lucente, non più come un animale caratterizzato da riflessi naturali. Ma forse quello era un vantaggio. Forse potevano disorientarlo.
L'orca si avvicinava con la velocità di una freccia. Anawak si scansò, diede una spinta a Greywolf e lo vide allontanarsi nella direzione opposta. Evidentemente aveva compreso l'intento dell'amico. L'animale sfrecciò in mezzo a loro.
Avevano guadagnato qualche secondo.
Senza dedicare neppure uno sguardo all'orca, Anawak nuotò in mezzo al groviglio di tentacoli.
Carponi sul molo, Rubin boccheggiava. Un soldato gli passò vicino di corsa e si diresse al quadro di controllo. Gettò un'occhiata agli strumenti, si orientò e schiacciò il pulsante per aprire la paratia d'acciaio.
Il sistema era bloccato.
Come qualsiasi altro militare imbarcato, anche lui era stato istruito sul funzionamento di tutti i sistemi della nave. L'immagine della donna scaraventata contro il quadro di controllo si era impressa nella sua mente. Si chinò e osservò attentamente il pulsante.
Era bloccato. Piegato da una parte, forse per via del colpo datogli da Kate Ann. Non c'era molto altro da fare. Lo colpì col calcio del fucile.
Il pulsante scattò.
Anawak scivolava in un mondo sconosciuto.
Intorno a lui si stendevano cortine di sottili tentacoli. Non era sicuro che fosse stata una buona idea nuotare in mezzo a quel groviglio, ma la questione era ormai oziosa. Forse la gelatina avrebbe reagito in maniera aggressiva, forse no. Probabilmente quella sostanza era anche contaminata. In quel caso sarebbero morti tutti comunque.
Ma, almeno per il momento, l'orca avrebbe faticato a trovarlo.
I tentacoli luminescenti si piegarono nella sua direzione. Tutto si mosse. Poi l'intreccio divenne più fitto e lui sentì una di quelle cose a forma di frusta sfiorargli il viso.
Si spostò di lato.
Altre fruste serpeggiarono verso di lui, toccandolo. Nella testa sentiva un rombo pulsante. I polmoni gli facevano male. Doveva trovare subito il modo per riemergere, altrimenti poteva anche arrendersi a quella sostanza.
Afferrò la massa con entrambe le mani e la divise. Era come combattere con un fascio di serpenti. Quell'organismo somigliava a un muscolo molto flessibile e in costante metamorfosi. I tentacoli che un attimo prima l'avevano avvolto si deformavano, si ritiravano e rientravano nella grande massa, da cui, nello stesso istante, nascevano altre estremità. Quella cosa era del tutto imprevedibile. Ed evidentemente aveva un debole per Leon Anawak.