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Dagli altoparlanti uscivano i fischi e i suoni dei delfini ancora in mare. Diventavano sempre più nervosi. La testa di Greywolf comparve sulla superficie dell'acqua, poi emersero anche Leon e Alicia.

«Che dicono gli animali?» chiese Peak.

«Sempre la stessa cosa», rispose Greywolf. «Forma di vita sconosciuta e orche. Qualcosa di nuovo sui monitor?»

«No.»

«Non vuol dire niente. Prendiamo gli ultimi due.»

Peak sobbalzò. A partire dai bordi, avevano cominciato a risplendere di blu scuro. «Bisogna fare in fretta», disse. «Si sta avvicinando.»

Gli scienziati s'immersero e nuotarono verso la paratia. Peak chiamò il CIC. «Cosa vedete da lassù?»

«Il cerchio continua a stringersi», gracchio la voce di Judith Li dai box della console. «I piloti dicono che la struttura si sta immergendo, ma dalle immagini del satellite si vede ancora meglio. Sembra che voglia andare sotto la nave. Tra poco dovreste avere molta luce laggiù.»

«Ci sarà molta luce. Con cosa abbiamo a che fare? Con la nuvola?»

«Sal?» Era Johanson. «No, non credo che abbia una forma di nuvola. Le cellule si sono fuse. È un compatto tubo di gelatina e si contrae. Dovreste sbrigarvi.»

«Abbiamo quasi fatto. Roscovitz?»

«Apro la paratia», replicò subito l'altro.

Anawak era sospeso sopra la parete di vetro. Stavolta, quando le paratie d'acciaio si aprirono, fu completamente diverso. La prima volta, avevano guardato in un'oscurità grigio scuro. Ora gli abissi erano attraversati da una debole luce blu che aumentava lentamente d'intensità.

È diversa dalla nuvola, pensò. È come una luce diffusa. Ripensò alle riprese dal satellite che aveva visto nel CIC. All'apertura dell'imponente tubo nel cui centro c'era l'Independence.

Improvvisamente si rese conto che stava guardando proprio nell'interno del tubo e, al pensiero delle dimensioni di quella cosa gli si contrasse lo stomaco. Il terrore s'impadronì di lui. Di colpo, dal nulla, entrò nella chiusa il quinto delfino, e Anawak balzò indietro, dominando a fatica l'impulso di fuggire. Il delfino andò contro la copertura di vetro. Anawak si costrinse a star calmo. Un attimo dopo, anche il sesto delfino superò la paratia. Le lastre d'acciaio si chiusero, scivolando. I sensori analizzarono l'acqua, mandarono l'okay a Roscovitz e la paratia di vetro della chiusa si aprì.

Con un lungo balzo, Kate Ann saltò sul Deepflight.

«Che vuoi fare?» chiese Roscovitz.

«Gli animali sono dentro. E io faccio il mio lavoro, tutto qui.»

«Ehi, non mi sembra il momento adatto.»

«E invece lo è.» La donna si piegò sulle ginocchia e aprì un portello. «Adesso riparo questo maledetto affare.»

«Ci sono cose più importanti, Browning», sbottò Peak, irritato. «La smetta di fare i capricci.» Non riusciva a staccare gli occhi dai monitor. Stavano diventando sempre più luminosi.

«Sal, avete finito là sotto?» Era la voce di Johanson.

«Sì. Cosa vedete?»

«Il bordo del tubo scivola sotto la nave.»

«Quella sostanza ci può fare qualcosa?»

«Difficile. Non riesco a immaginare un organismo che riesca anche solo a far vacillare l'Independence. Neppure questa cosa. È una gelatina… gomma senza muscoli.»

«Ed è sotto di noi», disse Rubin dal bordo del bacino. Si girò. I suoi occhi luccicavano. «Apra ancora la paratia. Presto.»

«Come?» Roscovitz sgranò gli occhi. «È impazzito?»

Con pochi passi, Rubin gli fu a fianco. «Generale?» gridò nel microfono della console.

Il collegamento gracchio. «Che c'è, Mick?»

«Abbiamo la fantastica possibilità di prendere un bel po' di quella gelatina. Ho suggerito di riaprire la paratia, ma Peak e Roscovitz…»

«Jude, non possiamo correre il rischio», intervenne Peak. «Non siamo in grado di controllarla.»

«Ci limitiamo ad aprire la paratia d'acciaio e aspettiamo», borbottò Rubin. «Forse quell'organismo è curioso. Ne catturiamo qualche pezzo e poi richiudiamo la paratia. Una bella porzione di materiale per la ricerca, che ne pensa?»

«E se è contaminata?» chiese Roscovitz.

«Oddio, quanti dubbi! Lo scopriremo, no? Naturalmente terremo chiusa la copertura di vetro finché non saremo certi che è tutto a posto!»

Peak scosse la testa. «Non mi sembra una buona idea.»

Rubin strabuzzò gli occhi. «Generale, questa è un'occasione unica.»

«Okay», disse Judith Li. «Ma siate prudenti.»

Peak sembrava contrariato. Rubin sorrise, si avvicinò al bordo del bacino e gesticolò. «Ehi, finitela», gridò a Greywolf, Anawak e ad Alicia, impegnati a togliere le bardature agli animali. «Fate…» Non potevano sentirlo. «Ah, non fa niente. Forza, Roscovitz, apra quella maledetta paratia. Non può succedere nulla finché la copertura di vetro rimane chiusa.»

«Non sarebbe meglio aspettare finché…»

«Non possiamo aspettare», lo interruppe Rubin. «Ha sentito che cos'ha detto il generale Li. Se aspettiamo, sparirà. Faccia entrare un po' di gelatina nella chiusa e poi chiuda. Me ne basta un metro cubo.»

Stronzo arrogante, pensò Roscovitz. Avrebbe voluto gettare Rubin in acqua, ma quel bastardo aveva l'autorizzazione di Judith Li.

Era stata lei a dare l'ordine.

Premette il pulsante della paratia.

Alicia era impegnata con un esemplare particolarmente agitato. Mentre cercava di togliergli la telecamera, il delfino era scappato e si era immerso verso la chiusa, trascinandosi dietro la bardatura. Lo vide nuotare in cerchio sopra la copertura di vetro e lo seguì con potenti bracciate.

Così non sentì nulla di quanto si diceva in superficie.

Che cos'hai? pensò. Vieni qui. Non devi avere paura.

Poi vide cosa stava succedendo.

Per un momento fu così sbalordita che smise di nuotare e sprofondò finché le sue dita non toccarono il vetro. La paratia, sotto di lei, si stava aprendo. Il mare splendeva di un blu intenso ed era attraversato da scariche simili a fulmini.

Che diavolo sta facendo Roscovitz? Perché apre?

Il delfino girava come un pazzo sopra la chiusa. Venne verso di lei e le diede una spinta. Evidentemente cercava di spostarla in là. Ma, dato che Alicia non reagiva, fece una piroetta e scappò via.

Lei fissava l'abisso luminoso.

Cosa c'era laggiù? Scorse alcune ombre indistinte che scivolavano, poi una chiazza che si avvicinava e diventava più grande.

Si avvicinava molto velocemente.

La macchia prese forma, diventando una figura.

Improvvisamente Alicia comprese che cosa si stava scagliando contro la nave. Riconobbe il corpo gigantesco con la fronte nera e la parte inferiore bianca, i denti disposti in file uguali tra le labbra semiaperte. Era il più grande esemplare che avesse mai visto. Risaliva in verticale dagli abissi a una velocità altissima e sembrava ancora in accelerazione. Di certo non si sarebbe scansato, era ovvio. I pensieri nella testa di Alicia si accavallavano. Nel giro di qualche secondo, la donna mise insieme tutto ciò che sapeva. Che le paratie di vetro erano spesse e robuste, ma insufficienti a reggere l'impatto di una bomba vivente. Che quell'animale doveva essere lungo almeno dodici metri e che poteva catapultarsi verso l'alto con una velocità massima di cinquantasei chilometri all'ora.

Che era troppo veloce.

Fece un disperato tentativo di allontanarsi.

L'orca si schiantò contro la copertura di vetro con la stessa violenza di un siluro. L'onda d'urto fece roteare Alicia su se stessa. La donna venne investita dai frammenti dell'intelaiatura d'acciaio e dalle schegge di vetro e scorse il ventre bianco dell'orca che, praticamente illesa, si sollevava oltre la cupola di vetro distrutta. Poi qualcosa la colpì tra le scapole. Alicia gridò, si ribaltò e smarrì il senso dell'orientamento.

Fu presa dal panico.

Roscovitz ebbe appena il tempo di afferrare la situazione. Quando l'orca sfondò la paratia, il molo prese a rimbombare, tremando sotto i suoi piedi. Una gigantesca montagna d'acqua sollevò il Deepflight. Vide Kate Ann barcollare, mulinando le braccia. Per un momento, l'orca sembrò reimmergersi, poi riprese velocità, saltando da ferma.

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