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«Dove sono i delfini?»

«Sotto l'Independence, signore. Sono raggruppati davanti alle paratie. Credo che abbiano paura! Vogliono entrare.»

Il CIC si stava riempiendo di gente.

«Porti l'immagine del satellite sul monitor più grande», ordinò Peak.

Videro l'Independence dalla prospettiva del KH-12. Galleggiava sull'acqua scura. Non c'era traccia della luce blu e dei lampi.

«Un attimo fa, laggiù era tutto chiaro», disse l'uomo che si occupava delle analisi del satellite.

«Possiamo ricevere immagini da altri satelliti?»

«Al momento no, signore.»

«Okay. Allarghiamo la visuale col KH-12.»

L'uomo impartì i comandi e, qualche secondo dopo, sul monitor, l'Independence si rimpicciolì. Il satellite aveva aumentato la sezione. In tutte le direzioni si stendeva il mar di Groenlandia, color piombo. Dall'altoparlante arrivavano i fischi e i suoni dei delfini. Continuavano a segnalare la presenza di una forma di vita sconosciuta.

«Non basta ancora.»

Il KH-12 allargò ancora la visuale. Adesso l'obiettivo riprendeva una sezione di cento chilometri quadrati. L'Independence, che pure era lunga duecentocinquanta metri, là in mezzo sembrava una scheggia di legno.

Col fiato sospeso, tutti guardarono il monitor.

E videro.

A una notevole distanza si era formato un sottile cerchio blu luminoso, da cui partivano delle scariche.

«Quanto è grande quella cosa?» sussurrò Peak.

«Quattro chilometri di diametro», rispose la donna al monitor. «Addirittura un po' di più. Sembra una specie di tubo. Quello che vediamo dall'immagine del satellite è solo l'apertura, ma da lì si stende fino agli abissi. Siamo in una… voragine, per così dire.»

«E che cos'è?»

Johanson era comparso al loro fianco. «È gelatina, direi.»

«Ma brava», ansimò Vanderbilt, rivolto a Samantha. «Cosa diavolo ha mandato laggiù?»

«Li abbiamo esortati a farsi vedere», replicò lei.

«È stata una buona idea?»

Shankar si voltò verso di lui, seccato. «Volevamo prendere contatto o no? Di che si lamenta? Pensava che ci mandassero un messaggero a cavallo?»

«Stiamo ricevendo un segnale!»

Tutti si assieparono intorno all'uomo che sorvegliava le emissioni acustiche. Shankar lo raggiunse e si chinò sul monitor.

«Che cos'è?» gli gridò Samantha.

«Lo spettrogramma di un segnale scratch.»

«Una risposta?»

«Non so se…»

«Il cerchio si restringe!»

Tutte le teste si voltarono verso il grande schermo. Il cerchio luminoso aveva cominciato a muoversi lentamente verso la nave. Nel frattempo, due punti minuscoli si allontanavano dall'Independence. I due elicotteri da combattimento avevano iniziato la loro ricognizione. I fischi e i suoni provenienti dagli altoparlanti divennero più forti.

Tutti cominciarono a parlare contemporaneamente.

«Zitti!» sbraitò Judith Li. Con la fronte aggrottata, stava ascoltando i delfini. «Questo è un altro segnale.»

«Sì.» Anche Alicia ascoltava, con le palpebre abbassate. «Forme di vita sconosciute e inoltre…»

«Orche!»

«Diversi corpi di grandi dimensioni si stanno avvicinando dal basso», confermò la donna al sonar.

Greywolf guardò Judith Li. «Non mi piace. Dobbiamo riportare i delfini nella nave.»

«Perché proprio ora?»

«Non voglio rischiare la vita degli animali. Inoltre abbiamo bisogno delle immagini della telecamera.»

Judith Li esitò, poi disse: «Va bene. Li riporti dentro. Informo Roscowitz. Peak, prenda quattro uomini e accompagni O'Bannon nel ponte a pozzo».

«Leon, Licia, andiamo», li esortò Greywolf.

Uscirono in fretta e Rubin li seguì con lo sguardo. Poi si chinò all'orecchio di Judith Li e le sussurrò qualcosa. Lei lo ascoltò, annuì, quindi si girò verso i monitor.

«Aspettatemi», disse Rubin al gruppo che stava uscendo. «Vengo anch'io.»

Ponte a pozzo

Roscovitz raggiunse il ponte a pozzo ancor prima degli scienziati, accompagnato da Kate Ann Browning e da un altro tecnico. Quando vide il difetto del Deepflight, si lasciò sfuggire un'imprecazione. Non l'avevano ancora riparato. Galleggiava sull'acqua col portello d'ingresso aperto, assicurato solo con una catena che si tendeva sul ponte.

«Non dovrebbero aver già finito?» disse alla donna.

«Il problema è più complicato di quanto pensassimo», si giustificò lei, mentre correvano lungo il molo. «Il pilota automatico…»

«Merda.» Roscovitz fissò l'imbarcazione. Era proprio sopra la chiusa, che si delineava a quattro metri di profondità. «Questa faccenda sta cominciando a infastidirmi. Mi disturba sempre di più ogni volta che facciamo entrare e uscire quegli animali.»

«Con tutto il rispetto, signore, non disturba affatto e, quando avremo finito di ripararlo, lo riporteremo sul ponte.»

Roscovitz ringhiò qualcosa d'incomprensibile e poi si mise alla console di servizio. L'imbarcazione era proprio davanti al suo naso, cosicché, da quella prospettiva, lui non riusciva a vedere la chiusa sul fondo, che poteva essere controllata solo dalla zona dei monitor. Imprecò di nuovo, in modo ancora più colorito. L'Independence era stata attrezzata in fretta e il lavoro era stato svolto in maniera approssimativa! Perché diavolo i problemi dovevano saltar fuori solo all'atto pratico? A che cosa servivano i test nello spazio virtuale se non si riusciva a vedere la chiusa da dietro il batiscafo che galleggiava?

Altri passi risuonarono sul ponte dell'hangar. Greywolf, Alicia, Anawak e Rubin stavano scendendo la rampa, seguiti da Peak e dai suoi uomini. I soldati si divisero sui due lati della banchina. Rubin e Peak andarono da Roscovitz, mentre Greywolf e gli altri s'infilarono nelle tute di neoprene e indossarono le maschere.

«Fatto», annunciò Greywolf. Formò un cerchio col pollice e l'indice e ordinò: «Portiamoli dentro».

Roscovitz annuì e mise in funzione il richiamo automatico. Vide gli scienziati tuffarsi in acqua, illuminati dai proiettori subacquei. Si avvicinarono nuotando, poi, all'altezza della chiusa, s'immersero, l'uno dopo l'altro.

Allora aprì la paratia inferiore.

Alicia s'immerse verso gli strumenti sul bordo della chiusa. Stava ancora scendendo quando le imponenti lastre d'acciaio — poste tre metri al di sotto della copertura di vetro — presero a muoversi. Lei vide le lastre che si allontanavano, mostrando gli abissi marini. Due delfini scivolarono subito all'interno. Apparivano nervosi, e colpivano il vetro col muso. Greywolf fece segno di attendere ancora. Un altro delfino entrò nella camera di decompressione.

Nel frattempo, le paratie d'acciaio si erano completamente aperte e, sotto la cupola di vetro, si spalancava l'abisso. Alicia guardava nervosa nell'oscurità. Non si vedeva niente d'insolito. Niente luci, niente lampi, niente orche e neppure gli altri tre delfini. Scese ancora, finché non toccò con le mani la superficie di vetro, sempre scrutando alla ricerca dei delfini. Improvvisamente entrò un quarto animale, ruotò su se stesso e s'infilò nel bacino della chiusa. Greywolf annuì e Alicia diede il segnale a Roscovitz. Lentamente, le lastre d'acciaio si mossero, chiudendosi poi con un cupo rimbombo. All'interno della chiusa si misero al lavoro i sensori, che esaminarono l'acqua alla ricerca di sostanze inquinanti o contaminate. Dopo qualche istante, i sensori diedero via libera e trasmisero l'autorizzazione alla console di Roscovitz. Senza il minimo rumore, le paratie di vetro si aprirono.

Non appena si formò uno spiraglio sufficiente grande, gli animali scivolarono dentro, e furono ricevuti da Greywolf e Anawak.

Peak osservò Roscovitz mentre chiudeva la paratia di vetro. Il suo sguardo era fisso sui monitor. Rubin era andato sul bordo del bacino e scrutava la chiusa.

«Fuori ce ne sono ancora due», disse Roscovitz fra i denti.

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