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«E come dovremmo fare, secondo lei? Acquisire le abitudini di vita di organismi unicellulari?»

«Ovvio che no. Non ci sarebbe possibile geneticamente. Anche quello che noi definiamo cultura è strettamente legato ai nostri geni. L'evoluzione culturale inizia nell'era preistorica. È stato allora che, nelle nostre teste si è preparato il terreno, per così dire. La cultura è biologica… Oppure vogliamo presumere che si siano aggiunti nuovi geni che ci hanno indotto a costruire navi da guerra? Noi costruiamo aerei, portaerei e teatri, ma lo facciamo seguendo il cosiddetto livello di civiltà delle nostre attività primitive, dall'epoca in cui un'ascia di pietra è stata scambiata con un pezzo di carne: guerra, incontro di tribù, commercio… La cultura fa parte della nostra evoluzione. Serve per mantenerci in una condizione di stabilità…»

«… finché un'altra condizione di stabilità non si dimostra migliore. Capisco dove vuole arrivare, Johanson. Nelle epoche preistoriche, il patrimonio genetico ha determinato la cultura e, in base a quella, ci ha trasformato geneticamente. Quindi sono i geni a guidare il nostro comportamento. Ci danno i fondamenti per questa conversazione, benché tale pensiero possa risultare odioso. Tutto il nostro bagaglio intellettuale, di cui siamo così orgogliosi, è il risultato di un controllo genetico e la cultura non è altro che il repertorio di comportamenti sociali, accoppiato con la lotta per la sopravvivenza.»

Johanson rimase in silenzio.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese Judith.

«No. L'ascolto, affascinato e rapito. Lei ha assolutamente ragione. L'evoluzione è un gioco tra mutamenti genetici e cambiamenti culturali. Ci sono state delle mutazioni genetiche che hanno portato alla crescita del nostro cervello. È stata la biologia che ci ha reso possibile la parola, quando, nel corso di cinquecentomila anni, ha strutturato la nostra laringe e ha formato i centri del linguaggio sulla corteccia cerebrale. Ma questa trasformazione genetica porta a una costruzione culturale. Le lingue formulano conoscenza, passato, futuro e capacità immaginativa. La cultura è il risultato di processi biologici, e a loro volta le trasformazioni genetiche sono la conseguenza dello sviluppo culturale. Molto lentamente, è vero, ma è così.»

Judith Li sorrise. «Che bello, riesco a seguirla.»

«Non ne dubitavo», replicò Johanson, dispiegando tutto il suo fascino. «Ma così ha sistemato anche se stessa, Jude. La nostra tanto esaltata molteplicità culturale si scontra coi limiti genetici. Noi abbiamo sviluppato una gran quantità di culture, ma tutte si basano sulla necessità di mettere al sicuro la nostra specie. Non potremo appropriarci dei valori di una specie la cui biologia è contro la nostra e che naturalmente dovrà essere nostra nemica nella lotta per lo spazio vitale e per le risorse.»

«Non crede in una specie di confederazione galattica, in cui strani esseri s'incontrano con noi al bar per una bibita?»

«Come in Guerre stellari

«Sì.»

«Un film fantastico. No. Credo potrebbe funzionare solo dopo un periodo lungo, molto lungo, necessario per il superamento delle differenze, quando il nostro programma genetico avrà 'assorbito' lo scambio culturale con le altre specie.»

«Allora ho ragione! Quindi non dobbiamo cercare di capire gli yrr. Dobbiamo trovare una strada per lasciarci in pace a vicenda.»

«No, non ha ragione. Perché loro non ci lasceranno in pace.»

«Allora abbiamo perso.»

«Perché?»

«Non eravamo arrivati alla conclusione che umani e non umani non possono raggiungere un accordo?»

«Eravamo arrivati anche alla conclusione che i cristiani e i musulmani non avrebbero potuto raggiungere un accordo. Ascolti, Jude: non possiamo e non dobbiamo comprendere gli yrr. Ma dobbiamo concedere spazio anche a coloro che non comprendiamo. Il che è diverso dall'accettare incondizionatamente i valori dell'altra parte. La soluzione è nell'arretramento e, al momento, siamo noi a dover arretrare. Questa strada può funzionare. Non porta a una comprensione emotiva — quella non esiste -, ma a un diverso punto di vista. A una comprensione del mondo che diventa tanto più ampia quanto più ci allontaniamo dalla nostra specie, per trovare un distacco da noi stessi, senza il quale non saremmo in grado di spingere gli yrr a guardarci in modo diverso da come ci hanno guardato finora.»

«Non stiamo già arretrando? Anche solo il fatto che stiamo cercando un contatto con loro…»

«E che cosa si dovrebbe ottenere, ammesso che ci si riesca?»

Judith rimase in silenzio.

«Jude, mi confidi il suo segreto. Com'è possibile che la stimi tanto e nel contempo mi fidi così poco di lei?»

Si guardarono.

Dai tavoli arrivava il rumore delle altre conversazioni. Scorreva come un cavallone sul ponte e s'infrangeva con forza contro di loro. D'un tratto di levarono alcune grida, sempre più acute. Infine, dagli altoparlanti, risuonò una voce. «Allarme dei delfini! Attenzione! Allarme dei delfini!»

Judith abbassò per prima gli occhi, perdendo quel duello di sguardi. Girò la testa e guardò il mare nella semioscurità. «Mio Dio», sussurrò.

Il mare non era più avvolto nella semioscurità.

Aveva incominciato a splendere.

La nuvola blu

Le onde erano diventate fluorescenti. Isole blu scuro si levavano dagli abissi verso la superficie, si allargavano e si riversavano l'una sull'altra, come se il cielo si volesse rovesciare nel mare.

L'Independence scivolava nella luce.

«Se questa è la risposta al suo ultimo messaggio, deve proprio averli impressionati», disse Greywolf a Samantha, senza distogliere lo sguardo dallo spettacolo.

«È magnifico», sussurrò Alicia.

«Guardi!» gridò Rubin.

Sulle superfici luminose qualcosa si mosse. La luce iniziò a pulsare. Si formarono giganteschi vortici, si misero a ruotare dapprima lentamente, poi sempre più veloci, finché non somigliarono a galassie a spirale e a correnti blu. I centri s'ispessirono. Là in mezzo sembravano brillare migliaia di stelle, che poi tornavano a sparire…

Un lampo.

Dal ponte di volo giunsero delle grida.

Il quadro cambiò improvvisamente. Scariche accecanti attraversarono l'acqua e raggiunsero i vortici, che ruotavano all'impazzata. Sotto la superficie dell'acqua infuriava un temporale silenzioso. Un momento dopo, i vortici cominciarono ad allontanarsi dallo scafo dell'Independence e la nuvola blu si lanciò verso l'orizzonte a una velocità mozzafiato, scomparendo alla vista.

Greywolf fu il primo a scuotersi dall'incantesimo.

Corse verso l'isola.

«Jack!» Alicia gli corse dietro. Gli altri li seguirono. Greywolf raggiunse la scaletta di boccaporto, percorse a lunghe falcate il pianerottolo del settore di sicurezza ed entrò nel CIC, con Peak e Judith Li alle calcagna. Per qualche istante, i monitor collegati alle telecamere non mostrarono altro che l'acqua grigio scuro. Poi apparvero due delfini.

«Cos'è successo?» gridò Peak. «Che cosa dice il sonar?»

Uno degli uomini si girò. «Là fuori c'è qualcosa di grosso, signore. Qualcosa, non so… difficile da dire… in un certo senso…»

«Qualcosa? In un certo senso?» Judith Li afferrò l'uomo per le spalle. «Mi faccia rapporto, idiota! E sia preciso. Che succede là?»

L'uomo impallidì. «È… sono… sullo schermo non avevamo nulla e poi sono comparse quelle superfici. Sono arrivate dal nulla, lo giuro, l'acqua si è improvvisamente trasformata in una… sostanza. Si sono riuniti in una parete, in una… È ovunque…»

«I Cobra devono subito partire per un volo di ricognizione ad ampio raggio.»

«Cosa avete ricevuto dai delfini?» chiese Greywolf.

«'Forma di vita sconosciuta'», riferì un soldato. «L'hanno registrata prima che la vedessimo.»

«La localizzazione?»

«Ovunque. Si allontana. Ora è a un chilometro di distanza, arretra. Il sonar rileva ovunque massicce presenze.»

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