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«Mio Dio», sussurrò Karen.

«Questo ci dice due cose», affermò Samantha. «Anzitutto che scratch è una sorta di lingua e, con molta probabilità, i segnali scratch contengono complesse informazioni. In secondo luogo — e questo è decisivo! — che gli yrr sono in grado di deformare scratch in modo che per noi abbia un senso. È una prestazione di prima classe. Dimostra che non ci sono per nulla inferiori. Sono in grado non soltanto di decodificare, ma anche di codificare.»

Per un po' rimasero tutti a guardare le colonne di numeri. Sembravano oppressi da un misto di commozione e di angoscia.

«Ma questo cosa prova esattamente?» chiese Johanson, rompendo il silenzio.

«Ma è chiaro», rispose Alicia. «Che laggiù c'è qualcuno che pensa e risponde.»

«Sì, ma un computer non potrebbe dare le stesse risposte?»

«Pensi che stiamo conversando con un computer?»

«Ha ragione», disse Anawak. «Ci mostra che qualcuno ha fatto diligentemente i suoi compiti. È senza dubbio impressionante, ma non è una prova incontestabile dell'esistenza di una vita intelligente e consapevole di se stessa.»

«E chi altri potrebbe aver dato quelle risposte?» chiese Greywolf, entusiasta. «I merluzzi?»

«Certo che no. Ma prova a pensarci. Quello che abbiamo vissuto qui è un contatto tecnicamente perfetto attraverso simboli. Tuttavia da ciò non si può dedurre la presenza di un'intelligenza evoluta. Quando si adatta all'ambiente, un camaleonte porta a termine calcoli di elevata complessità, per così dire. Di fatto non se ne accorge nessuno. Se non si conosce l'effettiva intelligenza del camaleonte, si potrebbe arrivare alla conclusione che esso abbia doti impressionanti per poter gestire un programma che oggi rende il suo aspetto simile a una foglia e domani a una roccia. Bisognerebbe presupporre un'elevata capacità di comprensione, perché esso possa decifrare il codice ambientale e procedere in modo creativo, regolando il proprio codice sulla base di quello.»

«Allora che cos'abbiamo qui?» chiese Alicia, sconcertata. Sembrava quasi delusa.

Samantha ridacchiò. «Leon ha ragione», disse. «La capacità di manipolare dei simboli non fornisce affatto la prova che quei simboli siano anche stati compresi. Il vero spirito creativo si dimostra attraverso la capacità di rappresentazione e la conoscenza delle relazioni all'interno del mondo reale. Attraverso una comprensione profonda. Un computer, per quanto dotato di capacità di apprendimento, non conosce il rapporto con la regola generale, né il comportamento contro la logica; non si mette in confronto con l'ambiente e non fa esperienze. Credo che sia la stessa cosa che hanno detto gli yrr quando hanno formulato la loro risposta. Hanno cercato qualcosa che ci mostrasse la loro più elevata capacità di comprensione.» Indicò il monitor. «Questi sono i risultati dei due compiti matematici. Se osservate con attenzione, noterete che il risultato uno compare undici volte di fila, poi per tre volte vediamo il risultato due, una volta il risultato uno, poi nove volte il risultato due e così via. In un punto, il risultato uno si ripete quasi trentamila volte. Ma perché? Ha senso spedirci i risultati più di una volta perché il messaggio sia sufficientemente lungo per essere registrato. Ma come mai questa sequenza apparentemente caotica?»

«Qui entra in gioco Miss Alien», disse Shankar e sorrise ai presenti.

«Il mio alter ego, Jodie Foster», confermò Samantha. «Devo ammettere che la risposta mi è venuta in mente quando ho pensato al film. La sequenza è un codice. Se lo si sa leggere correttamente, si ottiene un'immagine composta da pixel bianchi e neri, quindi niente di diverso da quello che facciamo col SETI.»

«Spero che non sia Adolf Hitler», disse Rubin.

Stavolta ottenne una risata. Tutti avevano visto il film Contact con Jodie Foster. Gli alieni avevano mandato sulla Terra un'immagine televisiva che conteneva in realtà un manuale di costruzione. E avevano preso la prima immagine inviata dagli esseri umani nell'etere: Hitler che inaugurava le Olimpiadi di Berlino, nel 1936. «No», rispose Samantha. «Non è Hitler.»

Shankar impartì un comando al computer. Le colonne di numeri sparirono e apparve un'immagine.

Il quinto giorno - pic_2.jpg

«Che cos'è?» Vanderbilt si chinò in avanti.

«Non lo riconosce?» Samantha sorrise ai presenti. «Nessuno di voi ha idea di cosa sia?»

«Sembra un grattacielo», disse Anawak.

«L'Empire State Building», propose Rubin.

«Sciocchezze», sbuffò Greywolf. «Come fa a vederci l'Empire State Building? Sembra un missile.»

«E come fanno a conoscere i missili?» chiese Alicia.

«Perché in mare ce ne sono tantissimi. Provvisti di testate nucleari, di armi chimiche…»

«Ma che cosa c'è tutt'intorno?» chiese Sue. «Nuvole?»

«Forse acqua», affermò Karen. «Forse è qualcosa degli abissi marini. Una formazione.»

«L'acqua? Forse», intervenne Samantha.

Johanson si grattò la barba. «Sembra quasi un monumento. Probabilmente un simbolo. Qualcosa di… religioso.»

«Umano, assolutamente umano.» Samantha sembrava divertirsi come una matta. «Perché non vi chiedete semplicemente se non è possibile osservare l'immagine in un altro modo?»

Continuarono a fissare l'immagine e improvvisamente Judith Li trasalì. «Potete girarla di novanta gradi?»

Le dita di Shankar scivolarono sulla tastiera e l'immagine si dispose orizzontalmente.

«Continuo a non capire che cosa sia», disse Vanderbilt. «Un pesce? Un grande animale?»

Il quinto giorno - pic_3.jpg

Judith Li scosse la testa e accennò un sorriso. «No, Jack. I motivi tutt'intorno sono le onde. Onde marine. Un'istantanea vista da sotto. Dal fondo verso la superficie.»

«Come? E quella cosa nera?»

«Semplice. Siamo noi. La nostra nave.»

Heerema, al largo di La Palma, Canarie

Forse non avrebbero dovuto essere così euforici.

Durante le ultime sedici ore, l'aspiratore aveva lavorato ininterrottamente, portando alla luce tonnellate di corpicini rosa che evidentemente non avevano gradito il cambiamento. La maggior parte era morta subito, gli altri si erano contorti a lungo, finendo con le proboscidi estroflesse e le mandibole aperte. All'inizio, Frost era corso fuori a vedere i policheti che uscivano dal tubo insieme con l'acqua marina, formando un'imponente fontana, e poi finivano in una grande rete. Attraverso alcuni scivoli, i vermi erano stati scaricati in un cargo, posto a fianco dell'Heerema e ne riempivano la stiva. Frost, entusiasta, aveva infilato le mani nella massa ed era tornato indietro ricoperto di fango, sollevando trionfante una dozzina di cadaveri.

«Solo un verme morto è un verme buono», aveva tuonato. «Ascoltate le mie parole! Yeah!»

Avevano applaudito tutti, anche Bohrmann.

Dopo un po', i vortici di fango si erano posati, consentendo a loro di osservare la pietra lavica. Da lì, salivano isolati fili di piccole bolle. Le telecamere dell'isola luminosa avevano zoomato e Bohrmann era riuscito a vedere cos'era successo. «Colonie di batteri», aveva detto.

Frost lo aveva guardato. «E questo che significa?»

«Difficile da dire.» Bohrmann si era strofinato le nocche sul mento. «Finché popolano solo la superficie, non c'è pericolo. Però non so quanta sostanza sia già penetrata nei sedimenti. Quelle linee grigio sporco, là in mezzo, sono gli idrati.»

«Quindi ci sono ancora.»

«Quelli che vediamo. Però non sappiamo quanti ce n'erano prima e quanti ne sono stati distrutti. La fuoriuscita di bolle si mantiene in una dimensione tollerabile. Con una certa cautela, potrei dire che non è stato un insuccesso.»

«Per me vale un sì», aveva esclamato Frost, soddisfatto. Poi si era alzato. «Vado a prendere del caffè per tutti.»

Erano rimasti per ore a fissare l'aspiratore in azione e, a un certo punto, gli occhi avevano cominciato a bruciare. Infine van Maarten aveva cacciato Frost a letto. Erano tre notti che Frost e Bohrmann praticamente non dormivano. Frost stava ancora protestando quando i suoi occhi avevano cominciato a chiudersi. Poi, con le ultime energie, era riuscito a raggiungere, barcollando, la cabina.

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