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Bohrmann era rimasto con van Maarten. Erano le undici.

«Lei è il prossimo che deve andare a dormire», aveva detto l'olandese.

«Non posso.» Bohrmann si era passato la mano sugli occhi. «Nessuno conosce gli idrati come me.»

«E invece no, noi li conosciamo.»

«Non ci vorrà ancora molto», aveva commentato Bohrmann.

In effetti, il team dei piloti era già stato cambiato tre volte. Ma, nel giro di poche ore, Erwin Suess sarebbe arrivato in elicottero da Kiel, e lui doveva tenere duro fino al suo arrivo.

Sbadigliò. Nel frattempo era calata la notte. La sala era percorsa da un leggero ronzio. Nel corso delle ultime ore, l'aspiratore e l'isola luminosa erano stati spinti, lentamente ma con continuità, verso nord. Se i dati della spedizione Polarstern erano esatti, i vermi infestavano solo quella terrazza. Bohrmann valutò che sarebbero serviti ancora alcuni giorni per aspirarli completamente, ma in lui si era risvegliata la speranza. La fuoriuscita di bolle era di poco superiore a quanto ci si attendeva, però non costituiva un reale motivo di preoccupazione. Forse, una volta spariti i vermi e le orde di batteri, gli idrati si sarebbero ristabilizzati.

Osservò i monitor con le palpebre socchiuse.

Fu colpa della stanchezza se il cambiamento raggiunse la sua coscienza soltanto dopo un po' che era iniziato. Si chinò in avanti. «Là c'è qualcosa che luccica», disse. «Allontanate l'aspiratore.»

Van Maarten sgranò gli occhi. «Dove?»

«Guardi sui monitor. In quella confusione, qualcosa ha lampeggiato. Ecco, ancora!»

In un attimo fu completamente sveglio. Ormai anche le telecamere dell'isola luminosa rivelavano che qualcosa non andava. La normale nuvola di sedimenti e le fauci dell'aspiratore si erano gonfiati. Frammenti scuri e bolle vibravano tutt'intorno e poi venivano trascinati in alto.

Gli schermi dell'aspiratore divennero neri e la sua bocca venne spinta da una parte.

«Maledizione, che cosa succede?»

Dagli altoparlanti uscì la voce del pilota: «Stiamo aspirando cose molto grosse. L'aspiratore diventa instabile. Non so se…»

«Via!» urlò Bohrmann. «Via dal pendio!»

Di nuovo, pensò, disperato. Come con la Sonne. Un blowout. Si erano trattenuti troppo a lungo nello stesso posto e il plateau era diventato instabile. La pressione più bassa separava i sedimenti.

No, non era un blowout. Era ancora peggio.

Il tubo dell'aspiratore cercò di tirarsi fuori dalla nuvola di sedimenti. Si gonfiò ancora di più, in apparenza sul punto di esplodere. Un'onda d'urto colpì l'isola luminosa. L'immagine ondeggiava.

«C'è uno smottamento», gridò il pilota.

«Spenga l'aspiratore!» Bohrmann balzò in piedi. «Lo riporti indietro.»

Dall'alto cadevano grandi frammenti di roccia. Pietrisco lavico franava sulla terrazza. Nella nuvola di fango e macerie, la bocca dell'aspiratore si vedeva appena.

«L'aspiratore è spento», confermò van Maarten.

Osservarono lo smottamento con occhi spalancati: cadevano sempre più rocce. Se avesse coinvolto la parete quasi verticale del vulcano, si sarebbero staccati pezzi sempre più grandi. La pietra dei vulcani era porosa. Nel giro di qualche minuto, un piccolo smottamento poteva diventare molto grande, e alla fine avrebbe provocato proprio quello che stavano cercando d'impedire.

Dobbiamo accettare con tranquillità la situazione, pensò Bohrmann. Ormai è troppo tardi per fuggire.

Una montagna d'acqua alta seicento metri…

Lo scroscio di pietre finì.

Per lungo tempo, nessuno parlò. Gli sguardi erano incollati ai monitor. Sulla terrazza c'era una nuvola diffusa che disperdeva e rifletteva la luce delle lampade alogene.

«Ha smesso», disse van Maarten con voce tremante.

«Sì», confermò Bohrmann. «Pare di sì.»

Van Maarten chiamò i piloti.

«L'isola luminosa ha ballato non poco», comunicò il team addetto all'illuminazione. «Un riflettore è caduto.»

«E il tubo dell'aspiratore?»

«Pare bloccato.» L'informazione arrivò dall'altra gru. «I sistemi trasmettono i comandi, ma non sembra in grado di eseguirli.»

«Credo che la bocca sia rimasta sotto le macerie», ipotizzò il pilota.

«Quanto peso può esserci caduto sopra?» chiese van Maarten con un filo di voce.

«Prima si deve depositare la nube», rispose Bohrmann. «Sembra proprio che ne siamo usciti con un occhio pesto.»

«Va bene. Allora dobbiamo aspettare.» Van Maarten parlò nel microfono. «Non fate altri tentativi per liberare l'aspiratore. Pausa caffè. Non voglio che laggiù si creino scosse inutili. Aspettiamo un po', poi vedremo.»

Tre ore dopo, videro. In realtà videro solo per pochi metri, perché i sedimenti non si erano ancora posati del tutto, ma la bocca dell'aspiratore si vedeva benissimo. Era arrivato anche Frost, più spettinato che mai.

«Si è incastrato ben bene», constatò van Maarten.

«Sì.» Frost si grattò la testa. «Ma non sembra rotto.»

«I motori sono bloccati.»

«E come facciamo a sbloccarli?»

«Potremmo mandare giù un robot che sposti tutto il materiale», propose Bohrmann.

«Santa furia di Dio e di tutti gli angeli!» sbraitò Frost. «Ci costerà tantissimo tempo. Ammesso che funzioni.»

«Dobbiamo fare in fretta.» Bohrmann si rivolse a van Maarten. «Quanto ci vuole per allestire Rambo?»

«È già pronto.»

«Allora via. Proviamoci.»

«Rambo» doveva il suo nome al film con Sylvester Stallone, quindi a motivi nient'affatto scientifici. Il ROV sembrava una versione più piccola del Victor 6000: aveva quattro telecamere, diversi propulsori per la stabilità a poppa e sui fianchi e due robusti bracci meccanici snodati. L'apparecchio raggiungeva al massimo ottocento metri di profondità, ma era molto apprezzato nel settore offshore. Nel giro di un quarto d'ora, Rambo era pronto a entrare in azione. In breve tempo, scivolò lungo il cono vulcanico verso la terrazza, collegato con la cabina di pilotaggio sull'Heerema da un cavo a fibre ottiche. L'isola luminosa entrò nel campo visivo. Il robot continuò a scendere, si mise in movimento e manovrò verso la bocca dell'aspiratore. Da vicino, si vedeva chiaramente che i motori e il sistema video della proboscide erano intatti, tuttavia alcuni blocchi di pietra vulcanica l'avevano incastrato, bloccandolo.

I bracci meccanici di Rambo iniziarono a spostare i detriti. All'inizio, sembrava che il robot potesse liberare l'aspiratore. Spostava le macerie l'una dopo l'altra, finché non incappò in una punta posta di traverso, che si era conficcata nella terrazza e schiacciava il tubo contro uno sperone di roccia. I bracci si muovevano avanti e indietro, si giravano, cercavano di spostare la roccia. Ma invano.

«Un automa non ce la può fare», affermò Bohrmann. «Non può sviluppare una forza sufficiente.»

«Ah, fantastico», sibilò Frost.

«E se i piloti ritirassero l'aspiratore?» azzardò Bohrmann. «Con la tensione, prima o poi si dovrà liberare.»

Van Maarten scosse la testa. «Troppo rischioso. Il tubo potrebbe strapparsi.»

Tentarono la sorte facendo collidere il robot col blocco da diverse parti. Intorno a mezzanotte, fu evidente che la macchina non ce l'avrebbe fatta. E i vermi, che spuntavano ovunque dall'oscurità, stavano tornando a occupare le zone ripulite.

«Non mi piace neanche un po'», grugnì Bohrmann. «Proprio qui, dov'è instabile. Dobbiamo cercare di liberare l'aspiratore, altrimenti la vedo nera.»

Frost aggrottò la fronte. Dopo un po', disse: «Bene. Allora la vedremo nera. E personalmente».

Bohrmann lo guardò con aria interrogativa.

«Ma sì. Nelle profondità marine è tutto nero, no? Voglio dire, se Rambo non ce la fa, c'è solo uno che ce la può fare. Sono quattrocento metri. Per quella profondità, a bordo abbiamo delle tute speciali.»

«Vuoi andare laggiù?» chiese Bohrmann, sbalordito.

«Naturalmente.» Frost distese le braccia, che scrocchiarono. «Dov'è il problema?»

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