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«È quello con cui siamo usciti noi, vero?»

«Non abbia paura. Non l'ha rotto lei.» Roscovitz rise. «Probabilmente è un difetto del software. Tra qualche ora sarà tutto a posto.»

Un'ondata colpì le gambe di Anawak.

«Ehi, Leon!» Alicia gli sorrise dal bacino. «Che fai lì? Vieni dentro.»

«Buona idea», disse Greywolf. «Così potresti fare qualcosa di utile.»

«Noi lassù facciamo tante cose utili», ribatté Anawak.

«Senza dubbio.» Greywolf accarezzò un delfino che si era avvicinato ed emetteva deboli suoni. «Infilati una delle mute.»

«Volevo solo salutarvi.»

«Gentile da parte tua.» Greywolf diede una pacca al delfino e rimase a guardarlo mentre si allontanava in fretta. «Ora ci hai salutati.»

«C'è qualche novità?»

«Stiamo preparando la seconda squadra», rispose Alicia. «MK6 non ha registrato nulla di straordinario, a parte stamattina quando ha comunicato la presenza delle orche.»

«E prima che le vedessero gli strumenti elettronici», notò Greywolf non senza una punta d'orgoglio.

«Sì, il loro sonar…»

Anawak si prese una seconda ondata, stavolta perché uno degli animali era balzato fuori dall'acqua e l'aveva infradiciato. Evidentemente il delfino si divertiva.

«Non sforzarti», disse Alicia al delfino, come se questi la potesse capire. «Leon non entra. Si gelerebbe il sedere, perché non è un vero inuit, ma solo un inuit presunto. Non può essere un inuit. Altrimenti già da tempo sarebbe…»

«Okay! Okay!» Anawak alzò le mani. «Dov'è quella maledetta muta?»

Cinque minuti dopo, stava aiutando Alicia e Greywolf a dotare di telecamera e trasmittente gli animali della seconda squadra. Improvvisamente rammentò che Alicia gli aveva chiesto se era un makah.

«Come ti è venuto in mente?» volle sapere.

Lei si strinse nelle spalle. «Eri così riservato… Dovevi essere di qualche tribù indiana. Comunque non somigliavi di certo a un tedesco. Ora che ti conosco meglio…» Lo guardò, raggiante. «… Ho qualcosa per te!»

«Tu hai qualcosa per me?»

Lei fissò una cinghia intorno al torace di un delfino. «L'ho trovato su Internet. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. L'ho imparato a memoria. Vuoi sapere cos'è?»

«Parla!»

«La storia del tuo mondo!» Sembrava quasi che le sue parole fossero accompagnate da una fanfara.

«Oh, santo cielo.»

«Non t'interessa?»

«Ma certo», disse Greywolf. «Leon ha un interesse ardente per la sua amata patria, solo che creperebbe piuttosto di ammetterlo.» Si avvicinò, accompagnato da due delfini. Nella sua muta sembrava un mostro marino di medie dimensioni. «Preferisce essere considerato un makah.»

«Sei tu ad aver bisogno di sembrare un indiano», osservò Anawak.

«Non litigate, bambini!» Alicia si distese sulla schiena e si lasciò galleggiare. «Sapete da dove vengono le balene, i delfini e le foche? Volete sentire la vera spiegazione?»

«Bruciamo di curiosità.»

«Allora, tutto è cominciato nella notte dei tempi, quando uomini e animali erano una cosa sola. A quell'epoca, nei pressi di Arviat, viveva una ragazza.»

Anawak ascoltava. Da bambino aveva sentito quella storia in tutte le varianti possibili, ma, dopo l'infanzia, essa si era come perduta.

«Dov'è Arviat?» chiese Greywolf.

«Arviat è l'insediamento più meridionale del Nunavut», rispose Anawak. «Il nome della ragazza era forse Talilayuk?»

«Oh, sì. Si chiamava Talilayuk», proseguì Alicia con un certo pathos. «Aveva capelli bellissimi, e molti uomini erano interessati a lei, ma solo un uomo-cane era riuscito a conquistare il suo cuore. Così Talilayuk era rimasta incinta e aveva partorito inuit e non-inuit, tutti mescolati. Finché, un giorno, mentre l'uomo-cane era andato a caccia, nell'accampamento di Talilayuk era comparso uno splendido uomo-uccello della tempesta. Aveva invitato la donna a salire sul suo kayak e, come succede di solito, tra i due si era accesa la passione.»

«Già, come succede di solito.» Greywolf stava ispezionando l'obiettivo di una telecamera. «Quand'è che entrano in gioco le balene?»

«Calma. A questo punto, arriva il padre di Talilayuk, in visita alla figlia. Ma lei è sparita e l'uomo-cane è disperato. Allora il vecchio prende una barca e va per mare finché non arriva all'accampamento dell'uomo-uccello della tempesta. Già da lontano vede Talilayuk seduta davanti alla tenda: la raggiunge e le fa una scenata, dicendole che deve tornare immediatamente a casa. La donna obbedisce e i due risalgono sulla barca. Dopo qualche tempo, però, vedono che il mare comincia a ingrossarsi. In breve, le onde diventano sempre più alte e infine scoppia una violenta tempesta.

I frangenti colpiscono la barca e il vecchio teme che non riusciranno a raggiungere la terraferma. Poi capisce che quella è la vendetta dell'uccello della tempesta e allora afferra Talilayuk — l'unica responsabile di quel pasticcio — e la getta fuori bordo, sperando così di salvarsi. La ragazza, disperata, si afferra al bordo della barca.

Il vecchio le grida di mollare la presa, ma Talilayuk si aggrappa ancora di più. Di conseguenza, lui perde il lume della ragione, afferra una scure e la colpisce sulle prime falangi delle dita. Non appena esse toccano l'acqua, però, si trasformano in narvali e le unghie diventano la 'spada' di quegli animali. Ma Talilayuk non vuole mollare. Così il vecchio le taglia le falangi mediane e quelle si trasformano in balene bianche, in beluga. Niente da fare: la ragazza rimane sempre aggrappata al bordo. Le ultime falangi si trasformano in foche. Talilayuk non cede. In qualche modo, riesce a restare aggrappata coi palmi delle mani alla barca che comincia a riempirsi d'acqua. In preda al terrore, il vecchio la colpisce con la pagaia in pieno volto e le strappa l'occhio destro. Finalmente lei molla la presa e sprofonda nelle onde.»

«Che storia crudele.»

«Ma Talilayuk non muore… o, almeno, non muore davvero. Si trasforma nella dea del mare, Sedna, e regna sugli animali degli oceani. Scivola tra le acque con un occhio solo e coi moncherini delle mani tesi in avanti. I suoi capelli sono sempre bellissimi, ma lei, non avendo le mani, non può pettinarli. E siccome la cosa la irrita profondamente, si dice che chi riuscirà a pettinare i capelli di Sedna e a raccoglierli in una treccia, potrà rabbonirla. E lei gli permetterà di cacciare i suoi animali marini.»

«Quand'ero piccolo, questa storia era raccontata durante le lunghe notti invernali e ogni volta era un po' diversa», disse Anawak sottovoce.

«Ti è piaciuta?»

«Mi è piaciuto che tu l'abbia raccontata.»

Sorrisero, soddisfatti. Anawak si chiedeva cosa l'avesse spinta a tirare fuori la leggenda di Sedna. Gli sembrava che, dietro quella storia, ci fosse molto di più che il caso. Alicia aveva cercato quella storia su Internet. Era un regalo per lui. Una prova della sua amicizia.

In un certo senso, era commovente.

«Sciocchezze.» Greywolf fischiò per chiamare l'ultimo delfino che non era ancora dotato di telecamera e idrofono. «Leon è un uomo di scienza. Con lui non otterrai niente parlando di dee marine.»

«La vostra sciocca, piccola guerra», mormorò Alicia, scuotendo la testa.

«Senza contare che quella storia non è vera. Volete davvero sapere come si è formato tutto? Non c'era nessuna terra. C'era solo un capo tribù che abitava in una capanna sott'acqua. Era davvero un pigrone, perché non si alzava mai; restava sempre coricato, dando la schiena al fuoco in cui bruciava un qualche cristallo. Viveva là sotto completamente solo e il suo nome era 'il magnifico uomo attivo'. Un giorno, il suo aiutante gli disse che gli spiriti e gli esseri soprannaturali non trovavano nessuna terra in cui stabilirsi e che lui doveva fare qualcosa per prestare fede al suo nome. Come risposta, il capo tribù sollevò da terra due pietre e le diede all'aiutante, aggiungendo che dovevano essere gettate in acqua. L'aiutante obbedì e le pietre s'ingrandirono sino a formare la Queen Charlotte Island e tutta la terraferma.»

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