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«E com'è?»

Roscovitz rise. «Mi creda, è meglio non saperlo.»

Metro dopo metro, la poppa della gigantesca nave sprofondava. L'Independence era troppo grande perché si potesse avvertire l'inclinazione. Nel suo insieme era una cosa minima, però l'effetto era sconcertante. La marea salì finché arrivò a lambire il bordo del molo. Nel giro di pochi minuti, il ponte si era trasformato in una piscina profonda diversi metri. Anche il delfinario era sott'acqua, così ora gli animali avevano a disposizione tutto lo spazio del bacino. Sul lido artificiale galleggiavano gli zodiac, ben ormeggiati. Il Deepflight 1 oscillava dolcemente sulle onde.

Kate Ann, seduta alla console, fece scendere dal soffitto un altro batiscafo. Muovendo un joystick manovrò le imbarcazioni sul sistema di rotaie fino al bordo del molo e aprì la copertura dei corpi tubolari, che si ribaltò verso l'alto. «Ogni cabina tubolare si può aprire e chiudere separatamente», spiegò. «Entrare è semplice. Tuttavia chi non è abituato rischia di bagnarsi i piedi. Durante l'operazione di pompaggio, l'acqua del bacino è stata riscaldata e ora ha una temperatura sopportabile, sui 15 °C. Ma che non vi venga in mente di rinunciare alla tuta protettiva! Se per un qualunque motivo doveste finire in mare aperto senza la protezione del neoprene o del batiscafo, morireste nel giro di pochissimo tempo. L'acqua al largo della Groenlandia raggiunge al massimo i due gradi.»

«Altre domande?» Roscovitz divise i gruppi, formati da un pilota e da uno scienziato. «Allora andiamo. Resteremo nei pressi della nave. È vero che i nostri simpatici delfini dicono che non dobbiamo preoccuparci, ma la situazione può cambiare. Leon, venga con me. Prendiamo il Deepflight 1

Saltò sull'imbarcazione che altalenò violentemente. Anawak lo seguì, ma perse l'equilibrio e cadde in acqua a testa in giù. Il gelo lo colpì in faccia e gli tolse il fiato. Sputacchiando, risalì in superficie, accolto da una risata collettiva.

«Era proprio quello che intendevo», commentò Kate Ann.

Anawak si trascinò sullo scafo e, ventre a terra, scivolò nell'interno della cabina tubolare, che si rivelò sorprendentemente comoda e spaziosa. Non si stava sdraiati in modo orizzontale, ma in leggera salita. La posizione del corpo ricordava quella di uno sciatore durante un salto dal trampolino. Davanti a lui c'era un pannello di controllo semplice e funzionale. Roscovitz accese il sistema e la copertura si chiuse silenziosamente.

«Non è proprio come una suite al Ritz, Leon.»

La voce del colonnello arrivò alle orecchie di Anawak da un altoparlante. Lui voltò la testa. Un metro più in là c'era Roscovitz che lo guardava e gli sorrideva da sotto la cupola di vetro acrilico. «Vede il joystick davanti a lei? Come le ho già detto, è un velivolo e si comporta come tale. Deve imparare a farlo salire e scendere come se fosse un aereo, a fare le virate e a compiere movimenti rotatori in tutte e quattro le direzioni. Inoltre, nella parte inferiore, ci sono quattro getti che producono sufficiente spinta per tenere il Deepflight per un po' in sospensione. Per il primo giro guido io, poi prenderà lei i comandi e io le dirò dove sbaglia.»

Improvvisamente si piegarono in avanti e si mossero. L'acqua sciabordò sulla cupola di vetro acrilico e s'immersero, a un'angolazione non troppo pronunciata. Sulla prua e sulle superfici portanti si accesero dei proiettori. Anawak vide scorrere sotto di sé il fondo del bacino. Poi arrivarono alla chiusa. La paratia di vetro si aprì, rivelando un pozzo illuminato, profondo diversi metri e col pavimento di acciaio. Il Deepflight scese lentamente nel pozzo e le paratie di vetro si chiusero alle loro spalle.

Anawak si sentiva un po' smarrito.

«Non abbia paura», disse Roscovitz. «Si fa più in fretta a uscire che a rientrare.»

La paratia di acciaio si mise rumorosamente in moto. Le imponenti lastre si spalancarono e apparve il mare scuro e indefinito. Poi il Deepflight uscì dallo scafo dell'Independence e si diresse verso l'ignoto.

Roscovitz accelerò e fece una virata che li portò sul fianco della nave. Anawak era affascinato. Gli era già capitato di guidare piccoli batiscafi costruiti secondo i sistemi convenzionali, concepiti per l'utilizzo negli strati superiori dell'acqua. Ma quello era completamente diverso. In effetti, il Deepflight si comportava come un aereo sportivo. Ed era veloce! In automobile, venti chilometri all'ora — il corrispettivo di dodici nodi — significava procedere molto lentamente, ma, per essere un veicolo sottomarino, il Deepflight aveva una velocità spettacolare. Anawak osservava, rapito, mentre passavano sotto lo scafo dell'Indipendence per poi tornare in superficie. Roscovitz abbassò la prua del batiscafo e scesero con una ripida inclinazione. Fece un'altra virata, si fermò sotto la poppa della portaerei e risalì. Sopra le loro teste, c'era l'enorme timone.

«Impressionato?» chiese Roscovitz.

«Eccome», replicò Anawak con voce incerta.

«So quello che sta pensando. Ha paura. Ce l'abbiamo tutti. Ma il ponte a pozzo è troppo stretto per esercitarsi. È anche poco profondo. Non vogliamo sfasciare subito questi giocattolini, eh?»

La virata successiva fu ancora più stretta. Da un momento all'altro, Anawak si aspettava di scorgere il muso rotondo, bianco e nero, di un'orca; invece arrivarono due delfini che sbirciarono all'interno delle cupole. Sulla testa avevano delle telecamere e sembravano eccitati. Si misero a fare capriole intorno al batiscafo.

«Sorrida, Leon!» disse Roscovitz, ridendo. «Ci stanno riprendendo.»

Si accese una luce. I comandi del Deepflight erano passati ad Anawak.

«Ora guidi lei», lo invitò Roscovitz. «Se arriva qualcosa che ci vuole mangiare, gli serviremo un siluro come colazione. Ma questo lo faccio io, capito? Ora guidi.»

Anawak rimase sconcertato e, d'istinto, serrò ancora di più il joystick. Roscovitz non gli aveva detto cosa doveva fare, così, in un primo momento, si limitò ad andare diritto.

«Ehi, Leon! Non dorma. Manovrare questo affare è uno spasso.»

«Che devo fare?»

«Quello che vuole. Basta che faccia qualcosa. Ci porti sulla luna!»

E in questo caso la luna è in basso. Va bene… pensò Anawak.

Spinse il joystick in avanti.

La punta del Deepflight si abbassò bruscamente e loro si diressero verso gli abissi. Anawak teneva lo sguardo fisso nell'oscurità. Tirò indietro il joystick, stavolta con maggiore cautela. L'imbarcazione si raddrizzò. Provò a fare una virata, ma la prese troppo stretta. Ci provò un'altra volta. Sapeva che stava guidando con troppi strappi, ma in fondo era molto semplice. Una pura questione di esercizio.

Un po' più in là, vide il secondo Deepflight e, improvvisamente, cominciò a provarci gusto. Avrebbe potuto volare per ore.

«Non male, Leon. È vero che, alla lunga, col suo modo di guidare, c'è il rischio di sentirsi male, ma imparerà. Ora vada in orizzontale. Bene, così. Lo lasci galleggiare lentamente. Ora le mostro come si usa il braccio meccanico. È ancora più semplice.»

Dopo cinque minuti, Roscovitz riprese i comandi e riportò lentamente l'imbarcazione verso la paratia. I minuti trascorsi tra le due paratie chiuse sembrarono eterni, ma, alla fine, i due furono liberi e riemersero. In un certo senso, Anawak si sentì sollevato. Nonostante il suo entusiasmo, il pensiero delle orche che quella mattina avevano circondato la nave lo faceva sentire a disagio. Per non parlare delle sorprese che il mare poteva ancora riservare agli imprudenti piloti dei batiscafi.

Roscovitz aprì le cupole. Si sollevarono dalle cabine e balzarono sul molo.

Davanti a loro c'era Floyd Anderson. «Allora, com'è andata?» chiese, senza dimostrare un particolare interesse.

«È stato divertente.»

«Purtroppo devo interrompere il divertimento.» Il primo ufficiale guardò il secondo batiscafo che stava riemergendo. «Non appena avete messo la testa sott'acqua, è successo qualcosa. Abbiamo ricevuto un segnale.»

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