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«Non vi ricorda qualcosa?»

«Le prime forme semplici di polpi», rifletté Rubin. «Ci sono altri organismi in grado di fare cose simili. La maggior parte dei cefalopodi può contrarre i propri tessuti, ma non cambia forma. Dobbiamo catturarne altri per capire come reagiscono.»

Johanson si appoggiò allo schienale. «Non ci riuscirò un'altra volta», disse. «Con un secondo tentativo, questo scapperebbe. Sono troppo veloci.»

«Va bene. Per le osservazioni ne può bastare uno.»

«Non lo so.» Sue scosse la testa. «Osservare va bene, ma io voglio esaminare la sostanza, non soltanto resti in decomposizione. Forse dovremmo congelarla e tagliarla a fette.»

«Certo.» Rubin fissava il monitor, affascinato. «Ma non subito. Prima guardiamolo un po'.»

«Abbiamo anche gli altri due. Per caso li vedete?»

Johanson mise in funzione diversi monitor e l'interno della cisterna apparve da diversi punti di vista. «Sparitibus.»

«Sciocchezze. Devono essere da qualche parte.»

«Va bene, apriamone qualcun altro», sbuffò Johanson. «Volevamo comunque farlo. Quanta più roba gelatinosa c'è in giro nella cisterna, più aumentano le possibilità di vederla. Il nostro prigioniero di guerra, per sicurezza, lo lasciamo in gabbia. Poi vedremo.» Sorrise e strinse le dita intorno al joystick. «Cric crac. È anche divertente, vero?»

Aprirono un'altra dozzina di granchi senza cercare di catturare la sostanza che ne usciva. Gli esseri di gelatina sfrecciavano fuori non appena la corazza si rompeva e si perdevano da qualche parte nella vastità della cisterna.

«Evidentemente la Pfiesteria non li fa fuori», affermò Sue.

«Ovviamente no», annuì Johanson. «Gli yrr si sono preoccupati che le due cose andassero d'accordo. La gelatina guida il granchio, la Pfiesteria è il carico. È logico che non mandino un taxi in cui il passeggero uccide l'autista.»

«Crede che anche la gelatina sia una coltivazione?»

«Non ne ho idea. Forse c'era già prima. Probabilmente è stata allevata.»

«E se questi esseri gelatinosi fossero… gli yrr?»

Johanson orientò lo Spherobot in modo che la telecamera riprendesse la gabbia. Osservò l'esemplare catturato. Aveva mantenuto la forma sferica e restava sul fondo, simile a una palla da tennis bianca e vetrosa.

«Queste… cose?» chiese Rubin, incredulo.

«Perché no?» esclamò Sue. «Le abbiamo trovate nella testa delle balene, nelle infestazioni della Barrier Queen, all'interno della nuvola blu, ovunque.»

«Sì, appunto la nuvola blu. A cosa serve?»

«Ha una funzione, certo. Queste cose si nascondono là dentro.»

«A dire la verità, mi sembra che la gelatina, come i vermi e le altre mutazioni, sia un'arma biologica.» Rubin indicò la palla immobile nella cesta. «Credete che sia morta? Non si muove più. Forse, quando muore, i suoi tessuti si ritirano in forma di palla.»

In quel momento, dagli altoparlanti del soffitto giunse un segnale. Poi si sentì la voce di Peak. «Buongiorno. Visto che, con l'arrivo della dottoressa Crowe, siamo al completo, abbiamo organizzato un incontro per le 10.30 nel ponte a pozzo. Vogliamo che prendiate confidenza coi batiscafi e con le attrezzature. Sarebbe quindi gentile da parte vostra essere presenti. Inoltre vorrei ricordarvi che, alle 10, terremo il nostro solito incontro nella sala riunioni. Grazie».

«Per fortuna che ce l'ha ricordato», borbottò Rubin. «Me n'ero completamente scordato. Quando faccio ricerche dimentico il tempo e lo spazio. O si è ricercatori o non lo si è, vero?»

«Giusto», replicò Sue, annoiata. «Sono ansiosa di sentire se ci sono novità da Nanaimo.»

«Perché non chiama Roche?» propose Rubin. «Gli racconti dei nostri successi. Forse è già riuscito a scoprire qualcosa.» Sorrise a Johanson e gli diede un colpetto sulla spalla. «Forse sapremo qualcosa prima di Judith Li e faremo una bella figura.»

Johanson rispose al sorriso, ma Rubin non gli piaceva. Era bravo nel suo lavoro, però era anche un leccaculo, disposto probabilmente a vendere sua nonna, se fosse servito per fare carriera. Sue si avvicinò all'unità radio proprio di fianco al pannello di comando e fece comporre il numero in automatico. La connessione satellitare proprio sopra l'isola permetteva ogni forma di scambio di dati. Ovunque nella nave si potevano ricevere molte emittenti televisive, si potevano collegare televisori portatili, radio e laptop, e naturalmente si poteva telefonare in tutto il mondo attraverso canali a prova d'intercettazione.

Sue parlò un po' con Fenwick e poi con Roche, che a loro volta erano in contatto con numerosi scienziati in tutto il globo. A quanto pareva, erano riusciti a circoscrivere le mutazioni della Pfiesteria, ma il successo non era ancora in vista. Ed eserciti di granchi stavano attaccando Boston. Sue comunicò quello che avevano scoperto e riagganciò.

«Oh, merda», sbottò Rubin.

«Forse ci aiuteranno i nostri amici nella cisterna», disse Johanson. «Qualcosa li protegge dalle alghe. Portiamoli a fare un giro nel laboratorio di massima sicurezza. Non appena sapremo che cosa…»

Guardò il monitor.

L'essere nella gabbia era sparito.

Sue e Rubin seguirono il suo sguardo e sgranarono gli occhi.

«Non c'è più!»

«Come ha fatto a uscire?»

Sullo schermo si vedevano solo granchi e acqua.

«Quelle cose se ne sono andate.»

«Sciocchezze! Dove possono essere scappate?»

«Un momento! Ne abbiamo fatte uscire una dozzina. Non dovrebbero essere invisibili.»

«Saranno là, da qualche parte. Ma dov'è quella nella gabbia?»

«Forse è diventata molto sottile», ipotizzò Sue.

Johanson osservò lo schermo e la sua espressione si rasserenò. «Sottile? Non è una cattiva idea», mormorò. «Certo… Può cambiare la forma. Le maglie sono fitte, ma probabilmente non abbastanza fitte per qualcosa di lungo e sottile.»

«Che sostanza incredibile», sussurrò Rubin.

Cominciarono a esaminare la cisterna, dividendola in zone. Ciascuno controllava un monitor, in modo da avere sempre sotto controllo tutto il bacino. Zoomarono con le telecamere, ma quella robaccia gelatinosa non si vedeva. Infine Johanson fece uscire i robot dal garage, ma non era nascosta neppure lì.

Gli esseri erano spariti.

«Forse abbiamo qualche problema col sistema di tubature», rifletté Sue. «Che siano nascosti in qualche tubo dell'acqua?»

Rubin scosse la testa. «Non è possibile.»

«Comunque sia, dobbiamo salire per la riunione», ringhiò Johanson. «Forse ci verrà in mente dove possono essere.»

Confusi e frustrati, spensero le luci nel simulatore e uscirono. Rubin spense anche le luci del laboratorio e fece per seguirli.

Ma non li seguì.

Johanson si voltò e lo vide, immobile davanti alla porta, a fissare il buio. Poi si accorse che Rubin aveva la bocca spalancata. Lentamente tornò indietro, seguito da Sue.

Dietro la finestra ovale del simulatore splendeva qualcosa.

Una luce debole e diffusa.

Una luce blu.

«La nuvola blu», sussurrò Rubin.

Senza curarsi degli ostacoli, corsero nell'oscurità verso il simulatore. Salirono in fretta le scale e si ammassarono davanti al vetro blindato.

La luce blu era sospesa nel nulla, come una strana nuvola nello spazio privo di luce. Ma quello spazio era una cisterna piena d'acqua. La sua estensione copriva alcuni metri quadrati. Pulsava. I bordi tremolavano.

Johanson socchiuse le palpebre, cercando di osservare con la massima attenzione. Che stava succedendo oltre il bordo? Minuscoli punti luminosi sembravano scorrere all'interno della nuvola, sempre più velocemente. Simili a particelle di materia nel campo gravitazionale di un buco nero.

Il blu divenne più intenso.

Poi collassò.

Quasi come un Big Bang al contrario, la nuvola crollò su se stessa. Tutto tendeva verso l'interno, che diventava più luminoso e denso. Da lì partivano lampi luminosi, che formavano disegni complicati. A folle velocità, la nuvola fu risucchiata nel proprio centro con un turbinio violento, e poi…

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