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Samantha appoggiò i gomiti sul tavolo dei relatori e disse: «Grazie». Poi gettò un rapido sguardo a Vanderbilt. «Come forse sapete, fino a oggi il SETI non è stato un gran successo. Di fronte a un'estensione spaziale di oltre dieci miliardi di anni luce — queste sono le dimensioni che presumiamo abbia l'universo osservabile -, non è difficile capire quanto siano basse le possibilità di trasmettere per caso nella giusta direzione e raggiungere qualcuno che sia in ascolto in quel momento. In questo senso, qui è molto meglio. In primo luogo, alcuni indizi indicano la presenza di entità 'altre'. In secondo luogo, abbiamo un'idea approssimativa di dove vivono tali entità, cioè da qualche parte nell'oceano e verosimilmente proprio sotto di noi. Ma se pure vivessero al Polo Sud, riusciremmo comunque a circoscrivere la zona. Essi non possono lasciare il mare e un forte impulso acustico emesso nell'Artico si sentirebbe anche oltre l'Africa. Ci sono segnali incoraggianti. A questo punto, però, devo sottolineare una cosa importante e cioè che il contatto è già stato stabilito. Sono decenni che noi mandiamo messaggi nel loro mondo. Sfortunatamente si trattava di messaggi distruttivi, quindi essi non hanno risposto mandando un ambasciatore, ma attaccandoci, punto e basta. È una cosa assai sgradevole, certo, ma io vi chiedo di liberarvi dei sentimenti negativi e di guardare a quelle aggressioni come a una possibilità.»

«Una possibilità?» le fece eco Peak.

«Dobbiamo prenderli per quello che sono, come il messaggio di una forma di vita sconosciuta, da cui possiamo trarre conclusioni sul suo modo di pensare.» Appoggiò la mano su una pila di fogli. «Ho tracciato uno schema di come dovremmo procedere. Ma devo smorzare le vostre speranze di un rapido successo. Ciascuno di voi, nelle settimane passate, si sarà scervellato sulla questione di chi sia stato a mandarci queste… sette piaghe. Tutti voi conoscete i film sull'argomento: Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T., Alien, Independence Day, The Abyss, Contact e così via. In quei film abbiamo a che fare o con mostri o con benefattori. Pensate alla sequenza finale di Incontri ravvicinati: molti personaggi sono lieti del fatto che superiori creature celesti siano arrivate sulla Terra per condurci verso un futuro radioso. Non che questa sia una novità… Un'interpretazione religiosa della vicenda non sarebbe neppure troppo azzardata. Anche il SETI ha questo atteggiamento. Ed esso ci rende ciechi di fronte alle semplici differenze delle intelligenze aliene.»

Samantha fece una pausa, lasciando che quel suo discorso sortisse l'effetto sperato. Aveva riflettuto a lungo su come affrontare la questione, concludendo che l'intero progetto sarebbe fallito sul nascere se lei non fosse riuscita a cancellare una lunga serie di preconcetti idioti dalla testa dei membri della spedizione. «Voglio dire che impegnarsi seriamente con culture diverse dalla nostra non c'entra nulla con la fantascienza. Gli extraterrestri vengono sempre presentati come l'espressione grottesca e amplificata delle paure e delle speranze umane. Gli alieni di Incontri ravvicinati simboleggiano la nostra nostalgia del paradiso perduto. In fondo sono angeli e si comportano di conseguenza. Alcuni eletti vedono la luce. La cultura di questi extraterrestri non interessa, sono semplicemente funzionali a una rappresentazione religiosa. Sono intimamente e profondamente umani perché sono creati dagli uomini. Pensate al momento del loro arrivo: una luce bianca e splendente, un'apparizione eterea… Proprio quello che vorremmo accadesse. Hanno poco di extraterrestre anche gli alieni di Independence Day. Sono malvagi perché corrispondono alla nostra idea di malvagità. Anch'essi non hanno una reale alterità. Il bene e il male sono valori postulati dagli uomini e difficilmente la fiction può permettersi di non tenerne conto. Abbiamo difficoltà a credere che i nostri valori non siano anche i valori degli altri e che la loro idea del bene e del male potrebbe non corrispondere alla nostra. Per comprendere queste cose non è necessario stare ad ascoltare lo spazio. Ogni nazione, ogni cultura ha i propri alieni davanti alla porta di casa, ma sempre al di là di una barriera. Finché non avremo interiorizzato questi concetti, non potremo instaurare una comunicazione con un'intelligenza aliena. Perché, con ogni probabilità, non ci sarà una base comune di valori, non ci saranno un bene e un male universali e, verosimilmente, non ci saranno neppure apparati sensoriali compatibili attraverso i quali comunicare.»

Samantha passò una pila di fogli a Johanson, che era seduto di fianco a lei, e lo pregò di distribuirli.

«Se vogliamo arrivare a una vera comunicazione con gli extraterrestri, forse bisogna immaginare uno Stato di formiche. Anzitutto le formiche sono assai organizzate, non veramente intelligenti. Ma supponiamo che lo siano. Ci troveremmo di fronte al compito di comunicare con un'intelligenza collettiva che mangia i propri simili, malati e feriti, senza trovare questo fatto moralmente riprovevole, che s'impegna in guerre senza comprendere la nostra idea di pace, che vede la riproduzione individuale come qualcosa di assolutamente inaudito e che tratta come un sacramento lo scambio e il consumo di escrementi. In breve, un'intelligenza che sotto ogni punto di vista funziona in modo del tutto diverso dal nostro, ma che funziona! E ora facciamo un altro passo avanti: immaginate che non riconosciamo come tale un'intelligenza aliena! Leon, per esempio, vorrebbe sapere se i delfini sono intelligenti, così li sottopone a test alquanto dispendiosi. Ma riesce a ottenere la certezza della loro intelligenza? E non dimentichiamo che c'è anche l'altro lato della questione: come ci vedono loro? Gli yrr ci combattono, ma ci considerano intelligenti? Spero di essermi espressa con chiarezza. Per quello che ci riguarda, un avvicinamento agli yrr non sarà possibile finché continueremo a considerare la nostra scala di valori come l'ombelico del mondo e dell'universo. Dobbiamo ridurci a quello che de facto siamo: una delle innumerevoli forme di vita possibili, senza nessuna particolare pretesa nei confronti del tutto.»

Samantha si accorse che Judith Li stava scrutando Johanson con un'intensità inaudita, neanche volesse entrargli nella testa. Su quella nave, la rete di relazioni era davvero interessante. Poi colse uno scambio di occhiate tra Jack O'Bannon e Alicia Delaware e immediatamente capì che tra loro c'era qualcosa.

«Scusi, dottoressa Crowe…» disse Vanderbilt, sfogliando la sua copia della relazione. «Secondo lei, che cos'è l'intelligenza?»

Il tono faceva presumere che quella domanda fosse una trappola. «Un caso fortuito», rispose Samantha.

«Un caso fortuito? Lo crede davvero?»

«È il risultato di molte circostanze in accordo tra loro. Quante definizioni vuole sentire? Alcuni ritengono che l'intelligenza sia ciò che viene stimato come fondamentale in una cultura. Ed è proprio lì che casca l'asino. Ci sono almeno tante definizioni quante sono le culture e i modi di pensare. Alcuni studiano i processi che stanno a fondamento delle capacità spirituali, altri cercano di misurare statisticamente l'intelligenza. Poi c'è un'altra questione: è innata o acquisita? All'inizio del XX secolo, si era dell'opinione che l'intelligenza si rispecchiasse nelle forme e nei modi con cui si gestiva una specifica situazione. Oggi alcuni riprendono quell'idea e definiscono l'intelligenza come la capacità di adattarsi alle esigenze di un ambiente mutevole. Quindi essa non sarebbe congenita, bensì acquisita. Molti altri, invece, ritengono che l'intelligenza sia strettamente ancorata all'essere umano, una capacità innata che permette al nostro pensiero di archiviare situazioni sempre nuove. Secondo questi ultimi, l'intelligenza è la capacità d'imparare dall'esperienza e quindi di adattarsi alle esigenze dell'ambiente. E poi c'è quella bellissima definizione secondo cui l'intelligenza è la capacità di chiedersi che cosa sia l'intelligenza.»

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