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«Una grande responsabilità», mormorò Samantha.

«Alcune cose vengono interpretate dal computer. Ma lei ha ragione.» Peak abbracciò la sala con un movimento della mano. «Il CIC e il JIC sono i settori scientifici. Tra l'altro, qui siamo costantemente aggiornati su ciò che avviene nel mondo. Abbiamo televisori sintonizzati sulla CNN, sull'NBC e su un'altra dozzina di reti. Lei avrà accesso a tutte le informazioni immaginabili e a tutte le banche dati della Defense Mapping Agency. Avrà il piacere di lavorare con la cartografia degli abissi marini elaborata dalla Marina, di gran lunga più dettagliata di quella che hanno a disposizione i ricercatori indipendenti.»

Ripresero a scendere. Visitarono lo spaccio di bordo, le camerate vuote, le sale di ricreazione e il gigantesco settore sanitario al livello 3, un'area asettica e deserta con seicento letti, sei sale operatorie e un enorme reparto di terapia intensiva. Samantha immaginò come doveva essere quel luogo durante una guerra. Uomini insanguinati che gridavano, medici e infermieri che correvano da tutte le parti. L'Independence le sembrava quasi una nave fantasma… anzi una città fantasma. Risalirono al livello 2 e proseguirono verso poppa, finché non raggiunsero una rampa che sembrava fatta per le automobili.

«Il tunnel conduce a zig-zag dal ventre della nave fino all'isola», disse Peak. «L'Independence è costruita in maniera tale che si possano raggiungere con la jeep i livelli strategici più importanti. Anche i marine marciano in coperta attraverso i tunnel. Adesso scendiamo.»

I loro passi risuonavano tra le pareti d'acciaio. A Samantha, quel luogo fece venire in mente un parcheggio; poi il tunnel sfociò in un gigantesco hangar. Lei sapeva che occupava, in lunghezza, circa un terzo della nave e, in altezza, almeno due ponti. Era esposto alle correnti d'aria. Su due lati si aprivano imponenti portoni che conducevano alle piattaforme esterne. L'illuminazione, di un giallo pallido, si confondeva con la luce del giorno, creando un'atmosfera surreale. Tra i costoloni laterali si vedevano piccoli uffici e punti di controllo dietro pareti di vetro. Un sistema di trasposto a rotaia fornito di ganci si stendeva lungo il ponte, Samantha vide grandi muletti e, sullo sfondo, due fuoristrada Hummer.

«Normalmente l'hangar è pieno di velivoli», disse Peak. «Ma, per questa missione, abbiamo sei elicotteri Super Stallion in coperta. In caso di emergenza, ognuno di essi può evacuare cinquanta persone. Abbiamo anche due elicotteri da combattimento Super Cobra per le missioni rapide.» Indicò le due aperture sui lati. «Le piattaforme esterne sono elevatori, con cui normalmente spostiamo i velivoli da qui al ponte di volo. Hanno una portata di oltre trenta tonnellate.»

Samantha uscì dal portone dell'hangar e guardò il mare, grigio e gelido fino all'orizzonte. Era raro che gli iceberg arrivassero da quelle parti. La corrente della Groenlandia orientale scorreva lungo la costa, a oltre trecento chilometri di distanza. Lì si vedevano solo alcune lastre di ghiaccio melmoso alla deriva.

Anawak le si avvicinò. «Uno dei molti mondi possibili, vero?»

Samantha annuì.

«Tra i suoi scenari per le civiltà extraterrestri c'è anche una variante sottomarina?»

«Nel nostro repertorio abbiamo di tutto, Leon. Lei riderà, però, quando penso a forme di vita extraterrestri, guardo prima di tutto al nostro pianeta. Guardo agli abissi marini e al sottosuolo, ai poli e in aria. Finché non si conosce il proprio mondo, non ci si può fare un'idea degli altri.»

«Credo che il nostro problema sia proprio questo», mormorò Anawak.

Seguirono Peak che scendeva lungo la rampa che collegava i livelli. Il tunnel sbucava in un corridoio che conduceva a prua. Ormai si trovavano nel cuore dell'Independence. Su un lato c'era una paratia da cui usciva una fredda luce artificiale. Quando entrarono, Samantha riconobbe la biologa con cui nelle ultime settimane aveva parlato spesso per videotelefono. Sue si trovava accanto a uno dei numerosi tavoli, impegnata in una conversazione con due uomini che si presentarono come Sigur Johanson e Mick Rubin.

Sembrava che l'intero ponte fosse stato trasformato in un laboratorio. Tavoli e strumenti erano raggruppati in isole. Vide lavandini, frigoriferi, due container collegati tra loro e cartelli che mettevano in guardia dal rischio biologico. Era un settore di massima sicurezza. In mezzo, c'era qualcosa delle dimensioni di una piccola casa circondata da una passerella. Si raggiungeva con scale d'acciaio. Grossi tubi e fasci di cavi collegavano le pareti della cisterna con apparecchiature grandi come armadi. Una grande finestra ovale permetteva di vedere l'interno illuminato con una luce diffusa. Sembrava pieno d'acqua.

«Avete un acquario a bordo?» esclamò Samantha. «Che bello.»

«È un simulatore di abissi marini», spiegò Sue. «L'originale si trova a Kiel ed è un po' più grande. In compenso, questo ha una finestra di vetro blindato. La pressione che c'è là dentro ucciderebbe una persona, ma è proprio quella che tiene in vita altri esseri. Attualmente, nella cisterna, ci sono circa duecento granchi bianchi catturati a Washington e messi subito in contenitori ad alta pressione. È la prima volta che riusciamo a mantenere in vita la gelatina. Perlomeno crediamo di esserci riusciti. Finora non si è fatta vedere, ma siamo sicuri che è dentro quei granchi e li guida.»

«Affascinante», disse Samantha. «Ma il simulatore non è a bordo solo per i granchi, vero?»

Johanson fece un sorriso misterioso. «Non si sa mai che cosa finisce nella rete.»

«Quindi è una specie di campo per prigionieri di guerra.»

«Un campo per prigionieri di guerra!» ripeté Rubin, ridacchiando. «Mica male come idea.»

Samantha si guardò intorno. La zona era ermeticamente chiusa. «Questo non era un ponte per ospitare velivoli?» chiese.

Peak sembrò stupito. «Be', sì. Se si attraversa quella paratia, si raggiunge la metà posteriore dell'Independence e l'hangar è proprio sopra di noi. Sbaglio o ha letto molto su questa nave?»

«Sono curiosa», ammise Samantha con modestia.

«Rimane solo da sperare che trasformi la sua curiosità in conoscenza.»

«Che musone», sussurrò lei ad Anawak, mentre lasciavano il laboratorio e percorrevano il tunnel sullo stesso livello verso poppa.

«Non proprio.» Anawak scosse la testa. «Il buon Sal è un tipo a posto. Più che altro guarda con sospetto ai civili che ne sanno più di lui.»

Il tunnel sfociava in una zona ancora più alta e lunga dell'hangar. Raggiunsero una sponda artificiale che si affacciava su un bacino rivestito di legno e posto molto più in basso. Sembrava una gigantesca piscina vuota. Al centro era stata montata una copertura di vetro rettangolare, costituita da due paratie, l'una vicina all'altra. Su un lato si stendeva un'ampia vasca, le cui ombre increspate rispecchiavano l'illuminazione circostante. Samantha vide corpi sottili dalla forma di siluro che si muovevano sotto la superficie.

«Delfini», esclamò, sorpresa.

Peak annuì. «La nostra squadra speciale.»

Il suo sguardo si spostò verso l'alto. Anche su quel soffitto c'era un sistema di rotaie con molte ramificazioni. A esso erano appese strutture dal singolare aspetto di opere d'arte futurista, come se qualcuno avesse incrociato una gigantesca macchina sportiva con un batiscafo e un aereo. Ai due lati del bacino, la sponda proseguiva in passerelle a forma di molo. Lungo le pareti, erano accatastate le casse con le attrezzature. Tra le altre cose, negli armadietti aperti, Samantha vide sonde, strumenti di misurazione e mute. A intervalli regolare erano inoltre sistemate delle scalette, che conducevano sul fondo della vasca.

Nella parte anteriore del bacino c'erano quattro zodiac.

«Qualcuno ha tolto il tappo?» chiese.

«Sì, ieri sera. In genere il tappo è là.» Peak indicò la copertura di vetro, lunga otto metri e larga dieci. «La chiusa, la nostra porta verso il mare. Ha un doppio sistema di sicurezza: una paratia di vetro, posta sul pavimento, e una massiccia paratia d'acciaio sulla parte esterna. In mezzo c'è un pozzo alto tre metri. Il sistema è semplicissimo. Quando un'imbarcazione entra nella chiusa, chiudiamo la copertura di vetro e apriamo la paratia di acciaio per farla uscire. Se vuole tornare all'interno della nave, procediamo nello stesso modo. L'imbarcazione entra nella chiusa, le paratie d'acciaio si chiudono e noi possiamo vedere attraverso la copertura di vetro se con lei è entrato qualcosa che non ci piace. Contemporaneamente, l'acqua viene sottoposta a un'analisi chimica. L'interno della chiusa è fornito di sensori, che rivelano la presenza di tossine o di agenti contaminanti. I risultati vengono riportati su due display, uno sul bordo della paratia e l'altro nella sala di controllo. L'imbarcazione rimane nella chiusa per circa un minuto. Se tutto è a posto, la copertura di vetro si apre e il batiscafo può rientrare. I delfini sono sottoposti alla stessa procedura. Venga.»

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