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Decise di annullare la prenotazione per la seconda notte. Sarebbe di certo riuscito a trovare un posto sul volo per Iqaluit e, con un po' di fortuna, ne avrebbe trovato un altro sul Boeing verso Montreal. Una volta arrivato là, non gli importava quanto avrebbe dovuto aspettare per la coincidenza. Montreal meritava una visita e soprattutto era lontanissima da tutto ciò che era legato a quel terribile luogo alla fine del mondo, chiamato Cape Dorset.

Finalmente arrivò il sonno.

Anawak dormiva, ma il suo spirito continuava a ricordare il Nunavut. Si ritrovò sull'aereo che girava sopra Vancouver in attesa dell'autorizzazione all'atterraggio. Ma la torre di controllo non la concedeva. Allora il pilota si girò verso di lui, dicendo: «Non possiamo atterrare. Non può andare a Vancouver, e neppure a Tofino».

«Perché?» urlò Anawak. «Perché non possiamo atterrare?»

«Il controllo di terra dice che è colpa sua. Sostiene che quella non è casa sua.»

«Ma io vivo a Vancouver. Abito a Tofino, su una barca.»

«Abbiamo verificato. Lei non abita là. Laggiù non conoscono nessun Leon Anawak. Il controllo di terra dice che devo portarla a casa. Allora, dove vado?»

«Non lo so.»

«Deve sapere dov'è casa sua.»

«Casa mia è laggiù.»

«Bene.»

L'aereo si abbassò, preparandosi all'atterraggio. Le luci della città si avvicinavano, ma erano poche per essere quelle di Vancouver, troppo poche. Non era Vancouver. C'era neve ovunque. Lastroni di ghiaccio galleggiavano su un lago nero e, sullo sfondo, si levava una montagna.

Atterrarono a Cape Dorset.

Improvvisamente fu di nuovo a casa, dai suoi genitori, che avevano preparato una festa in suo onore. Era il suo compleanno. Erano venuti molti bambini del vicinato e tutti danzavano allegramente intorno a lui. Poi suo padre propose di fare una gara di corsa nella neve, ma, prima, diede ad Anawak un pacco gigantesco, legato grossolanamente con lo spago, e gli spiegò che quello era il suo unico regalo e che era molto prezioso.

«Qui dentro troverai tutto ciò che ti servirà nella vita», disse. «Ma lo devi prendere con te quando corriamo fuori.»

Anawak, con le braccia sopra la testa, cercò di tenere in equilibro il pacco gigantesco. Uscirono. La neve brillava nell'oscurità. Una voce gli sussurrò che doveva assolutamente vincere la corsa, perché, in caso contrario, gli altri lo avrebbero ucciso. Nessuno aveva osato rivelarglielo, ma senza dubbio l'avrebbero fatto. Se non fosse stato abbastanza veloce a gettarsi sott'acqua, durante la notte si sarebbero trasformati in lupi e l'avrebbero fatto a pezzi.

Anawak cominciò a piangere. Non riusciva a immaginare perché qualcuno volesse fargli una cosa del genere. Malediva il suo compleanno, perché sapeva che ben presto sarebbe diventato grande e lui non voleva diventare grande ed essere fatto a pezzi. Stringendo il pacco, si mise a correre. La neve era troppo alta, lui sprofondava quasi sino ai fianchi e riusciva appena ad avanzare. Si guardò intorno, ma non c'era nessuno che stava correndo con lui. Alle sue spalle, non molto distante, c'era solo la casa dei suoi genitori, immersa nel buio e con la porta chiusa. Nel cielo c'era una luna gelida. Poi calò un silenzio assoluto.

Anawak si fermò.

Si chiese se fosse giusto tornare a casa, ma evidentemente là non c'era più nessuno. Allora si sentì isolato, respinto e provò un senso d'incertezza. In quella notte gelida, illuminata dalla luna, non c'era anima viva, non si sentiva un rumore. Gli venne in mente la profezia dei lupi che aspettavano soltanto di sbranarlo vivo. Erano in casa? Avevano già fatto strage degli ospiti? Non c'era niente che lo confermasse. Sembrava che la casa e Cape Dorset fossero misteriosamente andati oltre le leggi della natura. Era Lo stesso posto in cui si era svolta la sua festa di compleanno, ma in un altro tempo, in un futuro lontano o in un lontano passato. Oppure il tempo era fermo e lui stava guardando in un universo ghiacciato in cui non era possibile nessuna forma di vita.

La paura ebbe il sopravvento. Si girò e cominciò a camminare a fatica verso l'acqua. Non c'era un pontile come nella vera Cape Dorset, solo una riva ghiacciata. Il pacco si era rimpicciolito; ormai poteva tenerlo agevolmente con una mano. Procedeva con maggior agio e in pochi passi raggiunse la riva.

Guardò il mare.

La luce della luna splendeva sulle nere onde increspate, che trascinavano lastroni di ghiaccio. Il cielo era pieno di stelle. Qualcuno gridò il suo nome. La voce risuonò debolmente da un cumulo di neve e Anawak, sospeso tra paura e curiosità, si avvicinò con passi esitanti, finché vide che quello non era un cumulo. Erano due corpi coricati, vicinissimi l'uno all'altro, e ricoperti di neve. Erano i suoi genitori. Fissavano con sguardo vuoto il cielo. Erano morti oppure non erano in grado di parlare con lui e di avvertirne la presenza.

Sono adulto, pensò. Devo aprire questo pacco.

Lo osservò.

Era diventato minuscolo. Cominciò ad aprirlo, ma all'interno c'era solo altra carta. Lui la strappò, la fece a brandelli e la gettò via sinché non ci furono più né il pacchetto né i genitori distesi là immobili, ma solo la riva ghiacciata e l'acqua nera.

Un'imponente dorso tagliò l'acqua e poi scomparve.

Anawak girò lentamente la testa. Vide una misera casetta… No, era una baracca di lamiera. La porta era aperta.

La sua casa.

No, pensò. No! Si mise a piangere. Qualcosa era andato storto. Era impossibile che quella fosse la sua vita. Non era quello che aveva progettato!

Si accovacciò nella neve, fissando la casa. Non riusciva a smettere di piangere. Fu preso da uno strazio indicibile. I singhiozzi gli squassavano il torace e risuonavano nel cielo. Coi suoi lamenti, lui riempiva il mondo intero, un mondo in cui, oltre a lui, non esisteva nessuno.

No. No!

Luce.

La sua camera al Polar Lodge.

Tremando, Anawak si era rizzato a sedere. La sveglia indicava le 2.30. Ci volle un po' prima che riuscisse a calmarsi abbastanza per alzarsi e aprire il minibar. Aveva la lingua incollata al palato. Vide acqua, Coca-Cola e birra. Prese una Coca-Cola, la aprì e la bevve a lunghi sorsi. Con la lattina nella mano destra, andò alla finestra, scostò le tende e guardò fuori.

L'hotel era situato a un'altezza tale da permettere di scorgere la zona di Kinngait e una parte del quartiere limitrofo. Il cielo era sereno e senza nuvole, come nel suo sogno, ma su Cape Dorset, anziché l'incommensurabile cielo stellato, c'era la penombra notturna: le case, la tundra e le distese di neve emergevano in un rosa irreale, tendente all'oro. In quel periodo non diventava mai buio; solo i contorni apparivano più sfumati e i colori più scialbi.

Di colpo, Anawak si rese conto di quanto fosse bello quel posto.

Guardava stregato quel cielo incredibile, lasciava scivolare gli occhi sulle montagne e sulla baia. Il ghiaccio sulla Tellik Bay splendeva come argento fuso. Mallikjuaq, nera e gibbosa, sembrava distendersi davanti alla costa come una balena addormentata.

Continuava a guardare, bevendo di tanto in tanto un sorso dalla lattina.

Che doveva fare?

Ricordò i sentimenti provati pochi giorni prima, quando aveva cenato con Tom e Alicia. La stazione di Tofino gli era sembrata estranea, tutto gli era diventato estraneo. Come in ogni altro luogo, non c'era la stanza in cui avrebbe potuto ritirarsi per sfuggire al mondo. Qualcosa d'importanza capitale stava per succedere, ne era convinto. Euforico e timoroso, aveva atteso che la predizione si avverasse.

Invece suo padre era morto.

Era quello? Era quello l'avvenimento importante? Tornare nell'Artico per seppellire suo padre?

Certo, si trovava di fronte a una grande sfida. A una delle più grandi mai lanciate contro l'umanità. Ed era toccato a lui e a pochi altri raccoglierla. Difficile pensare a qualcosa di più importante. Ma quella sfida non riguardava la sua vita. La sua vita si snodava in un altro contesto. Tsunami, catastrofi dovute al metano ed epidemie non c'entravano nulla. La sua vita era balzata in primo piano con l'annuncio della morte di suo padre. E, per la prima volta da quand'era arrivato, Anawak cominciò a sospettare che proprio là, nel Nunavut, gli veniva offerta la possibilità di trasformare la morte in vita. Anche lui era morto. Ora doveva rinascere.

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