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Anawak aprì la bocca e poi la richiuse.

«Te l'avevo detto che talvolta si rimane di stucco! È venuto a Tofino. Gli avevo dato il mio numero e tu sai che in un certo senso lo trovo… cioè, che in un certo senso condivido il suo punto di vista e…»

Anawak si sforzò di non ridere. «Che c'è una certa comprensione, naturalmente.»

«Be', insomma, è arrivato. Abbiamo bevuto qualcosa allo Schooners e poi siamo andati al pontile. Mi ha raccontato tutto di sé, io gli ho raccontato di me, come succede di solito, si chiacchiera, si chiacchiera e poi improvvisamente… bum… Sai com'è.»

Anawak iniziò a sghignazzare. «E Shoemaker non è contento, eh?»

«Odia Jack!»

«Lo so. Non puoi fargliene una colpa. Che improvvisamente Greywolf ci sia diventato caro — a te in particolare — non cambia il fatto che si sia comportato da bastardo. Per anni, se proprio vuoi saperlo. Lui è un bastardo.»

«Non più di quanto lo sia tu», ribatté lei.

Anawak annuì. Poi si mise a ridere. Con tutte le disgrazie che erano piombate sul mondo, rise della storia d'amore di Alicia, di se stesso e del suo rancore contro Greywolf, che in realtà era solo la rabbia per un'amicizia perduta. Ma rise anche della sua vita degli ultimi anni, della sua esistenza cupa e disperata. Rise di se stesso fino al punto da sentire dolore, e ne provò piacere.

Rideva sempre di più.

Alicia inclinò il capo e lo guardò, sbalordita. «Che c'è da sghignazzare in quel modo?»

«Hai ragione», disse Anawak tra le risate.

«Che vuoi dire con 'hai ragione'? Sei andato fuori di testa?»

Sentì che il suo attacco di euforia si trasformava in una risata isterica, ma non poté farci niente. Era scosso dalle risate. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che aveva riso in quel modo. Ammesso che avesse mai riso così. «Ah, sei impagabile», boccheggiò. «Hai maledettamente ragione. Bastardo. Esatto! Tutti noi. E tu stai con Greywolf. Non ci posso credere. Oh, Cristo!»

Alicia socchiuse le palpebre. «Mi stai prendendo in giro?»

«No, certo che no», ridacchiò lui.

«E invece sì.»

«Ti giuro che è solo…» Improvvisamente gli venne in mente una cosa. E si chiese perché non gli fosse venuta in mente prima. La sua risata si spense. «Dov'è Greywolf?»

«Non lo so. Forse a casa.»

«Jack non è mai a casa. Ma non siete insieme?»

«Mio Dio, Leon! Non ci siamo sposati. Ci divertiamo e ci siamo presi una cotta, ma non è che io controlli ogni suo passo.»

«No», mormorò Anawak. «A lui non andrebbe bene.»

«Perché me lo chiedi? Gli vuoi parlare?»

«Sì.» La prese per le spalle. «Licia, ascoltami. Devo sistemare alcune faccende private. Cerca di scovarlo. Prima di stasera, in modo che a Shoemaker non vada di traverso la cena. Digli che… mi farebbe piacere vederlo. Sì, davvero! Ne sarei felice. Ho letteralmente nostalgia di lui.»

Alicia sorrise, incerta. «Va bene. Glielo dirò.»

«Sei gentile.»

«Voi uomini siete strani. Davvero, caro mio. Siete davvero due scimmie ridicole.»

Anawak andò sulla sua barca, guardò la posta e fece un salto allo Schooners, dove bevve un caffè e chiacchierò coi pescatori. Durante la sua assenza, due uomini avevano avuto un incidente in canoa ed erano morti. Si erano arrischiati a uscire in mare nonostante il divieto. Nemmeno dieci minuti dopo, erano stati attaccati da un'orca. Più tardi, i resti di uno dei due erano riemersi, ma dell'altro non c'era traccia. E nessuno voleva andarlo a cercare.

«Non è un problema loro», disse uno dei pescatori. Stava parlando dei gestori dei grandi cargo, dei traghetti, delle navi fabbrica e della Marina militare. Beveva la sua birra con l'accanimento di chi crede di aver trovato i colpevoli e non permette a niente e a nessuno di addossargli la responsabilità per la sua disperazione. Poi guardò Anawak come se si aspettasse da lui una conferma.

Invece è un problema loro più di quanto tu possa immaginare… Infatti non è che alle loro navi vada meglio, fu tentato di rispondere Anawak. Invece tacque. Non poteva rendere noto il quadro generale, e la gente di Tofino vedeva solo la propria fetta di mondo. Non conosceva le statistiche sull'incremento dei gravi incidenti di cui Peak aveva informato l'unità di crisi.

«Ma, ragazzo mio, per quelli capita tutto al momento giusto!» brontolò l'uomo. «Le grandi flotte di pescherecci stavano già estendendo il loro monopolio, e ora capita questo. Ci hanno portato via tutto quello che ci dava da vivere, e ora ci prendono anche il resto, perché noi piccoli non possiamo più uscire in mare.» Dopo una seconda sorsata dal suo bicchiere, aggiunse: «Dobbiamo far fuori quei maledetti cetacei. Dovremmo far vedere loro chi comanda».

Ovunque era la stessa storia. Nelle poche ore trascorse a Tofiao, aveva sentito le medesime rivendicazioni.

Uccidiamo le balene.

Era stato tutto inutile? Anni di fatiche per riuscire a strappare qualche misera, farraginosa legge? A modo suo, il pescatore frustrato dello Schooners aveva colto nel segno. Dal punto di vista dei piccoli pescatori, quei tragici avvenimenti portavano vantaggi solo ai grandi, perché ormai solo le navi fabbrica potevano percorrere le zone di pesca. E quelli che non avevano mai sopportato i decreti della commissione per la caccia alle balene con le loro rigide quote di pescato e i divieti di caccia, finalmente erano legittimati a riprendere a cacciare.

Anawak pagò il suo caffè e tornò alla stazione. Il negozio era vuoto. Si mise comodo dietro un tavolo, accese il computer e cercò sul web i siti dei programmi militari di addestramento dei mammiferi marini. Era sfiancante. Diverse pagine non potevano essere richiamate. Mentre allo Château aveva accesso a ogni informazione desiderata, la rete aperta soffriva sempre di più a causa dell'interruzione dei cavi sottomarini.

Ma non si lasciò scoraggiare. Trovò la homepage dell'US Navy's Marine Mammal Program, riguardante il lavoro sui mammiferi marini, però le informazioni erano quelle che aveva già visto allo Château. Tutti i migliori giornalisti investigativi avevano scritto dozzine di articoli. Chiuse la pagina e continuò a cercare. Poco dopo, trovò la notizia di un progetto militare dell'ex Unione Sovietica che sembrava molto promettente. Durante la Guerra Fredda, molti delfini, leoni marini e beluga erano stati addestrati per il ritrovamento di mine e di missili andati perduti e per proteggere la flotta nel mar Nero. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, gli animali erano stati portati nell'acquario di Sebastopoli, nella penisola di Crimea, per esibirsi in numeri da circo, finché i proprietari non avevano finito i soldi per il cibo e i medicinali ed erano stati costretti a scegliere se ucciderli o venderli. Alcuni animali erano stati usati nei programmi terapeutici per bambini autistici. Gli altri erano stati venduti all'Iran. E là le loro tracce si perdevano, dal che si poteva presumere che fossero diventati oggetto di nuovi esperimenti militari.

Evidentemente i mammiferi marini avevano vissuto una sorta di rinascita all'interno dei programmi di strategia bellica. Durante la Guerra Fredda, tra Stati Uniti e Unione Sovietica c'era stata una vera e propria corsa agli armamenti, che aveva finito per coinvolgere anche l'efficientissima squadra dei mammiferi marini. Con la fine di quel periodo, sembrava finito anche lo spionaggio coi delfini, ma alla rissa tra le superpotenze non era seguito un ordine mondiale migliore. Il conflitto israelo-palestinese era sfuggito al controllo, destabilizzando tutta la regione. Lontano dagli occhi di tutti, cresceva una nuova generazione di terroristi capace di sabotare le navi da guerra americane. Innumerevoli conflitti internazionali finivano con mine lasciate in acqua, siluri andati perduti e costosissime attrezzature affondate che dovevano essere recuperate. E si era scoperto che, per le operazioni di recupero, i delfini, i leoni marini e i beluga erano molto più adatti dei sommozzatori o dei robot. Nella ricerca delle mine, per esempio, i delfini si erano dimostrati dodici volte più efficienti degli uomini. I leoni marini delle basi militari americane di Charleston e San Diego avevano avuto una percentuale di successo del novantacinque per cento. Sott'acqua, gli uomini potevano lavorare soltanto rinchiusi dentro qualcosa; inoltre avevano un pessimo senso dell'orientamento e, una volta risaliti, dovevano trascorrere ore nelle sale di decompressione. I mammiferi marini, invece, operavano nel loro elemento naturale. I leoni marini riuscivano a vedere anche se le condizioni erano pessime. I delfini erano in grado di orientarsi anche nel buio assoluto grazie al loro sonar, una raffica di vocalizzazioni, dalla cui eco riuscivano a ricavare con precisione incredibile posizione e forma degli oggetti. I mammiferi marini s'immergevano dozzine di volte al giorno a profondità di centinaia di metri. Una piccola squadra di delfini sostituiva navi da milioni di dollari, sommozzatori, equipaggi e strumenti. E sempre — quasi sempre — gli animali tornavano indietro. In trent'anni, la Marina americana aveva perso solo sette delfini.

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