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«Grazie, è molto gentile, ma…»

«Ha ragione», confermò entusiasta il fratello. «Devi bere qualcosa.»

«Io…»

«Fuori c'è il finimondo, bambina mia. Come puoi pretendere di tornare indietro senza avere qualcosa di caldo nella pancia?»

La guardavano tutti e due con gli occhi teneri. Tina sapeva che, se si fosse fermata per un bicchierino, avrebbe dato loro una grande gioia. E perché no? «Uno solo», disse.

I fratelli si sorrisero e fecero un cenno di assenso, felici come se avessero appena conquistato Costantinopoli.

Isole Shetland, Gran Bretagna

L'elicottero si preparò all'atterraggio.

Johanson guardò in basso. Avevano sorvolato la costa, ne avevano seguito il corso e adesso si trovavano sopra il piccolo eliporto dove Karen Weaver lo aspettava. Le scogliere degradavano dolcemente verso est e finivano in un'insenatura arcuata. Da lì in poi il terreno era più piatto. Si allineavano interminabili spiagge di sabbia e ghiaia, e alle loro spalle si stendeva il tipico paesaggio delle Shetland, brullo e coperto di muschio con collinette solcate da strade serpeggianti.

L'eliporto apparteneva a una stazione di osservazione marina che ospitava una mezza dozzina di scienziati. Ma forse era esagerato definire «eliporto» uno spiazzo di pietrisco più o meno rotondo in mezzo a una distesa grigio-verde. La stazione era poco più di un insieme di baracche sghembe. Una strada stretta scendeva dalla collina e finiva in un molo. Johanson non vide neanche una barca. Vicino alle baracche c'erano due fuoristrada e un furgoncino Volkswagen arrugginito. Karen Weaver si trovava là perché stava scrivendo un articolo sulle foche. Usciva in mare con gli scienziati, s'immergeva con loro e abitava con loro nelle baracche.

Un'ultima raffica di vento scosse il Bell, poi finalmente l'elicottero si posò a terra.

«Grazie a Dio ce l'abbiamo fatta», sospirò il pilota.

Al margine del campo d'atterraggio, Johanson scorse una figurina, i cui capelli svolazzavano al vento. Pensò che fosse Karen Weaver e rifletté che gli piaceva come lo stava aspettando lì, in quella landa desolata. Non lontano dalla donna c'era una motocicletta sul cavalletto. Tutto di suo gusto. Un'isola fuori dal tempo e una figura solitaria… Si stiracchiò, rimise nella borsa il libro delle poesie di Whitman e prese il cappotto.

«Per quanto mi riguarda, potremmo farci un altro volo», disse. «Però mi dispiacerebbe far aspettare la signora.»

Il pilota si girò verso Johanson e aggrottò la fronte. «Sta solo recitando la parte del duro o non si è davvero accorto di quello che è successo?»

Johanson cercava d'infilarsi le maniche del cappotto. «Questo dovrà scoprirlo da solo. Lei ha di certo esperienza coi membri dei consigli d'amministrazione.»

«Sì, certo»

«E allora? Sono un duro?»

«Non lo so. Forse sta solo bluffando. La maggior parte di quelli con cui sono stato in viaggio mi avrebbe assordato con le urla.»

«Anche Skaugen?»

«Skaugen?» Il pilota rifletté per un attimo. «No. Credo che nulla possa impressionare Skaugen.»

Mi sarei meravigliato del contrario, pensò Johanson. «Ce la fa a venirmi a prendere domani in tarda mattinata? Diciamo a mezzogiorno?»

«Nessun problema.»

Attese finché il portellone non si aprì, poi scese la scaletta. Era un duro? Nel suo intimo era contento di rimettere i piedi sulla terra. Il pilota doveva ripartire, ma evidentemente non lo considerava un problema perché era abituato ai repentini cambiamenti delle condizioni meteorologiche. Si sarebbe concesso solo una breve pausa e poi sarebbe ripartito per Lerwick, dove avrebbe fatto rifornimento. Johanson si mise in spalla la borsa da viaggio e si avviò verso la figura in attesa. Il cappotto si gonfiava e gli si avvolgeva intorno alle gambe, ma almeno non pioveva.

Karen Weaver gli andò incontro.

Curiosamente, a ogni passo sembrava diventare più piccola. Quando finalmente gli fu davanti, lui valutò che doveva essere alta un metro e sessantacinque. Aveva una corporatura solida: i jeans si tendevano sulle gambe muscolose e, sotto la giacca di pelle, si delineavano larghe spalle. Per quello che Johanson poteva vedere, non era truccata. Però sembrava attraente. L'abbronzatura era dovuta alla vita all'aperto, era frutto del sole cocente… Lo stesso sole che aveva fatto emergere anche le numerose lentiggini, distribuite sugli ampi zigomi e sulla fronte. Il vento smuoveva una cascata di riccioli castani.

Lei lo fissò, interessata. «Lei è Sigur Johanson», esordì con sicurezza. «Com'è stato il volo?»

«Orribile. Mi sono dovuto aggrappare alla rassicurante compagnia di Walt Whitman.» Guardò verso l'elicottero. «Ma il pilota sostiene che sono un duro.»

Lei sorrise. «Vuole mangiare qualcosa?»

Strana domanda da fare subito dopo i saluti, pensò. Poi si rese conto che aveva fame. «Volentieri. Dove?»

Lei fece un cenno col capo verso la motocicletta. «Potremmo andare al villaggio vicino. Se ha sopportato il volo, dovrebbe reggere anche alla Harley. Alla stazione faremmo prima, ma solo nel caso in cui lei abbia una predilezione per il manzo sotto sale e la zuppa di piselli in scatola.»

Johanson la guardò e si accorse che i suoi occhi erano di un insolito blu intenso. Il blu del mare profondo. «Perché no?» disse. «Gli scienziati sono in mare?»

«No, è troppo mosso. Sono al villaggio per fare provviste. Qui sono libera, anche se il massimo della mia arte culinaria è aprire una scatoletta. Venga.»

Johanson la seguì sullo spiazzo sassoso dell'eliporto verso la stazione. L'edificio non appariva così sghembo come gli era sembrato visto dall'alto. «Dove sono le barche?» chiese.

«Preferiamo non lasciarle fuori», spiegò Karen, indicando la baracca più vicina all'acqua. «L'insenatura non è molto protetta, perciò, dopo averle usate, le riportiamo nella baracca vicina al mare.»

Il mare…

Dov'era il mare?

Johanson sobbalzò e si fermò. Là dove, fino a poco prima, i frangenti avevano sferzato la spiaggia, adesso si stendeva una piana fangosa da cui spuntavano rocce piatte. Il mare si era ritirato. Doveva essere successo nel corso degli ultimi minuti. In ampie zone si vedeva solamente il terreno.

Neppure un terremoto avrebbe provocato un effetto simile in così breve tempo. L'acqua si era ritirata per centinaia di metri.

Karen Weaver avanzò ancora di qualche passo, poi si voltò verso di lui. «Che c'è? Non ha più fame?»

Lui scosse la testa. Nelle sue orecchie risuonò un rumore, crebbe, divenne più alto. In un primo momento, lui pensò a un grande aereo che sorvolava l'acqua a bassa quota e che si era fermato sull'isola. Ma quello non era il rumore di un aereo. Sembrava il brontolio di un temporale in avvicinamento, solo che era troppo uniforme… Non potevano essere tuoni e non cessava…

Improvvisamente capì.

Karen Weaver seguì il suo sguardo. «Che diavolo è quello?»

Johanson stava per rispondere, poi però vide l'orizzonte scurirsi. E anche lei lo vide.

«All'elicottero!» gridò.

La giornalista sembrava impietrita. Poi si mise a correre. Insieme corsero verso l'elicottero. Johanson vide la cabina di guida e il pilota che testava gli strumenti. Ci volle qualche secondo perché l'uomo si accorgesse delle due figure lanciate verso di lui. Johanson gli fece segno di abbassare la scaletta. Sapeva che il pilota non poteva vedere quello che stava arrivando dal mare. L'elicottero era girato con la cabina verso l'entroterra.

L'uomo aggrottò la fronte, poi annuì. Il portellone si aprì con un sibilo e la scaletta scese.

Il rimbombo si avvicinava. Era come se tutto il mondo stesse avanzando verso l'isola.

Ed è proprio così, pensò Johanson.

Il posto sbagliato. Il momento sbagliato.

Atterrito e affascinato, si bloccò sulla scaletta, guardando il mare che tornava a ricoprire la piana fangosa. Mio Dio, non è possibile! Non può succedere nella nostra epoca, a persone civili. Era una cosa da libro di storia. Tutti sapevano che, nel corso di milioni di anni, meteoriti, eruzioni vulcaniche e maremoti avevano cambiato la faccia della Terra… Eppure sembrava che, grazie a una sorta di trattato segreto, simili avvenimenti fossero finiti per sempre con l'inizio dell'era tecnologica.

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