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Le forze lo abbandonarono. Le dita della mano destra si staccarono dalla grata di metallo e lui rimase aggrappato col solo braccio sinistro, che prese un colpo tremendo. Gridando come un pazzo, sollevò la testa e vide la torre di trivellazione che si rovesciava e il braccio con la fiamma del gas non più orizzontale sull'acqua, ma verticale, stagliato contro il cielo nero come la pece.

Per un istante sembrò quasi che la fiamma si levasse ancora di più. Un saluto agli dei. Ehi, lassù, stiamo arrivando…

Poi tutto esplose in una nube di braci gialle e Jörensen venne catapultato in mare. Non sentì dolore quando l'avambraccio si strappò, benché la sua mano sinistra fosse ancora aggrappata alla grata. Prima ancora che le fiamme potessero raggiungerlo, lo tsunami si abbatté a tutta velocità contro la piattaforma e distrusse la Gullfaks C. I pilastri di cemento sparirono negli abissi col margine continentale.

Nonno, raccontaci una storia…

Oslo, Norvegia

La donna aveva la fronte imperlata di sudore. «Che vuol dire? Si riferisce a una specie di reazione a catena?»

Apparteneva all'unità di crisi permanente del ministero dell'Ambiente ed era abituata a confrontarsi con gli scenari più devastanti. Conosceva il Geomar e sapeva che non era solito proporre teorie azzardate, quindi cercò di afferrare il più velocemente possibile quello che lo scienziato tedesco le stava dicendo al telefono.

«Non proprio», rispose Bohrmann. «Si tratta piuttosto di un evento simultaneo. La distruzione avviene lungo la scarpata continentale. Ovunque nello stesso momento.»

La donna deglutì. «E… quali zone sarebbero colpite?»

«Dipende da dove avviene esattamente la rottura e da quanto è lunga. Credo che buona parte della costa norvegese sia coinvolta. Le onde di uno tsunami si diffondono per migliaia di chilometri. Dobbiamo informare tutta la popolazione costiera dell'Islanda, della Gran Bretagna, della Germania… Tutti.»

La donna guardò fuori dalla finestra dell'edificio del governo. Pensò alle piattaforme in mare. Erano centinaia fino a Trondheim. «Che conseguenze ci sarebbero per le città costiere?» chiese poi, in tono inespressivo.

«Dovreste evacuarle immediatamente.»

«E per le industrie offshore?»

«Mi creda, è difficile dirlo. Nella migliore delle ipotesi, ci sarà una serie di piccoli scivolamenti. Allora si ballerà solo un po'. Nella peggiore delle ipotesi…»

In quell'istante, la porta si aprì e un uomo dal volto terreo entrò di corsa. Porse alla donna un foglio e le fece cenno di chiudere la conversazione. Lei prese la stampata e diede una scorsa al breve testo. Era la trascrizione di una trasmissione radio. L'aveva mandata una nave.

Thorvaldson, lesse.

Poi andò avanti a leggere e si sentì come se il suolo le oscillasse sotto i piedi.

«Ci sono segnali che annunciano l'arrivo dello tsunami», stava dicendo Bohrmann. «La popolazione sulla costa deve essere informata affinché li possa riconoscere. Un po' prima che si scatenino, si osserva un rapido sollevamento e abbassamento della superficie marina. Più volte di seguito. Un occhio esperto se ne accorge. Dopo dieci o venti minuti, l'acqua si ritira e si allontana dalla riva. Diventano visibili scogliere e rocce che normalmente sono sott'acqua. Al più tardi in quel momento bisogna recarsi nelle zone più elevate.»

La donna non replicava, lo ascoltava appena. All'inizio della telefonata aveva cercato d'immaginare che cosa sarebbe successo se le parole dell'uomo al telefono avessero avuto un fondo di verità. Ora immaginava quello che stava già succedendo.

Sveggesundet, Norvegia

Tina Lund stava morendo di noia.

Era sciocco starsene in quel ristorante deserto a bere caffè. Ogni forma d'inattività le sembrava una tortura. L'aiuto cuoca era stata gentile e aveva acceso per lei la macchina per il caffè espresso. Il cappuccino era buonissimo e, nonostante il cattivo tempo e la visibilità ridotta, dalla grande finestra panoramica si godeva una splendida vista sul mare. Ma per Tina quell'attesa era insopportabile.

Stava prendendo col cucchiaio la schiuma di latte nella tazza, allorché qualcuno entrò, portando con sé una folata di vento. «Ciao, Tina.»

Lei alzò lo sguardo. Era un amico di Kare e lei lo conosceva solo come Åke. Noleggiava barche a Kristiansund e, nei mesi estivi, guadagnava un sacco di soldi.

Scambiarono qualche parola sul tempo, poi Åke chiese: «Che cosa fai qui? Una visita a Kare?»

«Era mia intenzione», disse Tina con un sorriso tirato.

Åke la guardò con aria stupita. «Allora come mai te ne stai qui da sola? Perché quello stupido non è dove dovrebbe essere, cioè vicino a te?»

«Colpa mia. Sono arrivata in anticipo.»

«Chiamalo.»

«L'ho fatto. Segreteria telefonica.»

«Ah, giusto!» Åke si diede una pacca sulla fronte. «Dov'è ora non c'è campo.»

Tina drizzò le orecchie. «Sai dov'è?»

«Sì, poco fa ero con lui all'Hauffen.»

«L'Hauffen? La distilleria?»

«Sì. Comprava delle grappe. Ne abbiamo assaggiata qualcuna, ma… Tu conosci Kare. Beve meno alcol di un monaco in quaresima e mi sono dovuto sobbarcare da solo gli assaggi.»

«È ancora là?»

«Quando me ne sono andato, stava ancora in taverna a chiacchierare. Perché non vai lassù? Sai dov'è l'Hauffen?»

Tina lo sapeva. La piccola distilleria, che produceva un'ottima acquavite non destinata all'esportazione, si trovava su un altopiano a sud, a dieci minuti di cammino. Se avesse preso la strada verso l'interno, in macchina sarebbe arrivata in due minuti. Tuttavia le piaceva l'idea di fare una breve passeggiata. Era stata seduta fin troppo. «Vado a piedi», annunciò.

«Con questo tempaccio?» Åke fece una smorfia. «Be', fai come vuoi. Ma sta' attenta che ti cresceranno le pinne.»

«Sempre meglio che le radici.» Si alzò e lo ringraziò per l'informazione. «A dopo. Tornerò con lui.»

Una volta fuori, si tirò sulla testa il cappuccio della giacca, scese verso la spiaggia e si mise in marcia a fatica. Nei giorni limpidi, da lì si poteva vedere la piccola distilleria. Ora essa appariva come un'ombra grigia nella pioggia che cadeva di traverso.

Sarebbe stato felice di vederla?

Incredibile! Ragionava come un'adolescente innamorata. Tina Lund, incapace d'intendere e di volere. Certo che sarebbe stato felice. Poteva essere diversamente?

Si allontanò dal Fiskehuset, facendo scorrere lo sguardo sul mare. Si rese conto che poco prima si era sbagliata. Aveva pensato che la spiaggia rocciosa fosse più grande del solito, invece era come sempre. No, sembrava addirittura più stretta.

Per un attimo si bloccò.

Com'era possibile sbagliarsi a quel modo?

Forse era a causa della tempesta. Le onde si spingevano verso l'interno, ma non sempre con la stessa profondità. Probabilmente ora stavano diventando più violente. Scrollò le spalle e andò avanti.

Era bagnata da capo a piedi quando entrò nella distilleria, ma nel piccolo ingresso non trovò nessuno. Sulla parete opposta c'era una porta di legno aperta. Dalla cantina arrivava una luce. Non esitò e scese. Trovò due uomini appoggiati a una botte con un bicchiere in mano, intenti a conversare. Erano i fratelli proprietari della distilleria, due vecchi signori gentili con la faccia scavata dal tempo. Kare non c'era.

«Mi dispiace», disse uno dei due. «È andato via da qualche minuto. L'hai mancato per un pelo.»

«Era a piedi?» chiese. Forse avrebbe potuto raggiungerlo.

«No.» L'altro scosse la testa. «Col fuoristrada. Ha comprato qualcosa. Non molto, ma troppo per portarlo a piedi.»

«Ha detto se voleva tornare al ristorante?»

«Sì, stava andando al ristorante.»

«Okay. Grazie.»

«Ehi, aspetta.» Il più vecchio si staccò dalla botte e si avvicinò. «Dato che sei venuta per niente, almeno beviti un goccetto con noi. È un'assurdità venire in una distilleria e andarsene sobri!»

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