Malgrado tutte queste argomentazioni logiche, il comandante Hoag Liebler continuò a sentirsi a disagio.
Si trovava sul ponte di volo, durante le quattro ore per raggiungere il punto di traslazione al sistema solare Tau Ceti, quando dalla Uriele giunse il messaggio di priorità: cinque cacciatorpediniere Ouster, classe navi torcia, si erano nascoste nel toroide di pulviscolo di particelle caricate della luna interna della gigante gassosa all’esterno del sistema e ora tentavano la fuga verso il punto di traslazione, usando il sole di tipo G come schermo fra loro e la task force Gedeone. La Gabriele e la Raffaele dovevano deviare dall’arco di traslazione quanto bastava a trovare una traiettoria di fuoco per i missili ipercinetici C-più ancora a disposizione, distruggere le navi torcia e riprendere l’uscita dal sistema Lucifero. La Uriele stimava che le due Arcangelo avrebbero potuto raggiungere la velocità di traslazione circa otto ore dopo la partenza delle altre Arcangelo.
Il padre capitano de Soya confermò di avere ricevuto il messaggio e ordinò di modificare la rotta; il comandante in seconda Liebler controllò il traffico radio, imitato dalla madre capitano Stone, a bordo della Gabriele. "L’ammiraglio non si lascia alle spalle la Raffaele da sola" pensò Liebler. "I miei padroni non sono gli unici a non fidarsi di de Soya."
Non era una caccia entusiasmante, non era neppure una vera caccia, a pensarci bene. Vista la dinamica gravitazionale di quel sistema, le navi torcia Ouster, dotate del vecchio motore Hawking, avrebbero impiegato circa quattordici ore a raggiungere la velocità relativistica prima della traslazione. Le due Arcangelo sarebbero state in posizione di fuoco entro quattro ore. Gli Ouster non avevano armi che potessero attraversare tutto il sistema solare per danneggiare le Arcangelo: pur a corto di missili ipercinetici, la Gabriele e la Raffaele avevano armi sufficienti a distruggere decine di volte le cinque navi torcia. Se ogni arma avesse fatto fiasco, avrebbero usato gli odiati raggi della morte.
Quando le due Arcangelo girarono intorno al sole per aprire il fuoco, Liebler aveva il comando, il prete capitano si era ritirato nel suo alloggio per riposare qualche ora. Il resto della task force Gedeone aveva già da tempo effettuato la traslazione. Mentre Liebler si girava nel sediolo antiaccelerazione per chiamare al citofono il capitano, il diaframma a iride si spalancò ed entrarono il padre capitano de Soya e vari altri. Per un momento Liebler dimenticò i propri sospetti, dimenticò persino che lo pagavano per essere sospettoso, e strabuzzò gli occhi nel vedere quell’inverosimile gruppo. Accanto al capitano c’era il sergente delle guardie svizzere, Gregorius, e due suoi soldati. E poi il comandante Carel Shan, ufficiale dei sistemi di fuoco, il tenente Pol Denish, ufficiale dei sistemi energetici, il comandante Bettz Argyle, ufficiale dei sistemi ambientali e il tenente Elijah Hussein Meier, ingegnere dei sistemi propulsivi.
«Che diavolo…» cominciò Liebler, comandante in seconda e si fermò. Il sergente delle guardie svizzere impugnava uno storditore neurale e lo teneva puntato contro il viso di Liebler.
Da settimane Hoag Liebler portava, nascosta nello stivale, una pistola a fléchettes, ma in quel momento se ne dimenticò completamente. Nessuno aveva mai puntato un’arma su di lui, nemmeno uno storditore, e l’effetto gli faceva venire voglia di farsela addosso. Liebler si concentrò per non rilasciare la vescica. Cosa che lasciava poco spazio per concentrarsi su altro.
Uno dei soldati di Gregorius, una donna, si avvicinò a Liebler e gli tolse dallo stivale la pistola. Liebler rimase a fissare l’arma come se non l’avesse mai vista prima.
«Hoag» disse il padre capitano de Soya «mi dispiace per questa faccenda. Abbiamo votato e abbiamo deciso che non c’era tempo per un tentativo di convincerti a unirti a noi. Dovrai stare via per un poco.»
Attingendo a piene mani da tutti i dialoghi ascoltati negli olodrammi, Liebler cominciò a protestare violentemente: «Non ve la caverete mai. La Gabriele vi distruggerà. Sarete torturati e impiccati. Vi strapperanno il crucimorfo…».
Lo storditore nel pugno del gigantesco sergente emise un ronzio. Hoag Liebler sarebbe caduto di faccia sul ponte, se la donna non l’avesse afferrato al volo e deposto delicatamente sul pavimento.
Il padre capitano de Soya prese posto nel sediolo di comando. «Cambia subito rotta» ordinò al tenente Meier al timone. «Inserisci le nostre coordinate di traslazione. Piena accelerazione di emergenza. Pronti per il combattimento.» Lanciò un’occhiata a Liebler. «Mettetelo nella culla di risurrezione regolata su "deposito".»
I soldati portarono via il comandante in seconda privo di conoscenza.
Ancora prima di ordinare che il campo di contenimento interno della nave fosse posto a gravità zero per manovre di battaglia, il padre capitano de Soya provò quel breve ma esilarante senso di volare che si avverte l’istante dopo il balzo da uno strapiombo, prima che la forza di gravità riaffermi i suoi obblighi assoluti. A dire il vero, in quel momento la nave gemeva sotto un’accelerazione superiore a seicento g, quasi il 180 per cento della spinta normale. Una qualsiasi interruzione del campo di contenimento avrebbe ucciso tutti in meno di un istante. Ma il punto di traslazione distava adesso meno di quaranta minuti.
De Soya non era sicuro di fare la cosa giusta. Riteneva il pensiero di tradire la Chiesa e la Flotta della Pax la cosa più terribile al mondo. Ma se aveva davvero un’anima immortale, non poteva fare diversamente.
A essere sinceri, aveva pensato addirittura a un miracolo, o almeno a un assai improbabile colpo di fortuna, quando altri sette si erano dichiarati disposti a seguirlo in quell’ammutinamento condannato già in partenza. Otto, lui incluso, su un equipaggio di ventotto. Gli altri venti ora dormivano nelle culle di risurrezione, dopo una scarica di storditore neurale. De Soya sapeva che loro otto bastavano a manovrare la Raffaele nella maggior parte delle situazioni: aveva avuto la fortuna — o la benedizione — che diversi ufficiali indispensabili al volo si fossero uniti a lui. All’inizio pensava che avrebbe avuto soltanto l’aiuto di Gregorius e dei suoi due giovani soldati.
Il primo cenno a un possibile ammutinamento era giunto dalle tre guardie svizzere, dopo la "pulizia" del secondo asteroide incubatrice nel sistema Lucifero. Malgrado i giuramenti alla Pax, alla Chiesa e al corpo delle guardie svizzere, pensavano che il massacro di neonati fosse troppo simile all’assassinio. I soldati Dona Foo ed Enos Delrino erano andati prima dal loro sergente e poi, con Gregorius, si erano presentati al confessionale del padre capitano de Soya e avevano parlato del progetto di disertare. Avevano chiesto l’assoluzione, se avessero deciso di abbandonare la nave nel sistema Ouster. De Soya li aveva invitati a prendere in considerazione un piano alternativo.
L’ingegnere di sistemi propulsivi, tenente Elijah Hussein Meier, aveva espresso in confessione i medesimi scrupoli. Nell’assistere al totale massacro dei magnifici angeli a campo di forza, che aveva guardato nello spazio tattico, si era nauseato e aveva desiderato di tornare alle sue religioni ancestrali, giudaica e islamica. Invece era andato a confessarsi per ammettere il proprio indebolimento spirituale. Il padre capitano de Soya lo aveva stupito, sostenendo che i suoi scrupoli non erano in conflitto con il cristianesimo.
Nei giorni successivi, l’ufficiale dei sistemi ambientali, comandante Bettz Argyle, e l’ufficiale dei sistemi energetici, tenente Pol Denish, avevano dato retta alla propria coscienza e si erano accostati al confessionale. Denish era stato il più duro da convincere, ma dopo lunghe conversazioni sottovoce con il suo compagno di branda, tenente Meier, aveva ceduto.