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Durante le tre ore di conferenza fu deciso che "probabile distruzione" era inaccettabile: contro simili bersagli difficili avrebbero dovuto sparare una salva di almeno cinque missili ipercinetici IA-pilotati, ricuperando quelli non usati solo quando ci fosse stata la certezza di avere distrutto le tre unità nemiche. Seguì una discussione su che cosa bisognava ritenere sacrificabile, sui ritmi di fuoco e sulle equazioni distruzione/mantenimento/riserva in una missione come l’attuale, dove non sarebbe stato possibile fare rifornimento. Fu decisa una strategia in base alla quale una Arcangelo sarebbe penetrata in ogni sistema solare trenta minuti luce prima delle altre, in modo da servire come "punta" per attirare tutti i sensori, mentre un’altra l’avrebbe seguita a mezz’ora luce di distanza per cancellare ogni "probabile".

Dopo un giorno di ventidue ore, trascorso in gran parte ai posti di combattimento, con tutto il personale impegnato a combattere il disorientamento emotivo post-risurrezione, la Uriele trasmise su banda criptata le coordinate di balzo per un sistema notoriamente infestato da Ouster; le sette Arcangelo accelerarono verso il punto di traslazione e il padre capitano de Soya fece il giro della nave per scambiare qualche parola col suo nuovo equipaggio e "rimboccare a tutti le coperte". Tenne per ultimi il sergente Gregorius e le sue cinque guardie svizzere.

Una volta, durante il lungo inseguimento per la galassia sulle orme della bambina chiamata Aenea, dopo avere trascorso insieme parecchi mesi sulla vecchia Raffaele, il padre capitano de Soya si stufò di chiamare per nome e per grado il sergente Gregorius; allora consultò lo stato di servizio del suo subalterno per scoprire quale fosse il suo nome di battesimo. Con sorpresa trovò invece che il sergente aveva un solo nome. Il gigantesco sottufficiale era cresciuto sul continente settentrionale del pianeta paludoso Patawpha, in una società di guerrieri dove ciascuno nasceva con otto nomi, sette dei quali erano "nomi deboli", e solo i superstiti delle "sette prove" avevano il privilegio di scartare i "nomi deboli" ed essere conosciuti col solo "nome forte". L’IA della nave aveva detto al padre capitano che, su circa trecento guerrieri che tentavano le "sette prove", solo uno sopravviveva e riusciva a scartare i suoi "nomi deboli". Il computer non aveva dati sulla natura di quelle prove. Lo stato di servizio riportava inoltre che Gregorius era stato il primo scozzese-maori di Patawpha a guadagnarsi una decorazione nei marines e poi a essere scelto per fare parte delle elitarie guardie svizzere. De Soya aveva sempre avuto intenzione di domandare al sergente in che cosa consistessero le "sette prove", ma non aveva mai trovato il coraggio di chiederglielo.

Quel giorno, quando de Soya scese il pozzo a gravità zero e varcò il punto morbido del diaframma a iride del quadrato ufficiali, il sergente Gregorius fu così contento di vederlo da dare l’impressione di volerlo abbracciare. Invece agganciò a una sbarra i piedi scalzi, scattò sull’attenti e gridò: «Quadrato, attentì!» I suoi cinque soldati smisero ogni cosa che stavano facendo — leggere, pulire o smontare armi — e cercarono di mettere paratia sotto i piedi. Per un momento il quadrato ufficiali fu cosparso di oggetti galleggianti in assenza di gravità, grafer, riviste, pulsolame, tute blindate, parti di lance a energia.

Il padre capitano de Soya rivolse un cenno al sergente e passò in rivista i cinque commandos, tre uomini e due donne, tutti terribilmente giovani. Erano anche snelli, muscolosi, perfettamente avvezzi all’assenza di gravità, proprio fatti per la battaglia. Tutti e cinque erano veterani di guerra. Ciascuno di loro si era distinto al punto da essere scelto per la missione. De Soya vide in loro l’ansia di combattere e si sentì rattristare.

Dopo qualche minuto per la rassegna, la presentazione e le chiacchiere "da comandante a commando", de Soya segnalò a Gregorius di seguirlo e con un calcio si diede la spinta per passare dal punto morbido di prua alla sala di lancio. Quando furono soli, il padre capitano de Soya tese la mano. «Sono maledettamente contento di rivederti, sergente.»

Gregorius gli strinse la mano e sorrise. Aveva sempre lo stesso viso dalla mascella quadrata, segnato da cicatrici, capelli tagliati corti e l’ampio e vivace sorriso che de Soya ricordava. «Maledettamente contento di rivederla, padre capitano. Ma da quando la sua parte sacerdotale ha cominciato a usare parole forti, signore?»

«Da quando sono stato promosso comandante di questa nave, sergente» rispose de Soya. «Come te la sei passata?»

«Bene, signore. Molto bene.»

«Hai partecipato all’incursione Sant’Antonio e allo scontro del Saliente Sagittario» disse de Soya. «Eri col caporale Kee, prima che morisse?»

Il sergente Gregorius si sfregò il mento. «Nossignore. Ero al Saliente due anni fa, ma non ho visto Kee. Ho sentito dire che il suo trasporto truppe è stato vaporizzato, ma lui non l’ho visto. Anche un paio di altri miei amici era a bordo, signore.»

«Mi spiace» disse de Soya. Galleggiavano goffamente accanto a una delle navicelle di deposito dei missili ipercinetici. Il padre capitano trovò un appiglio e si girò in modo da guardare negli occhi Gregorius. «Hai superato senza problemi l’interrogatorio, sergente?»

Gregorius scrollò le spalle. «Mi hanno trattenuto su Pacem qualche settimana, signore. Hanno continuato a farmi la stessa domanda in forme diverse. Non credevano a quanto è accaduto su Bosco Divino… quella donna demoniaca e lo Shrike. Alla fine si sono stufati di farmi domande, mi hanno degradato a caporale e mi hanno imbarcato.»

De Soya sospirò. «Mi dispiace, sergente. Ti avevo raccomandato per una promozione e un encomio.» Ridacchiò tristemente. «Non ti ha giovato molto. Ma per fortuna non siamo stati scomunicati e poi giustiziati.»

«Sì, signore» disse Gregorius, con un’occhiata al variabile campo di stelle che si vedeva dal portello. «Non erano contenti di noi, quest’è certo.» Guardò de Soya. «Ho sentito dire che le hanno tolto l’incarico e tutto il resto.»

Il padre capitano de Soya sorrise. «Mi hanno degradato a prete di parrocchia.»

«Su un pianeta polveroso, deserto e privo d’acqua, correva voce. Un posto dove il piscio si vende a dieci marchi a stivalata.»

«Vero» disse de Soya, sempre sorridendo. «Madrededios. Il mio pianeta natale.»

«Ah, merda, signore» disse Gregorius, imbarazzato. «Non volevo mancare di rispetto. Cioè… ecco… non volevo…»

De Soya gli toccò la spalla. «Niente, niente. Hai ragione. Laggiù il piscio si vende davvero… ma a quindici marchi, non dieci, a stivalata.»

«Sissignore» disse Gregorius, rosso in faccia.

«E, sergente…»

«Sì, signore?»

«Reciterai quindici Ave Maria e dieci Pater Noster per l’uso di quella espressione scatologica. Sono sempre il tuo confessore, sai.»

«Sissignore.»

De Soya sentì il formicolio dell’impianto e nello stesso istante dai comunicatori della nave provenne uno scampanellio. «Trenta minuti alla traslazione» disse il padre capitano. «Metti in culla i tuoi pivelli, sergente. Questo balzo è vero.»

«Sì, certo, signore.» Con un calcio Gregorius si proiettò verso il punto morbido, ma si fermò proprio mentre il diaframma a iride si apriva. «Padre capitano?»

«Sì, sergente.»

«È solo una sensazione» disse Gregorius, corrugando la fronte. «Ma ho imparato a fidarmi delle mie sensazioni, signore.»

«Ho imparato anch’io a fidarmene, sergente. Di che si tratta?»

«Si guardi alle spalle, signore. Voglio dire… niente di definito, signore. Ma si guardi alle spalle.»

«Certo, certo» disse il padre capitano de Soya. Aspettò che Gregorius tornasse nel quadrato ufficiali e che il punto morbido del diaframma si chiudesse; allora si diresse al pozzo principale e alla culla dove sarebbe morto e risuscitato.

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