«Le navi avranno un complemento di marines e di guardie svizzere» proseguì Lourdusamy. «Ci auguriamo che sopraffacciano e/o distruggano quella creatura…»
"Mia madre mi ha insegnato a non fidarmi mai di chi usa l’espressione e/o" pensò Mustafa. «Ma certo» disse. «Celebrerò una messa tenendo in mente questa preghiera.»
Lourdusamy sorrise. Il Santo Padre alzò gli occhi dall’albero in miniatura.
«Per l’appunto» disse Lourdusamy e in quelle parole Mustafa udì il ronfare di un gatto troppo nutrito che balzasse su quello sventurato sorcio del Grande Inquisitore. «Concordiamo che sia più una faccenda di fede che di Flotta. Lo Shrike, come fu rivelato al Santo Padre più di due secoli fa, è un vero demone, forse il principale agente del Tenebroso.»
Mustafa poté solo annuire.
«Riteniamo che solo il Sant’Uffizio sia adeguatamente addestrato, attrezzato e preparato, spiritualmente e materialmente, a investigare nel giusto modo su questa comparsa… e a salvare la sventurata popolazione di Marte.»
"Eccomi elegantemente fottuto" pensò il cardinale John Domenico Mustafa, Grande Inquisitore e prefetto della Sacra congregazione per la dottrina della fede, altrimenti nota come Suprema congregazione della Santa Inquisizione dell’Errore eretico. Automaticamente recitò tra sé un atto di dolore per quel pensiero osceno.
«Capisco» disse, in realtà senza capire niente, ma sorridendo per l’ingegnosità dei suoi nemici. «Designerò immediatamente una commissione…»
«No, no, Domenico» intervenne Sua Santità, avvicinandosi a toccare il braccio del Grande Inquisitore. «Devi partire all’istante. Questa… materializzazione… del demone minaccia l’intero Corpo di Cristo.»
«Partire…» ripeté come uno stupido il cardinale Mustafa.
«Una nave classe Arcangelo, una delle più recenti, è stata requisita alla Flotta della Pax» disse vivacemente Lourdusamy. «Ha un equipaggio di ventotto persone, ma puoi portare con te fino a un massimo di ventuno membri del tuo staff e del servizio di sicurezza, ventuno oltre te, naturalmente.»
«Naturalmente» ripeté il cardinale Mustafa e sorrise davvero. «Naturalmente.»
«Al momento la Flotta della Pax combatte contro gli agenti materiali di Satana, gli Ouster» rombò Lourdusamy. «Ma questa demoniaca minaccia va affrontata, e sconfitta, dal sacro potere della Chiesa stessa.»
«Naturalmente» disse il Grande Inquisitore. "Marte" pensò. "Il più remoto foruncolo nel buco del culo dell’universo civilizzato. Tre secoli fa, avrei potuto usare l’astrotel, ma ora sarò tagliato fuori, finché mi terranno laggiù. Niente informazioni segrete. Nessuna possibilità di dirigere i miei uomini. E lo Shrike… Se il mostro è sempre controllato dalla blasfema Intelligenza Finale del Nucleo, può anche essere programmato per uccidermi appena mi presento. Splendido piano."
«Naturalmente» ripeté. «Santo Padre, quando parto? Se potessi avere qualche giorno, un paio di settimane, per sistemare le questioni correnti del Sant’Uffizio…»
Il papa sorrise e gli strinse il braccio. «L’Arcangelo aspetta di trasportare te e i tuoi collaboratori entro oggi, Domenico. Sei ore da questo momento sarebbe l’ideale, ci dicono.»
«Naturalmente» disse per l’ultima volta il cardinale Mustafa. Piegò il ginocchio per baciare l’anello del papa.
«Dio ti accompagni e ti protegga sempre» disse il Santo Padre, toccando la testa china del Grande Inquisitore e impartendogli in latino la benedizione formale.
Baciando l’anello, sentendo sulle labbra il freddo della pietra e del metallo, il cardinale Mustafa sorrise tra sé ancora una volta al pensiero dell’astuzia di coloro che aveva contato di raggirare e mettere nel sacco.
Il padre capitano de Soya non ebbe l’occasione di parlare col sergente Gregorius fino agli ultimi minuti del primo balzo della Raffaele al di là della Periferia.
Quel primo balzo era un’azione di addestramento in un sistema non riportato sulle carte, a venti anni luce dalla Grande Muraglia. Come Epsilon Eridani, la stella di quel sistema era un sole tipo K; a differenza di Epsilon Eridani, una nana arancione, quel sole era una gigante azzurra tipo Arcturus.
La task force Gedeone traslò senza incidenti, le nuove culle automatiche per la risurrezione in due giorni funzionarono senza intoppi e il terzo giorno le sette navi classe Arcangelo si trovarono a decelerare nel sistema solare della stella gigante, giocando a gatto e topo tattico con le nove navi torcia classe Hawking che le avevano precedute dopo mesi di viaggio con debito temporale. Le navi torcia avevano ricevuto l’ordine di nascondersi nel sistema solare. Il compito delle Arcangelo era di scoprirle e di distruggerle.
Tre delle navi torcia erano molto lontane, nella Nube di Oort, librate tra le protocomete lì esistenti, a motore spento; mantenevano il silenzio radio e tenevano al minimo i sistemi interni. La Uriele le individuò da una distanza di 0,86 anni luce e lanciò tre missili ipercinetici virtuali Hawking. De Soya si mantenne con gli altri capitani nello spazio tattico (il sole di quel sistema era a livello della loro cintola, le code di fiamma lunghe duecento chilometri dei sette motori a fusione delle Arcangelo, simili a graffi di diamante su vetro nero, erano a livello del petto) e guardò gli ologrammi appannarsi, formarsi e smaterializzarsi nella Nube di Oort, seguì la traslazione dallo spazio Hawking dei teorici missili ipercinetici a ricerca automatica e la successiva ricerca delle navi torcia in stasi, e registrò sulla tabella del totalizzatore tattico due unità nemiche virtualmente distrutte e una con "gravi danni sicuri, distruzione molto probabile".
Quel sistema solare non aveva veri e propri pianeti, ma quattro delle restanti navi torcia furono scoperte in agguato all’interno del disco di accrescimento planetario sul piano dell’eclittica. La Remiele, la Gabriele e la Raffaele attaccarono da molto lontano e registrarono unità nemiche distrutte, prima che i sensori delle navi torcia potessero rilevare la presenza degli intrusi.
Le ultime due navi torcia si nascondevano nell’eliosfera della stella gigante tipo K: si erano schermate con campi di contenimento classe dieci e dissipavano il calore mediante monofilamenti a strascico lunghi un milione di chilometri. La Flotta della Pax non vedeva di buon occhio quel genere di manovra durante un attacco simulato, ma de Soya sorrise suo malgrado per l’audacia dei due capitani: era il genere di mossa che lui stesso avrebbe fatto, dieci anni standard prima.
Quelle ultime navi torcia sbucarono dalla stella a grande velocità, dissipando calore sullo spettro visibile, due ardenti protostelle sputate fuori dal proprio gigantesco genitore, e cercarono di attaccare la task force che nello stesso istante saettava per il sistema a tre quarti della velocità della luce. La Arcangelo più vicina, la Sariele, le distrusse senza sottrarre un erg di energia al campo classe trenta che doveva mantenere cento chilometri davanti alla prua per aprirsi un varco nel sistema intasato di molecole. Terribili velocità come quelle esigevano un terribile prezzo, se i campi venivano a mancare per un solo istante.
Poi, mentre l’ammiraglio Aldikacti brontolava per il "probabile" nella Nube di Oort, la task force decelerò violentemente in un grande arco intorno alla stella gigante, in modo che tutti i comandanti e gli ufficiali in seconda potessero incontrarsi in spazio tattico per discutere lo scontro simulato, prima che la task force Gedeone traslasse nello spazio Ouster.
Secondo de Soya, quelle conferenze erano solo fonte di superbia: trenta e passa fra uomini e donne, in uniforme della Pax, in piedi come giganti (nel caso specifico, seduti come giganti, poiché come piano di un tavolo virtuale usavano l’eclittica) a discutere bersagli centrati e strategie e insufficienze d’equipaggiamento e ritmi di acquisizione, mentre il gigantesco sole splendeva vividamente al centro dello spazio e le navi ingrandite si muovevano nelle loro lenti ellissi newtoniane come braci ardenti su velluto nero.