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Il padre capitano de Soya non urlava. Vedevo benissimo che si sforzava di non gridare per il dolore. Ma rimase silenzioso, occhi concentrati nel terribile sforzo di stare in silenzio, finché Aenea non si inginocchiò al suo fianco.

Sulle prime de Soya non la riconobbe. «Bettz?» borbottò. «Argyle? No… sei morta nella tua postazione. Anche gli altri… Pol Denish… Elijah nel tentativo di liberare la scialuppa di poppa… i giovani soldati nel cedimento dello scafo a prua… ma mi pare… di conoscerti.»

Aenea cercò di prendergli la mano, vide che a de Soya mancavano tre dita, allora appoggiò la mano accanto a quella del prete capitano, sulla coperta macchiata. «Padre capitano» disse pianissimo.

«Aenea» disse de Soya, vedendola realmente per la prima volta. «Sei la bambina… quanti mesi a darti la caccia… ti ho vista uscire dalla Sfinge. Incredibile bambina. Sono felice che tu sia sopravvissuta.» Spostò lo sguardo su di me. «Raul Endymion. Ho visto il tuo dossier della Guardia nazionale. A momenti ti prendevo, su Mare Infinitum.» Fu travolto da un’ondata di dolore, chiuse gli occhi, si morsicò le labbra ustionate e insanguinate. Dopo un istante riaprì gli occhi e si rivolse a me. «Ho una cosa che ti appartiene. Bagaglio personale sulla Raffaele. Finita l’indagine, il Sant’Uffizio mi permise di tenerlo. Il sergente Gregorius te lo darà, dopo la mia morte.»

Risposi con un cenno d’assenso, ma non sapevo di che cosa parlasse, non ne avevo la minima idea.

«Padre capitano de Soya» bisbigliò Aenea «Federico… riesce a capirmi?»

«Sì» mormorò il prete capitano. «Analgesici… ho detto no al sergente Gregorius… non volevo scivolare via per sempre nel sonno. Andarmene dolcemente.»

Il dolore tornò. Vidi che gran parte del collo e del petto di de Soya si era screpolata e aperta, come scaglie bruciate. Pus e siero colavano sulle coperte sotto di lui. Il prete capitano chiuse gli occhi, finché l’ondata di sofferenza non diminuì; occorse più tempo, stavolta. Pensai a come mi ero piegato in due per il semplice dolore di un calcolo renale e cercai di immaginare il tormento di quell’uomo. Non ci riuscii.

«Padre capitano» disse Aenea «c’è per lei un modo di vivere…»

De Soya scosse con forza la testa, malgrado il dolore che di sicuro il gesto gli procurava. Aveva l’orecchio sinistro praticamente carbonizzato: un pezzetto si staccò e cadde sul cuscino. «No!» esclamò. «Ho detto a Gregorius… niente risurrezione parziale… un idiota, un idiota asessuato…» Un colpo di tosse che forse era una risata. «Mi è bastato, come prete. Comunque… sono stanco… stanco di…» Con i moncherini anneriti delle dita si batté la rosea doppia croce sul petto squamato e purulento. «Che muoia con me.»

Aenea annuì. «Non intendevo la risurrezione, padre capitano. Voglio dire vivere! Guarire.»

De Soya cercò di battere le palpebre, ma non ci riuscì: anche quelle erano bruciate. «Non prigioniero della Pax…» ansimò. Trovava l’aria per parlare solo quando esalava il respiro in un ansito tormentoso. «Mi… giustizieranno. Lo… merito. Ho ucciso molti innocenti… per difendere… gli amici.»

Aenea si chinò su di lui, in modo da farsi guardare negli occhi. «Padre capitano, la Pax dà ancora la caccia anche a noi. Ma abbiamo una nave. Con un robochirurgo.»

Il sergente Gregorius, stancamente appoggiato alla parete, mosse un passo. Carel Shan rimase incosciente. Hoag Liebler, perduto in chissà quale miseria privata, non reagì.

Aenea fu costretta a ripetere la frase, prima che de Soya capisse.

«Nave?» disse il prete capitano. «L’antica nave dell’Egemonia che vi permise la fuga? Disarmata, vero?»

«Sì» disse Aenea. «Non è mai stata armata.»

De Soya scosse di nuovo la testa. «Saranno state… cinquanta navi… classe Arcangelo… ad assalirci. Ne abbiamo… distrutte alcune… le altre… ancora lì… Nessuna possibilità… di raggiungere… un punto… di traslazione… prima che…» Chiuse di nuovo le palpebre, travolto dal dolore. Stavolta fu quasi portato via. Si riprese, come se tornasse da un luogo remoto.

«Tutto a posto» bisbigliò Aenea. «Ci penserò io. Lei sarà nel medibox. Ma c’è una cosa che dovrà fare.»

Il padre capitano de Soya parve troppo stanco per parlare, ma spostò la testa per ascoltare.

«Deve rinunciare al crucimorfo» disse Aenea. «Deve rinunciare a questo tipo d’immortalità.»

Il prete capitano ritrasse in una smorfia le labbra annerite. «Volentieri…» gracchiò «ma non posso… una volta accettato… crucimorfo… non si può… rinunciare…»

«Sì, si può» bisbigliò Aenea. «Se lei vuole, posso farlo sparire. Il nostro robochirurgo è vecchio. Non riuscirebbe a guarirla con il corpo infestato dal parassita. A bordo non abbiamo una culla di risurrezione…»

Allora de Soya allungò la mano verso di lei, con le due dita restanti le afferrò strettamente la manica del giubbotto termico. «Non importa… non importa se muoio… toglimelo. Toglimelo! Morirò da vero… cattolico… di nuovo… se puoi… aiutarmi… toglimelo!» Quasi gridò l’ultima parola.

Aenea si rivolse al sergente. «Ha una tazza o un bicchiere?»

«C’è la tazza del medikit» borbottò il gigante, cercandola. «Ma non abbiamo acqua…»

«Io ne ho un poco» disse la mia amica. Sganciò dalla cintura la borraccia con rivestimento isolante.

Mi aspettavo il vino, invece era solo l’acqua che avevamo messo nella borraccia prima di lasciare il Tempio a mezz’aria, un’infinità di ore fa. Aenea non si preoccupò di cercare tamponi disinfettanti o bisturi sterilizzati; mi chiamò vicino a lei, mi tolse dal cinturone il coltello da caccia e si passò la lama su tre polpastrelli, con un rapido movimento che mi fece accapponare la pelle. Il suo sangue fluì, rosso. Aenea tuffò le dita nella tazza di plastica trasparente, solo per un attimo, ma bastò a provocare nell’acqua filiformi volute scarlatte.

«Beva» disse al padre capitano de Soya, aiutandolo a sollevare la testa.

Il prete capitano bevve, tossì, bevve ancora. Quando Aenea gli depose la testa sul cuscino macchiato, chiuse gli occhi.

«In ventiquattro ore il crucimorfo sarà scomparso» mormorò Aenea.

Il padre capitano de Soya ripeté quel rauco verso simile a una risata chioccia. «Fra un’ora sarò morto.»

«Fra quindici minuti sarà nel robochirurgo» disse Aenea, toccandogli la mano meno ustionata. «Ora dorma, ma non mi muoia, Federico… non mi muoia. Abbiamo molto da dirci. E lei ha un grande servizio da compiere per me… per noi.»

Il sergente Gregorius si era avvicinato. «Signorina Aenea…» disse. Si interruppe, strusciò i piedi, riprovò. «Signorina Aenea, posso prendere un po’ di quella… acqua?»

Aenea lo guardò. «Sì, sergente… ma quando avrà bevuto, non potrà mai più portare un crucimorfo. Mai più. Niente risurrezione. E poi ci sono… effetti collaterali.»

Gregorius scacciò con un gesto ogni obiezione. «Per dieci anni ho seguito il mio capitano. Lo seguirò anche adesso.» Bevve un lungo sorso di acqua rosata di sangue.

De Soya aveva gli occhi chiusi. Pensavo che si fosse addormentato o che fosse svenuto per il dolore. Ma ora li aprì e disse a Gregorius: «Sergente, ti spiace portare al signor Endymion il pacco che abbiamo tolto dalla scialuppa?»

«Subito, capitano» disse il sergente. Frugò nel mucchio di detriti in un angolo della stanzetta e mi porse un tubo sigillato, lungo poco più di un metro.

Guardai il prete capitano. De Soya pareva galleggiare fra il delirio e lo shock. «Lo aprirò quando il capitano starà meglio» dissi al sergente.»

Gregorius annuì, prese la tazza, si accostò a Carel Shan e versò un po’ d’acqua nella bocca aperta dell’ufficiale privo di conoscenza. «Carel potrebbe morire prima dell’arrivo della vostra nave» disse. Alzò gli occhi. «O a bordo ci sono due medibox?»

«No» disse Aenea. «Ma il nostro ha tre scomparti. Potrà curare anche lei.»

Gregorius scrollò le spalle. Si avvicinò all’uomo col braccio rotto, Liebler, e gli offrì la tazza. L’uomo si limitò a fissarlo.

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