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"Anche a me. Ma è tutto preso in prestito. Il buddhismo si è evoluto un poco, almeno si è staccato dall’idolatria e dai rituali, è tornato all’apertura mentale che lo caratterizzava all’inizio, ma ogni altra cosa è in pratica un tentativo di ricatturare cose perdute con la Vecchia Terra."

"Per esempio?"

"La lingua, il modo di vestire, i nomi delle montagne, gli usi locali… diavolo, Raul, anche questo sentiero di pellegrinaggio e il Tempio dell’Imperatore di Giada, se mai ci arriveremo."

"Vuoi dire che c’era un monte T’ai Shan sulla Vecchia Terra?"

"Ma certo. Con la sua Città di Pace e le Porte Celesti e la Bocca del Drago. Confucio lo salì più di tremila anni fa. Ma sulla Vecchia Terra la scala aveva solo settemila gradini."

"Vorrei che ci fosse toccata quella!" esclamai. Non ero sicuro di riuscire a continuare la salita. I gradini erano brevi, ma non finivano mai. "Però capisco il tuo punto di vista."

Aenea annuì. "È meraviglioso, preservare la tradizione; ma un organismo in buona salute si evolve, culturalmente e fisicamente."

"E questo ci riporta all’evoluzione" dissi. "Quali sono le altre direzioni, tendenze, mete o come diavolo le chiami, che sono state ignorate negli ultimi secoli?"

"Ce ne sono ancora alcune altre" disse Aenea. "Una è il sempre crescente numero di individui. Alla vita piacciono fantastiliardi di specie, ma piacciono ancora di più iperfantastiliardi di individui. In un certo senso, l’universo è attrezzato per gli individui. Nella biblioteca, a Taliesin, c’era un libro intitolato Sistemi gerarchici in evoluzione, scritto da un tale della Vecchia Terra, Stanley Salthe. L’hai visto?"

"No, mi sarà sfuggito quando leggevo quei romanzi oloporno del primo XXI secolo."

"Ah-hah" disse Aenea. "Be’, Salthe pose la questione in termini piuttosto precisi: ’Un numero indefinito di individui unici può esistere in un mondo materiale finito se gli individui sono annidati l’uno dentro l’altro e se quel mondo è in espansione’."

"Annidati l’uno dentro l’altro" ripetei, riflettendo. "Sì, capisco. Come i batteri della Vecchia Terra nelle nostre viscere e i parameci che abbiamo portato nello spazio e le altre cellule nel nostro corpo… più mondi, più persone… sì."

"L’inghippo è più persone" disse Aenea. "Ne abbiamo centinaia di miliardi, ma fra la Caduta e la Pax, l’attuale numero della popolazione umana nella galassia, senza contare gli Ouster, si è livellato nelle ultime centinaia di anni."

"Be’, il controllo delle nascite è importante" dissi, ripetendo ciò che insegnavano a tutti su Hyperion. "Voglio dire, soprattutto ora che il crucimorfo è in grado di mantenere in vita le persone per secoli e secoli…"

"Appunto. Con l’immortalità artificiale c’è maggiore ristagno, fisico e culturale. È un fatto."

Corrugai la fronte. "Ma non è un buon motivo per negare alla gente l’estensione della vita, no?"

Aenea rispose con voce remota, come se contemplasse qualcosa di molto più grande. "No" disse. "Di per sé, no."

"Quali sono le direzioni del processo evolutivo?" domandai, vedendo avvicinarsi la pagoda rossa e pregando che la conversazione mi tenesse la mente lontano dal collasso, dal ruzzolone giù per i ventimila e passa gradini che già avevamo salito.

"Solo altre tre meritano di essere citate" disse Aenea. "Crescente specializzazione, crescente interdipendenza, crescente capacità di evolversi. Tutt’e tre sono davvero importanti, ma l’ultima è la più importante."

"Cosa vuoi dire, ragazzina?"

"Voglio dire che l’evoluzione stessa si evolve. Deve. La capacità di evolversi è un tratto di sopravvivenza ereditario. I sistemi, viventi e altro, devono imparare come evolversi e, a un certo grado, controllare la direzione e la velocità della propria evoluzione. Noi, voglio dire la specie umana, eravamo sul punto di fare proprio questo, un migliaio di anni fa, ma il Nucleo ce lo ha impedito. Almeno, alla maggior parte di noi."

"Cosa significa ’la maggior parte di noi’?"

"Fra qualche giorno capirai, Raul, te lo prometto."

Arrivammo alla Porta Celeste meridionale e varcammo l’ingresso, un arco sotto un tetto a pagoda dorato. Al di là c’era la via Celeste, un pendio poco accentuato che portava alla vetta appena visibile. La via Celeste era niente di più di un sentiero su roccia nera e brulla. Pareva di camminare su una luna priva d’aria, come quella della Vecchia Terra: qui le condizioni erano quasi altrettanto suscettibili alla vita. Aprii bocca per dire a Aenea che quella era una nicchia dove la vita non aveva ancora messo piede, quando lei lasciò il sentiero e ci guidò a un piccolo tempio di pietra posto fra le aspre rupi e i crepacci, alcune centinaia di metri sotto la vetta. C’era una camera stagna così antica che pareva uscita da una delle prime navi seminatrici. Con mia sorpresa, quando Aenea attivò il cuscinetto a pressione, funzionò; entrammo e aspettammo che si compisse il ciclo e si aprisse il portello interno. Lo varcammo.

Ci trovammo in una stanzetta quasi spoglia, a parte un vaso di bronzo ornato di bassorilievi, con fiori freschi, alcuni ramoscelli verdeggianti sopra una bassa pedana e una magnifica statua, un tempo dorata, di una donna a grandezza naturale, con vesti che parevano fatte d’oro. La donna aveva le guance paffute e l’espressione amabile, una sorta di Buddha al femminile; portava una corona di foglie dorate e aveva dietro la testa una bizzarra aureola cristiana, d’oro battuto.

A. Bettik si tolse il casco e disse: «L’aria è respirabile. La pressione dell’aria è più che soddisfacente».

Aenea e io ripiegammo i cappucci della dermotuta. Era un piacere respirare normalmente.

Ai piedi della statua c’erano bastoncini d’incenso e una scatola di fiammiferi. Aenea si inginocchiò e accese un bastoncino. Il profumo d’incenso era molto forte.

«Questa è la principessa delle Nubi azzurre» disse, sorridendo al sorriso della faccia dorata. «La dea dell’alba. Accendendo il bastoncino d’incenso ho appena fatto un’offerta per la nascita di nipoti.»

Iniziai a sorridere e mi bloccai. "Lei ha un figlio. La mia amata ha già un figlio." Mi sentii stringere la gola e guardai dall’altra parte, ma Aenea si avvicinò e mi prese per il braccio.

«Pranziamo?»

Mi ero dimenticato del sacchetto di carta con il pranzo. Sarebbe stato difficile pranzare senza togliersi il casco o le maschere osmotiche.

Ci sedemmo nella fioca luce della stanza priva di finestre, fra le volute di fumo e il profumo d’incenso, e mangiammo i panini preparati dai monaci.

«E ora dove andiamo?» dissi, mentre Aenea avviava il ciclo della camera stagna.

«Ho sentito dire che sul lato orientale della vetta c’è un precipizio, il baratro dei Suicidi» disse A. Bettik. «Un luogo per un serio sacrificio. Saltare da lì, si dice, fornisce istantanea comunione con l’Imperatore di Giada e assicura che la richiesta di chi si offre venga esaudita. Se vuole davvero garantirsi dei nipoti, potrebbe fare il salto da lì.»

Fissai a bocca aperta l’androide. Non avevo mai capito se avesse il senso dell’umorismo o semplicemente una personalità fuori squadra.

Aenea scoppiò a ridere. «Andiamo prima al Tempio dell’Imperatore di Giada» disse. «Vediamo se c’è qualcuno in casa.»

Appena fuori, fui subito colpito dall’isolamento della dermotuta e dalla nitidezza di ogni cosa nell’assenza di aria. La maschera osmotica era diventata quasi opaca per la non filtrata ferocia del sole di mezzodì a quella altitudine. Le ombre erano nette e aspre.

Eravamo a circa cinquanta metri dalla vetta e dal tempio, quando una figura uscì dal buio dell’ombra gettata da un masso e ci bloccò la strada. Pensai: "Lo Shrike!" e scioccamente strinsi i pugni, ancora prima di vedere di chi si trattava.

Davanti a noi c’era un uomo molto alto, in tuta da combattimento nel vuoto dello spazio, squarciata da colpi di lancia a energia. Armatura standard dei marines della Flotta della Pax e delle guardie svizzere. Scorgevo il viso dietro il visore antimpatto: pelle nera, lineamenti forti, capelli a spazzola, bianchi. L’uomo aveva sul viso cicatrici livide, recenti. Negli occhi, un’espressione non proprio amichevole. Portava un fucile d’assalto multiuso classe marines; lo alzò e lo puntò contro di noi. La sua trasmittente era sintonizzata sulla banda delle dermotute.

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